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Via le quote cinesi o bando totale. Alta tensione Usa-Cina per TikTok

L’aut aut provoca l’ira dell’azienda e del governo cinese, che chiede di smetterla con “attacchi ingiustificati”. Anche il Regno Unito vuole bandirlo per i suoi funzionari, così come Canada, Belgio e Commissione europea. L’Italia non ha ancora chiarito come vuole muoversi

O i proprietari cinesi vendono le quote o niente TikTok negli Stati Uniti. L’ultimatum della Casa Bianca è piuttosto netto, non che la richiesta sia nuova. Il Comitato per gli investimenti esteri americano (Cfius) aveva infatti chiesto a ByteDance di cedere le azioni (il 60% è in mano a investitori internazionali, il 20% è detenuto dai dipendenti e l’altro 20% dai suoi fondatori cinesi), pena il divieto di utilizzare la piattaforma. A Washington sono preoccupati per questioni di sicurezza e di spionaggio, e cercano di limitare l’utilizzo dell’app cinese. Per evitare bandi totali, si sta trattando da quasi tre anni e la notizia, lanciata dal Wall Street Journal, sembra essere l’ultimo capitolo di un libro lunghissimo.

A meno che il divieto non si scontri con problemi legali, come quelli che aveva incontrato Donald Trump nel 2020 quando aveva provato a fare il passo decisivo. Nello stesso anno, il Cfius aveva votato all’unanimità per chiedere a ByteDance di disinvestire in TikTok. L’arrivo alla Casa Bianca di Joe Biden ha abbassato un po’ i toni, ma non ha cambiato la sostanza. La richiesta è stata la stessa del suo predecessore. I dati degli utenti americani – pari a 100 milioni – devono rimanere all’interno di server americani, ribadiscono dall’amministrazione, e non rischiare di finire nelle mani delle autorità cinesi, che hanno grande influenza sulle loro aziende.

È una partita geopolitica, prima che tecnologica. “Se proteggere la sicurezza nazionale è l’obiettivo, il disinvestimento non risolve il problema: un cambio di proprietà non imporrebbe nuove restrizioni ai flussi di dati o all’accesso”, ha affermato la portavoce del social network, Brooke Oberwetter, anticipando (forse) quello che dirà il Ceo, Shou Zi, la settimana prossima davanti al Congresso. Anche per questo la notizia è stata un po’ una sorpresa: si attendeva che Shou Zi desse (o non desse) le rassicurazioni che gli americani vogliono sentirsi dire, prima di procedere a un’azione così decisa.

Su cui, ovviamente, il governo cinese non ha taciuto. Pechino ha infatti esortato gli Stati Uniti a porre fine ai suoi “attacchi ingiustificati” contro TikTok, visto che “non hanno finora fornito alcuna prova che minacci la sicurezza nazionale” degli statunitensi, come ha dichiarato alla stampa il portavoce diplomatico Wang Wenbin. “Dovrebbero smetterla di diffondere informazioni false” e “di sopprimere irragionevolmente le aziende interessate”.

Tuttavia non ci sono solamente gli Stati Uniti contro TikTok. La preoccupazione americana coinvolge tanti altri governi democratici occidentali, a iniziare dal Regno Unito. Il governo conservatore di Rishi Sunak ha deciso infatti di vietare l’uso dell’applicazione sui dispositivi istituzionali, come ha annunciato il National Cyber Security Center e come riferirà questo pomeriggio il ministro di Gabinetto, Oliver Dowden, ai parlamentari. “Osserviamo quello che fanno i nostri alleati”, aveva dichiarato il primo ministro britannico dagli Stati Uniti. e infatti la sua è una decisione che segue quella di Washington, come scritto, ma anche del Canada, del Belgio e della Commissione europea: tutti loro hanno vietato di scaricare TikTok sui telefoni governativi o, qualora lo abbiano già fatto, di eliminarlo per evitare di mandare inconsapevolmente informazioni riservate al governo cinese. Alla lista va aggiunta anche Malta, la cui Agenzia nazionale per la tecnologia dell’informazione ha bloccato l’applicazione su tutti i dispositivi elettronici del doverno, nel timore che vengono sorvegliati.

La comunità occidentale, dunque, si sta muovendo. E l’Italia? È una domanda che Formiche.net ha rivolto un paio di settimane fa a Enrico Borghi, senatore del Partito democratico e membro del Copasir, che aveva risposto come “le azioni che il Comitato compie fanno parte di un percorso di riservatezza che non intendo violare. Posso solo assicurare che sul tema si è adeguatamente vigili e operativi”. Il dibattito è in corso (e riguarda il divieto solo per i funzionari pubblici, non i cittadini qualunque), ma “il fatto che gli Stati Uniti e l’Unione europea abbiano aperto un’istruttoria formale nei confronti di TikTok non può essere ignorato, né si può tacere circa il rischio da un lato della profilazione, schedatura e cessione dei nostri dati e della nostra popolazione più giovane in particolare e, dall’altro, del rischio di ingerenza e di influenza su milioni di nostri concittadini. Insomma”, ha concluso il senatore, “non possiamo diventare fornitori ufficiali e inconsapevoli di informazioni per un’autocrazia che ritorce poi questi big data contro di noi”.

Certo è che, qualunque decisione verrà presa, il ministero della Pubblica Amministrazione non sembrano al momento esserci piani per bloccare l’app. “Assolutamente no”, aveva spiegato il ministro Paolo Zangrillo, “anche perché, peraltro, non è una decisione che spetta a me”. Sull’argomento, aveva dichiarato solo qualche giorno prima, a fine febbraio, “si sta già impegnando il Copasir, ma è evidente che il mio ministero, avendo 3,2 milioni di dipendenti, è fortemente coinvolto. Le opzioni possono essere di muoversi come si è mossa la Commissione europea o eventualmente assumere una decisione diversa”.


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