I sondaggi più recenti confermano la tenuta di Erdogan: nonostante le accuse e le responsabilità sul sisma, il presidente turco viene visto dai suoi cittadini come il più affidabile per gestire la ricostruzione e il futuro del Paese che passerà dalle elezioni di maggio. Le opposizioni sono divise, e forse è ancora presto per un dopo Erdogan?
L’Akp del presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, che dovrà affrontare le elezioni il 14 maggio, sembra aver mantenuto in gran parte la sua popolarità elettorale dopo il devastante terremoto del mese scorso, secondo i sondaggi usciti in questa settimana venerdì, nonostante le diffuse critiche alla sua risposta iniziale al disastro.
Quello che emerge è che l’opposizione non ha raccolto nuovi consensi, in parte a causa del mancato nome di un candidato (a soli due mesi dal voto) e in parte per la mancanza di un piano tangibile per la ricostruzione delle aree devastate dal sisma. Presto per parlare di un dopo Erdogan? Cosa aspettarci dalle elezioni?
Critiche, ammissioni, psicologia: Erdogan tiene
Le immediate conseguenze del disastro sono state dominate dalle notizie secondo cui le autorità di ricerca e soccorso del governo sono state sopraffatte, impreparate ad affrontare l’emergenza e troppo lente nell’inviare le loro squadre. Altri hanno criticato l’applicazione lassista degli standard di sicurezza degli edifici da parte del governo. Standard bassi che avrebbero fatto crollare anche le case nuove, controlli e parametri laschi, corruzione.
Erdogan ha riconosciuto pubblicamente i problemi nei primi giorni dopo la tragedia, ma ha poi difeso la risposta del suo governo. Si è subito impegnato a ricostruire le case, una promessa che probabilmente lo aiuterà a mantenere il sostegno dell’elettorato, ha spiegato Mehmet Ali Kulat, presidente della società di sondaggi MAK, parlando con la Reuters.
“Quando la gente subisce un disastro del genere, per qualche giorno vediamo delle reazioni psicologiche che sono rivolte contro il governo. Una volta trascorsi 15-20 giorni, si avvicinano a chi promette di ricostruire la casa o il posto di lavoro crollato. Questo potrebbe essere un vantaggio per il governo”, ha detto Kulat.
Nei sondaggi condotti dopo il terremoto, il sostegno all’alleanza di Erdogan con il partito nazionalista è apparso intorno al 40-41%, ha detto Kulat. Un altro sondaggio condotto da Istanbul Economics Research tra il 16 e il 20 febbraio ha mostrato un aumento impercettibile, di 0,1 punti, rispetto a gennaio al consenso di Erdogan. Ossia dimostra la tenuta. Il 34% degli intervistati ritiene che gli imprenditori edili sono i maggiori responsabili dei danni causati dal terremoto, mentre il 28% ha incolpato il governo.
Elezioni in un momento simbolico
Le elezioni di maggio saranno probabilmente determinanti per il futuro del Paese, e non solo perché cadono nella ricorrenza simbolica dei 100 anni della Repubblica di Turchia. Ciò che il ventennio di Erdogan rappresenta e ha rappresentato è già parte della storia del Paese. Ma queste elezioni saranno altrettanto cruciali per il quadro regionale, con la Turchia che ha svolto un ruolo molto attivo su doversi dossier (la Siria, il Mediterraneo orientale, il Nord e il Corno d’Africa), non ultimo l’invasione russa dell’Ucraina – con Ankara che è ancora broker dell’accordo sul grano e punto di contatto tra Mosca e la Nato.
Come sostiene Sinan Ciddi in “La Turchia dopo Erdogan”, un progetto curato per sei mesi all’interno della Foundation for Defense of Democracies, il Paese “è stato completamente trasformato dall’attuale presidente”. Nei suoi 20 anni di potere, Erdogan ha preso il controllo di quasi tutte le istituzioni e ha imposto un governo unipersonale. Tutte le decisioni, grandi e piccole, sono prese da lui. La Turchia, una democrazia per quanto imperfetta, è sulla buona strada per diventare un’autocrazia. Ecco perché queste elezioni sono così cruciali per il suo futuro.
Mentre nelle precedenti votazioni ha ottenuto una vittoria schiacciante, Erdogan si trova ora ad affrontare una miriade di sfide eccezionali. Innanzitutto, il cittadino medio turco ha dovuto sopportare il peso di un’inflazione alle stelle e di una lira molto più debole, di cui le politiche economiche non convenzionali di Erdogan sono più che parzialmente responsabili. L’opinione pubblica turca è anche sconvolta dai 4 milioni di rifugiati siriani che Erdogan ha ammesso – a suo merito – dopo lo scoppio della guerra civile siriana nel 2011.
È a questo contesto che si snodano gli effetti del terremoto del mese scorso – in cui decine di migliaia di persone sono rimaste uccise rappresentando un evento segnante nella storia della nazione (Formiche.net ha pubblicato un’analisi visiva elaborate dal professor Piero Boccardo del Politecnico di Torino, preparata tramite le immagini riprese dalla statunitense Planet).
Al di là della narrazione, il sisma ha dimostrato nei fatti che il regime personalistico costruito da Erdogan ha dei punti di sensibilità e vulnerabilità. Dall’impreparazione delle istituzioni pubbliche al condono normativo del 2018 per le costruzioni non a norma – che ha di fatto condannato a morte i residenti di alcuni edifici – il terremoto ha aggiunto un nuovo livello di immediatezza al vortice politico.
Opposizioni divise
Tuttavia Ciddi – che insegna National Security alla Marines Corps University – non è ottimista sulle prospettive dell’opposizione. I suoi leader non hanno ancora prodotto una visione coerente e non hanno mostrato il coraggio di affrontare questioni difficili, come la questione curda. Alienare gli elettori curdi può costare caro perché il loro sostegno è probabilmente necessario per avere la meglio su Erdogan.
Secondo l’analisi, una delle domande più critiche è se, ammesso che Erdogan possa perdere, accetterebbe un trasferimento pacifico del potere. Nessuno lo sa davvero. È già successo per esempio che abbia architettato un piano per ripetere le elezioni municipali di Istanbul del 2019, quando il suo partito ha perso, per poi rimanere scioccato quando gli elettori hanno rieletto il vincitore originale, Ekrem Imamoglu, con un margine maggiore.
Attualmente Erdogan sta cercando un modo per evitare che Imamoglu diventi il candidato presidenziale dell’opposizione, perché quasi tutti i sondaggi mostrano che perderebbe contro di lui, spiega Siddi: “Per assicurarsi che Imamoglu non possa candidarsi, a dicembre un tribunale politicizzato lo ha condannato al carcere con una falsa accusa”.
Le tensioni internazionali
Ma il piano interno è solo parte delle problematiche complesse che, al di là dei sondaggi di questo momento, Erdogan si trova a dover affrontare. La Turchia innanzitutto ha avuto numerosi scontri con Washington. Uno di questi è scoppiato dopo l’acquisto dei sistemi missilistici antiaerei russi S-400, che ha fatto sì che i turchi venissero esclusi dal programma di costruzione degli aerei F-35. Nel nord della Siria, inoltre, Erdogan ha preso di mira gli alleati dell’America nella guerra contro lo Stato Islamico, le Unità di protezione del popolo curdo siriano. Erdogan sta anche complicando l’adesione di Finlandia e Svezia alla Nato per ragioni che hanno poco a che fare con la geopolitica globale che ruota attorno all’alleanza, ma piuttosto sono connesse con interessi personalistici nel trasformare questo dossier in una forma di leva nei confronti degli altri alleati.
La politica estera turca cambierebbe se l’opposizione dovesse alla fine riuscire a organizzarsi e vincere le prossime elezioni? “Sì, ma non completamente”, risponde Henry Barkey, docente della Leigh University che ha recensito il testo di Siddi. “Alcune delle mosse nazionaliste di Erdogan godono di un ampio sostegno. Sia il governo che l’opposizione sono d’accordo nel rimandare indietro i rifugiati (cosa più facile a dirsi che a farsi). Sulla Siria, un’inversione di rotta sarà difficile, poiché i media fedeli a Erdogan hanno demonizzato gli alleati siriani dell’America. Se Erdogan dovesse vincere, legittimamente o meno, il suo senso di rivendicazione potrebbe portare a un deterioramento delle relazioni sia sul fronte della politica estera che su quello della democrazia”, spiega Barkey.
Effetto sismico nelle relazioni
Detto questo, il terremoto ha aperto la possibilità di migliorare le relazioni con i vicini della Turchia, in particolare con la Grecia, ricordando il modo in cui un forte terremoto nel 1999 ha indotto tutte le parti a rifuggire dalla violenza e a riconoscere il valore degli alleati, il cui aiuto, la cui buona volontà e la cui pazienza sono molto necessari. E poi con il mondo del Golfo: l’accordo con gli Emirati Arabi Uniti, un tempo rivali, è un fattore determinante nel futuro della Turchia e probabilmente del suo presidente.
Diversi attori regionali di peso potrebbero aver ormai fatto i conti con l’assenza di un’alternativa valida ad Ankara, e dunque scelto di appoggiare – più o meno apertamente e convintamente – Erdogan. Anche consapevoli che un suo rafforzamento controllato potrebbe essere più utile che una sua caduta. D’altronde, se Erdogan resta perimetrato all’interno delle sue problematiche, per certi interlocutori è più facilmente trattabile.
È un po’ il concetto di “uomo forte debole” di cui, in un saggio su Foreign Affairs, ha parlato Gonul Tol, direttrice degli studi sulla Turchia al Middle East Institute. Cosa fare dunque in una situazione così difficile? Ciddi ha diverse raccomandazioni prudenti e intelligenti per Washington e l’Europa. In breve, invita gli alleati della Turchia a prepararsi per ogni evenienza e, soprattutto, a tenere le polveri asciutte evitando di entrare in conflitto con Erdogan prima delle elezioni del 14 maggio.