Rumors su un attacco israeliano in Iran, polemica tra Netanyahu e Grossi (Iaea), Teheran sempre più isolata. Tutto mentre il capo del Pentagono Austin viaggia verso il Medio Oriente per parlare con i partner locali e l’Italia approfondisce il dialogo con Gerusalemme
Il capo del Pentagono sarà nel fine settimana in Medio Oriente con un obiettivo principale: l’Iran. Così i funzionari statunitensi descrivono il viaggio del segretario Lloyd Austin, conoscitore delle regione in quanto ex capo del CentCom (che estende la sua area di responsabilità dall’Egitto all’Afghanistan). Il segretario Usa alla Difesa visiterà Giordania, Egitto e Israele portando il suo saluto alle 30.000 truppe statunitensi dispiegate nelle basi regionali, e soprattutto parlando con gli alleati di questioni tattiche e strategiche.
Con l’arricchimento dell’uranio da parte dell’Iran a livelli prossimi al grado di armamento, il suo continuo sostegno a gruppi terroristici e proxy in tutta la regione, la fornitura di droni alla Russia, e le repressioni sanguinarie delle proteste interne dei mesi scorsi, Teheran è diventata un rivale sempre più evidente per Washington e i suoi alleati.
Pochi spazi per negoziare
L’amministrazione Biden ha a lungo favorito una soluzione diplomatica al programma di armamento nucleare iraniano, che l’Iran sostiene essere a scopi civili. Ma attualmente è difficile pensare alla ricomposizione dell’accordo, che è noto come Jcpoa. Parlando con i giornalisti, un alto funzionario del Pentagono incaricato del briefing ha tuttavia ribadito il desiderio del presidente Joe Biden di affrontare le ambizioni nucleari dell’Iran attraverso la diplomazia.
“Il compito del segretario Austin è quello di garantire che se il Presidente ha bisogno di altre opzioni, il dipartimento della Difesa ha a disposizione opzioni credibili”, ha detto il funzionario fornendo informazioni di background a proposito della volontà dei militari americani di essere pronti davanti alla “costellazione completa” delle minacce iraniane.
La destabilizzazione della sicurezza marittima, le minacce informatiche, gli attacchi dei proxy con i droni e il programma di missili balistici sono altre questioni su cui gli Stati Uniti stanno lavorando riguardo all’Iran. “Ogni partner, ogni capitale che visiterete in Medio Oriente, vi parlerà delle loro preoccupazioni legate a tutte queste minacce”, ha detto il funzionario. “Quindi il segretario Austin cercherà di consultarsi con i nostri partner su come possiamo contrastare e indebolire in modo più efficace queste minacce”.
Austin rassicurerà gli alleati (ma vorrà anche rassicurazioni?)
Alti funzionari dell’amministrazione Biden sono stati di recente a Riad, dove hanno incontrato le controparti del Consiglio per la Cooperazione del Golfo e avuto colloqui sull’Iran, sull’antiterrorismo e per affrontare altre minacce comuni. Quel viaggio, il mese scorso, aveva anche lo scopo di segnalare l’impegno di Washington in Medio Oriente, mentre quegli stessi partner temono che gli Usa siano distratti dalla guerra russa in Ucraina e soprattutto dall’impegno nell’Indo Pacifico.
Tant’è che dal briefing esce che “il segretario Austin trasmetterà il costante impegno degli Stati Uniti in Medio Oriente e rassicurerà i nostri partner sul fatto che gli Stati Uniti continuano a sostenere la loro difesa”. Tuttavia, tra gli altri argomenti che verranno sollevati ci saranno la guerra contro l’Ucraina e gli sforzi della Cina per espandere la sua impronta regionale.
Cosa sta succedendo?
La situazione si sta complicando: sabato 4 marzo, il capo dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Iaea), Raphael Mariano Grossi, ha incontrato i funzionari iraniani e ha poi rilasciato una dichiarazione in cui ha sottolineato che sarebbe “illegale” per chiunque compiere un attacco a un impianto nucleare. Grossi aveva precedentemente avvertito che l’Iran era sul punto di diventare una potenza nucleare.
Il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, ha risposto che Grossi ha fatto un’affermazione “indegna”, lasciando intendere che forse il capo dell’Iaea ha subito pressioni dai suoi ospiti iraniani. La tempistica della visita di Grossi, la dichiarazione come “a mettere le mani avanti”, l’urgenza delle sue parole hanno suggerito che c’è qualcosa in ballo.
Cosa c’entra l’Italia?
A questo si abbina la visita in Israele non programmata di Austin e della seconda carica più improntate della Difesa, il capo dello Stato Maggiore congiunto Mark Milley. Milley è arrivato venerdì scorso, dopo essere passato anche da Roma per incontri sull’Africa – e non solo. Tra l’altro a Roma tra quattro giorni arriverà il premier israeliano Netanyahu, mentre il presidente del Senato Ignazio La Russa è già in Israele e a breve sarà seguito dal ministro e vicepremier Antonio Tajani.
Questo genere di contatti, in questo momento, portano l’Italia a essere parte della discussione sull’Iran. Gli americani sarebbero preoccupati perché temono che Israele possa realmente pensare di lanciare un attacco a sorpresa contro l’Iran senza coordinarsi prima con Washington – tanto meno con altri alleati. E quindi val la pena ricordare che secondo uno scoop di Haaretz uscito in questi giorni, l’Azerbaigian potrebbe permettere a Israele di utilizzare i suoi campi d’aviazione in caso di attacco contro le strutture nucleari iraniane. Sarebbe parte della cooperazione militare tra i due Paesi, ringraziamento per il sostegno ricevuto nel Nagorno-Karabakh. Il Mossad avrebbe già sul territorio azero un avamposto di spionaggio.
Non è sorprendete, ma val la pena ricordare anche che l’Azerbaigian è un Paese che fornisce gas all’Italia e se dovesse essere coinvolto in un attacco israeliano contro l’Iran potrebbe subire ritorsioni da parte della Repubblica islamica. Ritorsioni che inevitabilmente metterebbero a rischio parte della sicurezza energetica italiana (“mettere a rischio”, anche se non è detto che l’eventualità si compia). Baku non conferma questo genere di coinvolgimento.
L’allarme di Burns
Se la porta della diplomazia resta quella preferita, anche a Washington nc’è consapevolezza che le cose potrebbero andare peggio e colpire l’Iran quando ormai è tardi diventerebbe impossibile. La scorsa settimana il capo della Cia ha avvertito che Teheran potrebbe arricchire l’uranio a livello di armi entro poche settimane, ma ha affermato che gli Stati Uniti non credono che i leader iraniani abbiano ancora deciso di farlo. Il commento di William Burns, rilasciato durante un’intervista alla CBS News andata in onda il 26 febbraio, seguiva la notizia secondo cui gli ispettori dell’agenzia atomica dell’Onu avrebbero trovato in Iran uranio arricchito all’84%, la purezza più vicina al 90% necessario per le armi nucleari.
“Per quanto ne sappiamo, non crediamo che il leader supremo dell’Iran abbia deciso di riprendere il programma di armamento che riteniamo abbia sospeso o interrotto alla fine del 2003”, ha dichiarato Burns. “Ma le altre due gambe dello sgabello, cioè i programmi di arricchimento, sono ovviamente molto avanzate”, ha aggiunto. “Sono molto avanzati al punto che sarebbe solo una questione di settimane prima che possano arricchire al 90%, se decidessero di oltrepassare quella linea, e anche in termini di sistemi missilistici, la loro capacità di consegnare un’arma nucleare una volta che l’hanno sviluppata sta avanzando”.
Israele si sta davvero preparando all’azione?
Israele si sta preparando da anni a questa eventualità e da tempo sottolinea che una minaccia militare credibile sia fondamentale per frenare le ambizioni nucleari dell’Iran. Le notizie dalla Iaea sui progressi di arricchimento (su cui per altro c’è un’indagine in corso) è il fattore che fa da grilletto?
Ci sono anche altre condizioni. Per esempio, la ritrovata vicinanza dell’Iran alla Russia a seguito della guerra in Ucraina significa che Israele potrebbe presto perdere la libertà di agire contro le forze iraniane nella Siria controllata dalla Russia. Un Iran nucleare con un punto d’appoggio militare incontrollato in Siria è il tipo di minaccia esistenziale che Israele non può accettare.
Le potenze occidentali sono oggi ferventemente schierate contro il regime “malvagio” di Vladimir Putin. Il fatto che Teheran stia assistendo Putin nella sua guerra contro l’Ucraina rende più facile che mai per Israele convincere l’Occidente che anche l’Iran è un nemico comune che deve essere fermato. È un’ottima opportunità politico-diplomatica per certi scenari.
E poi c’è il fronte interno. Netanyahu potrebbe attaccare l’Iran per distogliere l’attenzione dall’opposizione interna alla sua riforma giudiziaria? Sebbene questo genere di critiche emerge da parte delle opposizioni israeliane, e si tratti di una tattica comune ad altri leader, è improbabile che questo sia l’approccio di Netanyahu. Tuttavia, è innegabile che i periodi di grande conflitto hanno storicamente portato all’unità di una società israeliana altrimenti conflittuale.