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Perché sarà il gas il piatto forte del vertice Meloni-Netanyahu

Roma e Tel Aviv, oltre ad essere potenziali punti cardinali sulla traiettoria del gasdotto EastMed, vantano una comunanza di strategie euroatlantiche e una proiezione comune circa la sicurezza dell’approvvigionamento energetico

Tra i temi più pregnanti al centro del vertice di giovedì prossimo a Palazzo Chigi tra Giorgia Meloni e il premier israeliano Benjamin Netanyahu ce n’è uno particolarmente denso alla voce geopolitica mediterranea: il gas. Non solo perché l’italiana Eni è protagonista indiscussa nel Mediterraneo Orientale e perché il governo si è posto come obiettivo primario un attivismo strategico, ma anche perché le dinamiche relative ai riverberi energetici della guerra in Ucraina hanno accelerato un trend di posizionamenti e iniziative politiche che, proprio nel Mare Nostrum, hanno un punto nevralgico.

L’aspetto energetico futuro, dunque, andrà gioco-forza declinato sia in termini di sicurezza energetica alla luce delle nuove scoperte fatte anche dal cane a sei zampe, sia come progettazione legata alla decisione finale sul gasdotto EastMed.

Della questione hanno recentemente discusso in simultanea due forum, a Washington e a Baku, del SE Europe & East Med Forum, in cui sono state approfondite tematiche come il raddoppio del Tap, che permetterà di aumentare flussi e consistenza, l’apporto come buone prassi dell’isola-hub greca di Revithoussa, le iniziative targate di Eni e Total nel Mediterraneo Orientale e le discussioni sull’opportunità di procedere o meno verso il gasdotto EastMed.

Qui si inserisce il progetto del gasdotto lungo 1.900 chilometri che potrebbe collegare Israele alla Puglia e che, alla luce delle conseguenze della guerra russa in Ucraina, è prepotentemente rientrato sul tavolo della discussione tra governi: l’idea aveva preso forma nel 2015, anche grazie alla scoperta effettuata da Eni del giacimento Zohr, ma in seguito aveva subito uno stop dall’amministrazione Biden.

Si tratta di un fazzoletto di acque molto peculiare, dal momento che è diventato centro gravitazionale del gas influendo, direttamente o indirettamente, su tutti i player che si affacciano sul Mare Nosrum. In primis notevoli progressi nella risoluzione delle controversie si sono registrati proprio sotto il comun denominatore delle nuove scoperte.

Nel 2003 ci hanno pensato Egitto e Cipro a delimitare le loro zone economiche esclusive (ZEE), in seguito Nicosia, Beirut e Tel Aviv, sempre più pivot geopolitico dell’intera area, fino ad arrivare alla firma del 2020 tra Grecia ed Egitto e, più recentemente, a quella tra Israele e Libano dopo ben dodici anni di accese discussioni.

Quest’ultimo passaggio è stato caldeggiato dal mediatore americano Amos Hochstein che ha dialogato tra il Libano e la squadra negoziale israeliana guidata dal capo del Consiglio di sicurezza nazionale Eyal Hulata, il direttore generale del ministero dell’Energia Lior Schillat e il direttore generale del ministero degli Esteri Alon Ushpiz. Il risultato finale è stato quello di avere la possibilità di una maggiore libertà nella produzione di gas nel Mediterraneo, proprio grazie a tale intesa storica. Più in generale Israele si è posto l’obiettivo di essere regista indiscusso.

Una tendenza questa che ancora di più dimostra come sul dossier energetico si stia coagulando una nuova ed interessante rete di relazioni politiche che vede i due poli geograficamente più lontani, Israele ed Italia, come potenziali punti cardinali: “alfa e omega”, non solo sulla traiettoria fisica immaginata, illo tempore, per il gasdotto EastMed, quanto sulla comunanza di strategie euroatlantiche da un lato e proiettate alla sicurezza dell’approvvigionamento energetico dall’altro.

@FDepalo

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