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Chi destabilizza il governo in Iran? L’analisi di Pedde

Per il direttore dell’Institute for Global Studies, Nicola Pedde, in Iran il governo è indebolito da divisioni interne. Una fazione è interessata a dimostrare le fragilità dell’esecutivo perché è in corso uno scontro tra prime e seconde generazioni post-rivoluzionarie, con una ridefinizione del vocabolario strategico

Il governo iraniano è su una posizione di fragilità e debolezza interna multidimensionale, e questa condizione gli impedisce di innescare un processo di dialogo franco con il mondo esterno. In sostanza, le divisioni interne al Paese ne complicano potenziali sviluppi internazionali. La Repubblica islamica è sostanzialmente divisa in un blocco governativo conservatore che ha anche delle dimensioni pragmatiche; un sistema collegato al mondo del Sepâh, il Corpo dei Guardiani della Rivoluzione (noto con l’acronimo inglese Irgc) schiacciato su una linea ideologica oltranzista e iper conservatrice; un insieme di collettività deluse e gravide di malcontento che covano sentimenti di protesta contro la struttura politico-istituzionale della Repubblica islamica, perché sentono il peso del depauperamento delle condizioni di vita quotidiana, e altri soggetti alle letture ideologiche più radicali.

La divisione generazionale

Secondo Nicola Pedde, direttore dell’Institute for Global Studies, la possibilità di riaprire il dossier nucleare e ricomporre l’accordo Jcpoa è frammentata tra queste varie posizioni controverse, contraddistinte anche da differenze nelle interpretazioni del Paese tra le varie componenti generazionali.

“Il governo – spiega a Formiche.net – sembra avere una posizione minoritaria: l’esecutivo è collegato alla prima generazione post-rivoluzionaria e appare orientata nel rientro dei dettami dell’intesa che l’Iran siglò nel 2015 con le potenze europee, seppure a patto che che siano gli Stati Uniti a fare il primo passo. Invece quella che sta diventando la linea maggioritaria è la posizione di rottura riconducibile alla seconda generazione e sponsorizzata dall’Irgc”.

Contemporaneamente c’è la visione in costruzione della terza generazione. I giovani che hanno spinto le manifestazioni di protesta contro la teocrazia, sono la componente che ha sfociato sulle piazze il malcontento diffuso. Ma c’è anche una linea molto radicale e conservatrice all’interno di questo gruppo demografico, con il rischio che essa cresca di peso in futuro. Anche perché la protesta si è di fatto annacquata nel tempo. Partita con ampia partecipazione e diffusione, è stata descritta troppo in fretta come una nuova rivoluzione. È invece mancata di una leadership, un passaggio che l’avrebbe potuta far diventare un movimento di fatto, attivo nel panorama politico. Era un rischio di cui l’iranianista Annalisa Perteghella su queste colonne aveva parlato sin dai primi giorni dei moti.

Sabotaggi dall’interno?

Anche per questo, più che per la sua compattezza, il sistema di potere iraniano ha gestito la crisi. “Per tale ragione la vicenda degli avvelenamenti delle studentesse nelle scuole è diventata una questione problematica per il governo. Chiaramente qualcosa è successo, una qualche sostanza ha provocato intossicazioni anche gravi. E la prima vittima di quanto sta accedendo è la credibilità del governo dell’esecutivo. È stato creato il presupposto per far giustamente scrivere i media internazionali che Teheran avvelena le sue ragazze, in rappresaglia contro quella componente simbolica delle proteste. Il governo si difende aprendo un’inchiesta e tirando in ballo la minaccia esterna, quando invece la possibilità è che si sia sviluppato tutto all’interno delle dinamiche di divisione, con l’intento di indebolire la prima generazione dell’esecutivo”, spiega Pedde.

Qualcosa di simile può essere avvenuto con l’arricchimento di uranio. In Iran sono state ritrovate quantità di materiale molto prossimo ai livelli di lavorazione necessaria per una bomba (circa l’84%, serve arrivare al 90 per creare un ordigno atomico anche non eccessivamente tecnologico). I funzionari dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Iaea) che hanno rinvenuto quell’uranio stanno portando avanti un’indagine. Il governo ha definito quanto avvenuto un incidente, ma è chiaro che dietro potrebbero esserci attività di sabotatori interni appartenenti alla fazione più estremista. Ci si attende un documento molto duro nei giudizi sull’Iran da parte dell’agenzia, anche se la recente visita del direttore Rafael Mariano Grossi a Teheran potrebbe aver alleggerito la situazione – con il governo che si è detto disponibile a riattivare almeno la metà delle attività ispettive e a riaccendere parte delle telecamere che dagli impianti mandano immagini all’Iaea (chiuse per protesta contro gli Stati Uniti).

Iran, Asia

“Quella che è in corso in Iran è una ridefinizione del vocabolario strategico, una rivisitazione della narrazione interna che porta il Paese a essere raccontato come una potenza non più del Medio Oriente ma dell’Asia. E sono le seconde generazioni e parte delle Irgc a guidare queste dinamiche guardando sempre più a Russia e Cina e meno al mondo occidentale”, spiega Pedde.

Nel Go-East iraniano la narrazione è semplice: l’Occidente non può e non vuole fare niente per noi, rivolgiamoci altrove. Il punto è che, né a Mosca, tanto meno a Pechino, qualcuno vuole spendersi per l’Iran, che è piuttosto visto solo come forma strumentale per contrastare gli Stati Uniti e l’Occidente. “La prima generazione non crede a quella rivisitazione infatti, perché è già scottata dai tradimenti russi e cinesi, e vuole evitare che queste posizioni finiscano per inasprire la situazione con gli Usa e portare all’azione di Israele”, spiega il direttore dell’Igs.

Cosa aspettarci?

Da qualche settimana si sta parlando con insistenza della possibilità che gli israeliani lancino un attacco preventivo contro i siti nucleari iraniani. Si tratta di ricostruzioni frutto anche di un contesto: in questa fase in cui l’Iran è isolato per aver represso nel sangue le proteste, aver violato pesantemente le condizioni del Jcpoa e aver fornito assistenza militare alla Russia, questo genere di azione aggressiva da parte di Israele sarebbe meno oggetto di critiche – sia da Washington che da Bruxelles. È una supposizione senza certezze.

E dunque, alla luce di questa analisi, cosa aspettarci? “Il mantenimento dello status quo come via di breve termine più ottimistica. Ma si corre sull’orlo di un precipizio. Dall’interno, chi rema contro il governo per spostare gli equilibri su posizioni più intransigenti e aggressive, sta muovendosi in spazi pericolosi che rischiano di finire fuori controllo”, risponde Pedde.



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