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La Silicon Valley scopre la Geopolitica 

Eric Schmidt, dal 2001 al 2020 ai vertici di Google, ha scritto un interessante articolo su Foreign Affairs in cui analizza i cambiamenti tecnologici alla luce degli equilibri tra potenze globali. Il commento di Marco Mayer, i riflessi per l’Italia e per l’Europa e tre punti deboli nel ragionamento del manager

Eric Schmidt – per 20 anni ai vertici di Google – ha scritto un articolo sull’ultimo numero di Foreign Affairs dal titolo The power of innovation che suggerisco a tutti i lettori di Formiche.net di leggere.

Nel testo Schmidt si misura con la dimensione geopolitica della rivoluzione digitale e specificatamente sull’impatto del potere scientifico e tecnologico sugli equilibri della grande politica internazionale.

Questa è già una notizia perché la narrativa imperante nella Silicon Valley è sempre stata ancorata al binomio tecnologia-mercato, con scarso interesse per le relazioni internazionali, gli studi strategici, la politica e la democrazia.

Libertà di impresa o oligopolio?

Per quanto riguarda il versante specifico dell’economia i grandi leader e guru della Silicon Valley hanno da sempre esaltato il mito dominante della libertà di impresa, a cui tuttavia ha fatto riscontro uno scarso interesse per la tutela della concorrenza a livello domestico e internazionale.

D’altronde, al di là della retorica, concretizzare il level playing field (modello ideale dell’economia di mercato) costituirebbe un ostacolo alle concentrazioni di potere in un settore produttivo e finanziario che con il passare degli anni ha sempre più assunto una marcata fisionomia oligopolistica.

Si tratta di un mondo in cui – prima o poi – il pesce più grande finisce sempre per divorare il più piccolo.

Nel 2011 Microsoft ha comprato Skype per una cifra davvero considerevole, 8,5 miliardi di dollari, ma sono innumerevoli le operazioni di M&A promosse (e In alcuni casi imposte) dai Big Tech. Esattamente un mese fa Microsoft ha lanciato la nuova piattaforma sperimentale di Intelligenza Artificiale (AI) con Bing.

L’operazione – concepita per competere con Google – sta suscitando un vivacissimo dibattito in rete perché gli effetti dell’ accesso ai miliardi di dati dai motore di ricerca è ancora tutta da verificare in termini di affidabilità e accuratezza delle risposte. È nata così nel corso di poche settimane una gara tra Microsoft e Google con un primo tentativo di comparare i due progetti:

La computazione di enormi riserve di Big Data sulla base di indicatori e parametri quantitativi – privi di una propria capacità semantica – può portare a buoni risultati in alcuni segmenti di ricerca, ma in altri casi produce risposte insensate.

Se negli Stati Uniti la concentrazione del power market tecnologico, mercantile e finanziario ha preso il sopravvento rispetto alla libertà di intraprendere, competere e commerciare è tuttavia doveroso aggiungere che la situazione in Cina è decisamente peggiore.

In Cina impera il totalitarismo politico e digitale 

Il Dragone combina, infatti, allo strapotere commerciale (favorito dagli aiuti di Stato consistenti quanto opachi) di alcune mega aziende (Tencent, Huwaei, Zte, Alibaba, Baidu, Telecom China, ecc.) la dominazione politica e culturale del partito unico che ha dato luogo ad un sistema di controllo sociale senza precedenti.

Mi riferisco al fenomeno della “technological mass surveillance” che dieci anni fa ho sintetizzato nella espressione “totalitarismo digitale” ovvero l’opposto di una società digitale aperta (Mayer, et al, 2013).

Uno dei principali motivi per cui l’articolo di Eric Schmidt merita di essere letto è perché illustra con efficacia e con esempi incontrovertibili la traiettoria tendenzialmente bipolare che caratterizza la politica internazionale contemporanea.

Il bipolarismo del terzo millennio 

La tendenza bipolare non piace a molti paesi, alla Federazione Russa in primis, e neppure all’Unione Europea, all’India, al Brasile, ecc. Tuttavia il trend va da tempo in questa direzione nonostante i tentativi della narrativa russa di raccontare una storia diversa.

Per chi ha dato credito alla narrativa di Putin e di alcuni intellettuali del Valdai Club (il think thank prediletto dal presidente russo) la stagione dell’unipolarismo americano dopo il crollo dell’Urss (1991) è durata più di trenta anni ovvero sino all’ anno scorso, interrotta solo il 24 febbraio del 2022 con l’invasione russa dell’Ucraina.

Nonostante il tentativo propagandistico di Putin di far coincidere l’invasione dell’Ucraina con la fine dell’ unipolarismo degli USA le cose stanno in termini diversi. Non a caso si è parlato di Unipolar “Moment” ovvero di un ambito temporale molto più breve. La fase dell’egemonia americana è durata poco più di un decennio, al massimo 15 anni.

Quattro eventi epocali hanno progressivamente indebolito gli Stati Uniti: l’ingresso della Cina nel Wto e l’attacco alle Torri Gemelle (2001), l’invasione quasi solitaria dell’Iraq (2003), la grande crisi finanziaria del 2007 indotta da derivati e titoli tossici collegati alla bolla immobiliare.

All’interno dello stesso Valdai Club del resto c’è chi la pensa diversamente e afferma che l’invasione dell’ Iraq del 2003 è stata contemporaneamente il culmine e la fine dell’unipolarismo americano e probabilmente ha ragione.

Un’altra smentita clamorosoa della narrativa di Vladimir Putin risale a dodici anni fa. Basta rileggere quanto scriveva uno dei maggiori studiosi cinesi di Relazioni Internazionali Yan Xuetong:

“The United States has been losing its status as the strongest superpower since the end of the Cold War. The current international superpower dynamic is transitioning from a unipolar system with the United States as its center to a bipolar system with China occupying the other pole”:

La competizione tecnologica Usa/Cina 

Le aree di maggiore competizione tecnologica (civile, militare e duale) tra le due grandi potenze sono nitidamente sintetizzate da Eric Schmidt.

Esse esprimono conquiste scientifiche e applicative sempre più avanzate (e in crescita esponenziale) con cui – volente o nolente – il resto del mondo si deve misurare.

Come vedremo più avanti alcuni ambiti di ricerca e sperimentazione sono molto difficili da misurare in termini di indicatori quantitativi, ma certamente le ultime generazioni di Cloud, Big Data/ AI, Comunicazione e Computazione quantistica, Bio-sintesi sono ambiti di concorrenza molto marcati.

Per chi volesse approfondire seguono 4 link ai siti Iarpa e Darpa a puro titolo esemplificativo tra le centinaia di progetti di ricerca avviati di recente:

https://www.iarpa.gov/research-programs/wriva

https://www.darpa.mil/news-events/2023-03-21

https://www.iarpa.gov/research-programs/microe4ai

https://sam.gov/opp/d16f2a024c65411f98bbb56758e8d1ff/view

Il fantasma della sovranità digitale 

In questo contesto di tumultuosa innovazione parlare di “sovranità nazionale del dato a 360 gradi” rischia di essere demagogico. Anche Stati Uniti e Cina hanno i loro problemi e per quanto sia molto avanti lo stesso Israele ogni tanto perde qualche colpo in termini di sicurezza.

Alla luce di questi incontrovertibili dati empirici le frequenti dichiarazioni del senatore Alessio Butti (FdI) negli anni scorsi, se da un lato sono uno dei rari casi di attenzione positiva della classe politica alla rivoluzione digitale, dall’altro rischiano di non tenere conto di quanto avviene nel resto del mondo in termini tecnologici, anche quando si cita la Francia come esempio di autarchia digitale.

Ma lo stesso si può dire di tanti altri leader che si sono occupati di innovazione digitale. Mi limito a citare in Europa i commissari Breton e Gabriel e in Italia, tra i tanti manager pubblici Francesca Bria che, tra l’altro, rappresenta il Pd nel cda della Rai.

La Francia in campo militare e duale ha siglato un importante accordo Thales/Google che non dovrebbe essere ignorato da chi descrive le politiche digitali di Parigi.

Sovranità europea o Digital Silk Road? 

Nel breve e medio periodo è difficile rincorrere una piena sovranità tecnologica anche a livello dell’Unione Europea. A tal proposito è bene ricordare che l’obiettivo (indefinito) della sovranità digitale europea è sempre stato sostenuto a parole dalla vasta coalizione di interessi che negli ultimi venti anni ha riempito il nostro continente di tecnologie, servizi. componenti, piattaforme, reti e device cinesi.

Tra gli Stati membri l’Ungheria è notoriamente prima per l’influenza delle aziende del Dragone, ma anche Francia, Germania e Italia si sono date, in verità, molto da fare.

Si pensi ad esempio agli accordi tra Orange (ex Telecom France) e la cinese Peace per fare di Marsiglia lo hub delle reti suboceaniche cinesi che connettono Shangai e altre città asiatiche e africane con le principali capitali europee.

Peace ha alle spalle i tre giganti della telefonia cinese: China Mobile, China Telecom e China Unicom. In seguito alle recenti politiche industriali di Pechino, tutte e tre si collocano nel cuore dell’economia cinese del futuro.

L’Italia di Grillo e la seduzione trasversale del Dragone 

Per l’Italia l’influenza è storia nota che tuttavia nessuno ha avuto almeno sinora voglia di approfondire (un po’ come l’acquisto massiccio di mascherine durante la fase iniziale del Covid).

Perché Huwaei, Zte, Wind 3 hanno avuto un ruolo di primo piano nell’introduzione del 5G in Italia durante i governi di Giuseppe Conte? Prima o poi qualcuno dovrà rispondere a questa domanda.

Ma in tema di influenza del Dragone “Alpi Aviation e dintorni ” resta il caso paradigmatico che offre i maggiori spunti per analizzare la disinvoltura trasversale tra opposte sponde politiche nel promuovere a Roma investimenti opachi a favore della Cina.

UE: deficit di cultura tecnologica 

Tornando all’Europa non si può non rilevare una scarsa cultura tecnologica della classe politica e burocratica di Bruxelles che spesso non sa bene di cosa parla quando discorre di autonomia strategica. Ingenti risorse sono state distolte dalle sfide vere del cloud computing e dell’AI per essere dirottate verso progetti inconsistenti come Gaia X.

Mentre lo stesso Gdpr si sta gradualmente trasformando in uno strumento arrugginito o contro producente per la tipica illusione dei giuristi di ingabbiare in improbabili e rigide “fattispecie” i tumultuosi processi di innovazione.

Nella storia la tecnologia ha spesso fatto la differenza, mi viene in mente quanto è stato autorevolmente sostenuto da Giulio Tremonti e dal Ministro Afolfo Urso al convegno dell’Aspen sulla battaglia di Pavia a cui ho recentemente partecipato.

Eric Schmidt: siamo di fronte ad una rivoluzione tecnologica inedita per velocità e pervasività 

Rispetto al passato, però, oggi non è solo una nuova invenzione specifica a fare la differenza in termini di potere (cavalleria versus artiglieria, aviazione contro carri armati, ecc.).

Schmidt insiste giustamente sulla discontinuità rispetto al passato. Per inciso nel 2013 è nel 2017/18 ho sensibilizzato i decisori su Cloud e Big Data, ma all’epoca Conte, Di Maio e Salvini erano evidentemente interessati ad altro. In quegli anni i device alla moda erano monopattini, orologi, videocamere ed ogni altro gadget digitale, chip sottopelle compresi con o senza tatuaggi.

Tuttavia è triste in un grande paese come l’Italia del 2023 vedere la nostra (peraltro ottima) Polizia Postale costretta a difendere i server desueti dei Ministeri; significa che classe politica, alta dirigenza Consip, et al sono rimasti dieci anni indietro.

Nell’attuale fase storica il potere dell’innovazione è caratterizzato da una velocità assolutamente inedita nonché da un carattere straordinariamente pervasivo e trasversale.

Viviamo in società digitali in cui le tecnologie coinvolgono contemporaneamente la dimensione pubblica e privata, l’individuo e le organizzazioni, la dimensione civile e militare, il lavoro e l’automazione, l’arte e il tempo libero. Ed è bene ribadire quanto sia riduttivo e fuorviante parlare di V dominio dal momento processi di digitalizzazione attraversano tutti gli ambiti dell’umano operare.

La difesa dell’Ucraina dagli invasori russi: un mix tra l'”amor di patria” e la diffusione di capacità tecnologiche 

Nel suo articolo Schmidt mette in rilievo come in Ucraina, oltre alla fondamentale mobilitazione patriottica (“l’amor di patria del popolo ucraino” per usare le parole di Papa Francesco) è stato proprio l’uso accorto e massiccio delle nuove tecnologie (cloud per i dati in sicurezza, droni e open sources intelligence) che spiega il sorprendente successo della resistenza militare contro gli invasori russi.

Una intelligente regia è riuscita combinare i profili più strettamente militari a una difesa popolare aperta al contributo di tutti ii cittadino e tecnologicamente ben attrezzata.

Una corsa a due 

Stati Uniti e Cina non sono ovviamente gli unici Stati in buona posizione sulla frontiera scientifico- tecnologica. Molto avanti è – come già accennato – Israele, ma in questo momento la principale la principale corsa tecnologica/commerciale è a due.

A questo proposito l’articolo di Schmidt offre un sintetico quadro comparativo delle prestazioni tecnologiche cinesi e statunitensi. Per ragioni di spazio mi limito soltanto a ricordare che il Dragone dipende dall’import di semiconduttori e dei relativi software e che ha fatto progressi nella produzione di smartphones e chip dedicati, nonché sulla lavorazione delle terre rare di cui è particolarmente ricca.

Tuttavia le fragilità oggettive del Dragone non devono essere sopravvalutate. L’industria cinese è, infatti, cresciuta molto in settori importanti: dalle reti 5G alle comunicazioni quantistiche satellitari, dalla produzione di batterie elettriche per le auto alle fonti energetiche rinnovabili.

I successi industriali cinesi sono favoriti da un uso molto largo di incentivi statali e anche dalla pratica antica dello spionaggio industriale. Nel mondo digitale copiare è molto più facile.

Tuttavia resta il fatto che la Cina ha compiuto un grande salto tecnologico-industriale nell’esplorazione della Luna o che i pannelli solari prodotti in Cina costituiscono i migliori al mondo per qualità/prezzo come ricorda Dan Wang sempre sull’ ultimo numero di Foreign Affairs (Solar Superpower).

In generale il punto di forza della Cina non sta tanto nei suoi laboratori scientifici, quanto nell’innovazione che nasce in fase di implementazione dei prototipi nei suoi ecosistemi industriali, dalla produttività del lavoro in numerosi distretti caratterizzati da mano d’opera qualificata e motivata.

E comparativamente il punto di debolezza degli Stati Uniti è dato dall’eccesso di finanziarizzazione, dal troppo decentramento all’estero delle catene produttive e dal fatto che chi alla fine guadagna dai successi della ricerca avanzata americana finiscono per essere le aziende cinesi.

Ma se la gara sul solare è stata vinta dal Dragone non è per niente trascurabile il fatto che nel campo della produzione di vaccini mRNA gli Stati Uniti abbiano segnato una schiacciante vittoria.

La sorveglianza tecnologica di massa, le proteste popolari e la grande muraglia digitale 

Tornando alla Cina non si deve, infine, dimenticare che essa eccelle da anni (Big Firewall) nelle capacità di censura di internet e nella messa in opera di reti, apparati, tecniche e risorse umane per la sorveglianza tecnologica di massa “all sources”.

Milioni di videocamere interne ed esterne agli edifici, e il diritto del Partito e dello Stato di intromettersi nella vita delle persone, delle industrie, delle scuole, dei locali pubblici, delle banche hanno creato i presupposti per la realizzazione di un gigantesco sistema di sorveglianza di massa in grado di monitorare quasi un miliardo e mezzo di persone.

L’uso (e l’abuso) del riconoscimento facciale consente di profilare i cittadini e assegnar loro sanzioni o incentivi in base ai loro comportamenti all’ interno di un complesso meccanismo denominato Social Credit System.

Tuttavia i controlli funzionano sino a un certo punto. Le grandi rivolte di fine 2022 hanno lasciato il segno e le contraddizioni interne al regime non devono essere trascurate.

Alcuni punti deboli del ragionamento di Eric Schimdt 

È davvero difficile comprendere capire perché le rilevanti implicazioni geopolitiche della rivoluzione digitale abbiano fatto tanta fatica ad emergere. Forse per il mito della neutralità tecnologica? Forse perché non si è capito che l’impatto sociale e politico delle tecnologie cambia da paese a paese sulla base delle diverse tradizioni culturali e del tipo di regime?

Il dato di fatto è che sono passati già sedici anni dall’ attacco di Mosca all’ Estonia e 14 anni dalla svolta nella politica digitale israeliana in materia di cybersecurity guidata da Isaac Ben Israel.

Sarebbe interessante chiedere perché solo ora Eric Schmidt ha scoperto la Geopolitica?

Concludo questo articolo con tre osservazioni critiche rispetto all’analisi di Schmidt. I punti che non mi convincono sono i seguenti.

a) l’imperativo di puntare sempre e comunque sulla commercializzazione della ricerca è una scelta sbagliata. La ricerca di base è ricerca di base senza ipoteche preventive. Pertanto deve avere un finanziamento pubblico a prescindere dei risultati a breve siano essi di carattere politico-elettorale o di opportunità di business creati da start up.

b) per una vera deterrenza nei confronti della Cina e difendere le democrazie e i valori di libertà gli Stati Uniti non devono agire da soli come sembra sostenere Schmidt che non cita mai gli alleati. Servono alleati anche sul fonte dell’innovazione tecnologica, sul piano industriale, scientifico e militare.

Per vincere la competizione con i regimi autoritari serve stabilire una strategia condivisa dagli Stati Uniti con governi, imprese e università dei 5 eyes, degli Stati membri dell’Unione Europea, del Giappone e di tanti altri paesi. Le ambiguità persistenti nei confronti di TikTok o la stessa complicata vicenda di Apple potrebbe infatti incoraggiare i free riders alla Orban che puntano ad entrare nell’orbita cinese.

L’eccesso di interdipendenza economica tra Cina e Stati Uniti (e suoi alleati) dovrà essere ridotta in alcune aree sensibili, ma i volumi di scambi resteranno molto alti. Ciò che tuttavia gli Stati Uniti e tutto il mondo libero dovranno mantenere, anzi potenziare , è la capacità di attrarre i migliori talenti da tutto il pianeta. Per fortuna le libertà attirano, le dittature no se non per ragioni puramente venali.

c) il terzo punto è relativo alla cultura digitale. Nell’analisi di Schmidt domina la visione problem solving, non traspare né senso della storia né spirito critico. È vero che Schmidt e ancora meglio Bill Gates finalmente offrono una visione realistica e non mitica della cosiddetta intelligenza artificiale.

Era l’ora. Essa viene concepita come una tecnologia che può aiutare gli esseri umani a risolvere una miriade di problemi pratici che ogni società ha di fronte. Schmidt chiarisce che per ora non si può parlare di intelligenza artificiale generale (AGI).

L’uso di queste tecnologie non apre un nuovo mondo ma si deve muovere tenendo conto che accanto a competizione e/o cooperazione geopolitica esistono domande umane di natura etica, psicologica, filosofica e politica che si nutrono dell’ideazione umana e del dibattito pubblico, almeno in democrazia.

In altre parole l’innovazione può contribuire a velocizzare e moltiplicare in modo straordinario il problem solving, ma c’è il pericolo di ridurre la persona ad un unica dimensione, la dimensione del calcolo razionale. Sarebbe un bel guaio per la società del futuro. Guai perciò a dimenticare che l’AI non è in grado di cogliere il significato del pensiero, né di produrre idee, e neppure di sentire i flussi dell’intelligenza emotiva, né delle dimensioni creative e affettive della persone.



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