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Le armi a Kiev una questione di libertà. Il messaggio di Meloni (anche) ai pacifinti-referendari

Si chiude la visita del Presidente del Consiglio a Londra, dove con Sunak emergono comuni visioni su migranti, guerra e Cina accanto alla consapevolezza che – dopo i distinguo francesi su Pechino e Taiwan – spetta a Roma ribadire l’atlantismo europeo

Una frase per ribadire, anche in terra inglese, il supporto sine die a Kiev e, al contempo, per rispondere a chi da domani in Italia inizierà a raccogliere le firme per il referendum contro l’invio delle armi alla resistenza guidata da Volodymir Zelensky. Quando Giorgia Meloni in visita a Downing street dice che “l’amore per la libertà è più forte dei missili” mette l’accento su un concetto strategico (solo) in apparenza scontato, ma che si rivela cartina di tornasole per spiegare, anche ai soggetti impegnati in queste ore in un possibile tavolo diplomatico, che altra via non c’è da parte dell’occidente.

Ucraina

La sede scelta dal premier per questo ragionamento, ovvero il Regno Unito di Sunak, è significativa dal momento che il tema Ucraina è stato pesato da Londra fin dall’inizio in chiave euroatlantica, senza sbavature o distinguo. E si somma a quello dei migranti, ovvero due segmenti delle politiche internazionali su cui si stanno concentrando sforzi e progetti da parte di alleati e competitors.

“Oggi più che mai – ha detto Meloni ricevendo il premio Grotius dal think tank Policy Exchange – libertà, pace, indipendenza e sovranità sono principi che vale la pena riaffermare e, cosa più importante, per i quali lottare”. Per cui non solo secondo il premier dobbiamo avere la capacità di conservare ciò che è prezioso e insostituibile (“la nostra identità, la nostra storia, i nostri valori, la civiltà che abbiamo costruito”) ma occorre lottare per riaffermare i nostri valori fondanti e difendere le nostre conquiste (“l’aggressione russa non è semplicemente un atto di guerra; è un assalto ai principi fondamentali della civiltà”). “Non stiamo con l’Ucraina perché ci piace la guerra, stiamo con l’Ucraina perché ciò che vogliamo difendere è più forte della paura della guerra”.

Africa

“La maggior parte degli astenuti sulle Risoluzioni Onu” sulla guerra in Ucraina “proviene dall’Africa e dall’Asia. Non possiamo dare l’impressione di non dedicare la giusta attenzione ad altre aree strategiche chiave del mondo”, aggiunge, aprendo di fatto il secondo macro tema.

L’intesa con Sunak si è sviluppata anche sull’immigrazione, dossier su cui sta impattando l’insieme delle preoccupazioni europee sulla Tunisia, alle prese con il quasi default. Il quesito del Presidente del consiglio (“In caso di disastro economico in Tunisia, dato che si dice che ci siano centinaia di persone intenzionate a partire, che si fa?”) è forse rivolto anche a chi, da un lato, deve avallare i fondi a Tunisi e, dall’altro, a chi deve supportare l’intero capitolo dell’accoglienza. Lampedusa nelle ultime settimane assomiglia sempre più a Lesbo, l’isola greca diventata simbolo delle difficoltà con cui l’Ue ha gestito gli ingenti flussi in arrivo e dove Papa Francesco è stato in visita due volte.

Proprio l’area africana necessita quindi di una cooperazione paritaria grazie a “risorse efficaci”, ha ribadito Meloni a Sunak, preferendo il pragmatismo agli approcci ideologici, senza risparmiare una stoccata (“su migranti giudizio varia in base a colore governo”). E indica la strada da seguire nell’evitare il rischio di polarizzazione tra Nord e Sud, ”l’Occidente e il resto”. Il Piano Mattei per l’Africa rappresenta in questo senso la scommessa dell’Italia.


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