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Piano Libia, così Roma risponde alla guerra ibrida di Wagner e Pechino

Avendo preso contezza che ormai gran parte dell’Africa è sotto il dominio di Cina e Russia (anche per debolezze progettuali altrui), si rende imprescindibile che Ue e Italia pianifichino una strategia per l’Africa, come fatto dal governo Meloni con il Piano Mattei

Quando il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, chiede di accendere un fascio di luce sul continente africano, tocca un nervo scoperto a Bruxelles dalla deposizione di Gheddafi in poi. Perché certifica, attualizzando le dinamiche che toccano anche energia e Ucraina, che ormai gran parte dell’Africa è sotto il dominio di Cina e Russia anche per debolezze di altri players continentali, per cui si rende imprescindibile che Ue e Italia pianifichino una strategia per l’Africa, come fatto dal governo Meloni con il Piano Mattei.

La questione è legata a doppia mandata non solo alla cosiddetta guerra ibrida, che si combatte con altri strumenti come grano, acqua, energia e immigrazione (tutti peraltro connessi all’invasione russa di Kiev), ma anche al futuro industriale del vecchio continente, come ad esempio quello green legato alle batterie.

Pressioni afro-europee

Il ministro ha ricordato che, poche settimane prima dell’invasione russa dell’Ucraina, venne allestito un ponte aereo per trasportare profughi siriani, afgani e iracheni in Bielorussia, al solo fine di indirizzarli verso la frontiera europea (Polonia e Paesi baltici schierati per Kiev). Stesso cliché oggi potrebbe verosimilmente verificarsi nel Mediterraneo centrale, dove accanto al fronte libico, c’è quello tunisino ed etiope. Il passo nella direzione della costruzione di una politica industriale europea per fronteggiare l’ultra invasività cinese a quelle latitudini è l’unica strada percorribile, al fine di non subire ulteriori danni, diretti (come le ramificazioni della Bri) e collaterali (come l’ulteriore destabilizzazione ad opera di Wagner, già raccontata su queste colonne).

Il primo fronte dove intervenire resta comunque quello libico, dove si intravede una nuova strategia: l’Italia addestrerà le forze speciali libiche. L’intesa è stata siglata dal capo di stato maggiore del governo libico di unità nazionale con sede a Tripoli, il generale Muhammad al-Haddad e l’ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone. In questo modo i due governi provano a rafforzare la cooperazione in una regione del Mediterraneo delicatissima, proprio per la concomitanza di più emergenze contemporanee che impattano sul paese di prima prossimità, ovvero l’Italia.

Del tema libico si è discusso, inoltre, in occasione di un vertice tecnico ospitato dalla Eubam (l’euro missione di assistenza alla gestione integrata delle frontiere in Libia) con la partecipazione degli Stati membri dell’Ue in Libia e le delegazioni dell’Ue a Tripoli. L’obiettivo è creare sinergie in grado di rispondere meglio alle esigenze espresse dalle autorità libiche, in particolare nel campo della gestione delle frontiere, ha twittato la missione. Il tutto mentre la Camera dei rappresentanti di Tobruk, a maggioranza, ha dato il via libera al disegno di legge sull’intelligence.

Allarme Unhcr

Di pari delicatezza c’è sul tavolo sia il dossier Tunisia, su cui il tema centrale verte ancora il prestito da parte del Fmi senza il quale il paese potrebbe fallire nel prossimo semestre, sia altri due fronti: Somalia ed Etiopia. Il richiamo giunge da un paper di Unhcr secondo cui nell’area della regione dei Somali dell’Etiopia è in corso una stagione di fortissimi conflitti, precisamente nella zona somala di Sol, dove centinaia di migliaia di persone sono sfollate all’interno del Paese e si stima che quasi 100.000 abbiano attraversato il confine con l’Etiopia per sfuggire alle violenze.

La maggior parte di chi è giunto in Etiopia sono soggetti fragili, come donne, bambini, anziani senza contare i moltissimi minori non accompagnati. Difficile anche la situazione umanitaria sul campo, con altissimi rischi di epidemie. È questa un’area tra le più colpite dalla peggiore siccità degli ultimi 60 anni: un quadro complesso che impatta su uno scenario già in sofferenza, dal momento che l’Etiopia ospita già 884.000 rifugiati e richiedenti asilo, provenienti soprattutto da Sud Sudan, Somalia ed Eritrea.


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