Secondo Bonavita (King’s College), l’Italia ha tutte le capacità e gli interessi a lavorare nell’Indo Pacifico, usando la porta di collegamento tra il Mediterraneo allargato e l’Oceano Indiano e formando anche intese trilaterali come quella che potrebbe costruirsi con Giappone e India
“Pensare di non essere presenti nell’Indo Pacifico sarebbe un errore strategico, e dunque senza sovrastimare le nostre potenzialità, possiamo dire senza indugi che l’Italia ha le capacità e adesso l’occasione per essere parte di questa regione che avrà un peso sempre più importante negli equilibri internazionali con riflessi diretti per la sicurezza e la prosperità del mondo e dunque per l’Unione europea e per l’Italia”, spiega Mauro Bonavita, che co-coordina un gruppo di lavoro sulla regione al King’s College di Londra.
Bonavita parla con Formiche.net da Nuova Delhi, dove è invitato a partecipare al “Raisina Dialogue”, conferenza sulla sicurezza regionale che quest’anno sarà inaugurata da Giorgia Meloni e darà spazio al bilaterale con il premier indiano, Narendra Modi.
La visita in India della presidente del Consiglio ha riportato sul tavolo di lavoro di Palazzo Chigi il tema Indo Pacifico, enorme regione di mondo che comprende due oceani e che è in contatto con la facies geo-strategica del Mediterraneo allargato. Da un lato quella parte di mondo “asiatico” significa Cina, e il dossier sul tavolo è quello che riguarda l’eventuale rinnovo del memorandum d’intesa sulla Via della Seta (siglato dall’Italia nel 2019); dall’altro significa una serie di opportunità e dinamiche sganciate da Pechino. Queste ultime passano da una traiettoria che il viaggio di Meloni traccia nel corso del viaggio che dall’India arriva agli Emirati Arabi.
Se diamo per accertato che tutto ciò che accade e accadrà nella regione indo-pacifica ricadrà direttamente sull’Europa, allora diventa comprensibile come anche l’Italia debba esserne parte. D’altronde, è la stessa Unione europea ad aver ormai strutturato una proiezione all’interno di quell’areale. Come può Roma proiettarsi nell’Indo Pacifico?
“Se l’Italia vuole essere attiva e riconosciuta nell’Indo Pacifico, come auspicabile, deve pensare a una propria presenza permanente – risponde Bonavita – che non si limiti ad una semplice presenza militare sporadica. L’obiettivo va oltre al ‘mostrare bandiera’, attività per cui in anni recenti il Regno Unito, che ha inviato una portaerei nella regione nel 2021, viene criticato nella regione. Quello che in l’Italia può sembrare già un segnale sufficiente sarebbe in realtà letto nella regione come un gesto troppo limitato. Piuttosto, ci sono molti ambiti multilaterali e minilaterali a cui Roma può prendere parte come attore politico”.
L’esperto del King’s College prende come esempio l’Indo Pacific Ocean Initiative o l’Indian Ocean Naval Symposium, all’interno dei quali l’Italia può richiedere una presenza fissa in cambio di un’attività maggiore nella regione. Ma teorizza anche la possibile creazione di altri sistemi, per esempio un trilaterale India-Italia-Giappone. “Questo trilaterale metterebbe assieme un attore con cui i rapporti sono già consolidati, il Giappone, e con cui si stanno implementando rapporti sul fronte tecnologico (innanzitutto sul campo della Difesa), con l’India, un attore centrale che è in fase di emersione e che ha già grandi rapporti con Tokyo e che quindi potrebbe aiutare l’Italia ad allargare realmente la sua proiezione mediterranea all’Oceano Indiano”.
Sempre restando sul tema dei collegamenti mini/multilaterali, su queste colonne è stata lanciata l’idea di trasformare l’accordo tra Israele, India, Usa e Uae noto come “I2U2” in un “I3U2”, ossia includendo in quel sistema anche l’Italia. Su questa via si muove d’altronde il viaggio di Meloni, che dopo Nuova Delhi sarà ad Abu Dhabi e successivamente, la prossima settimana, dovrebbe ricevere a Roma l’israeliano Benjamin Netanyahu.
Secondo Bonavita, India e Italia condividono anche per il Golfo un’idea comune: intendono come fondamento il mantenimento della sicurezza regionale, e sono entrambe molto attive all’interno delle dinamiche che toccano l’area. “Credo che l’Italia debba iniziare a impegnarsi nell’Indo Pacifico senza sovraestensioni, trovando agganci concreti, impegni consistenti e presenza graduale: e per questo l’Oceano Indiano occidentale è uno degli ambienti regionali in cui le attività italiane possono iniziare a concentrarsi”.
Ed effettivamente, quando l’Italia è attiva con partnership e collaborazioni, o presenza politico-geopolitiche in generale, all’interno di quel sistema di connessioni che lega il Corno d’Africa, il Mar Rosso, il Golfo di Aden e il Mar Arabico, e dunque Golfo e Mediterraneo, diventa un attore attivo lungo la dorsale occidentale indo-pacifica. È per questo che la porta d’accesso verso Oriente passa per il miglioramento delle relazioni diplomatiche ed economiche, nonché del coinvolgimento nelle dinamiche regionali, con i Paesi del perimetro dell’Oceano Indiano. Un ambiente geostrategico che confina con il Mediterraneo allargato, ossia con ciò che l’Italia individua storicamente come ambito della propria proiezione internazionale.