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Cina fabbrica del debito. L’illusione di una crescita che (non) c’è

Il Congresso del popolo si aspetta un Pil in ripresa del 5% per il 2023. Un dato già di per sé sotto le attese ma condizionato da un fatto: il Dragone continua a produrre debito, pagando interessi quasi quattro volte superiori all’Italia. Per questo la ripresa cinese è un gioco di prestigio

L’obiettivo di crescita, già di per sé, non è di quelli da strapparsi i capelli: +5% nel 2023 è il target annunciato  al Congresso Nazionale del Popolo, apertosi pochi giorni fa. Il dato più basso da decenni. Ufficialmente, le ambizioni sono state ridimensionate per dare priorità alla stabilità economica del Paese. Forse c’è di mezzo la denatalità e l’invecchiamento della popolazione cinese, eppure il punto è un altro. E cioè che la crescita della Cina, di qualunque portata essa sia, è più virtuale che reale.

Motivo? Il debito, su cui poggia buona parte della seconda economia globale. I conti, questa volta, li hanno fatti gli analisti dell’Ispi, l’Istituto per gli studi di politica internazionale. Per i quali Pechino sta già scontando gli effetti, decisamente nefasti, dell’elevato debito degli enti locali, cresciuto a dismisura durante la pandemia: i prestiti municipali, per esempio, hanno ormai raggiunto un valore pari al 280% delle loro entrate, praticamente dieci volte il debito cinese sul Pil (21%). E mentre quest’ultimo rimane pulito e immacolato agli occhi del mondo, in Cina gli enti locali faticano a pagare gli interessi, ormai pari all’11% delle entrate (in Italia, il Paese più indebitato del G7, gli interessi sono solo di gran lunga minori. Nel 2022, infatti, Roma ha speso il 3,5% del Pil per interessi sul debito, per un controvalore di 65,7 miliardi di euro.

Ora, il debito chiude gli spazi di manovra, imbriglia gli investimenti. In due parole, frena la crescita. A questo punto la domanda è: come rendere sostenibile la crescita cinese, il cui motore storico, ossia l’attività manufatturiera, è in calo ormai da anni. Fra la diminuzione della popolazione attiva (dovuta a un basso tasso di natalità) e l’aumento dei salari, il manifatturiero cinese ha infatti perso l’attrattività che lo caratterizzava negli anni del boom economico. E poi, se il debito zavorra il Pil, perché non tentare di risolvere il problema?

Di sicuro, nelle more, il mondo guarda al Dragone. L’industria europea, per esempio, “beneficerebbe della ripresa cinese, ma con la produzione aumenterebbe anche il consumo di Gnl, spingendone verso l’alto il prezzo”, scrivono gli esperti dell’Ispi. “L’approssimarsi della fine dell’inverno e gli stoccaggi europei più pieni del previsto hanno fatto quasi dimenticare la crisi energetica. Ma proprio quegli stoccaggi l’anno scorso si sono riempiti grazie al Gnl inutilizzato dalle industrie cinese, al tempo delle chiusure per lockdown“. Non è tutto. “Oltre a quella economica, l’Occidente guarda con preoccupazione anche a un’altra crescita cinese: quella delle spese per la difesa, che nel 2023 aumenteranno del 7,2%. Insieme al timore che Pechino decida di vendere armi a Mosca. Ci aspetta una nuova estate di fuoco?”.


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