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Carbon tax, Ue e Usa devono accordarsi sullo standard globale

Emissioni

Bruxelles e Washington vogliono tassare le emissioni, ma i loro approcci diversi possono scatenare nuove tensioni commerciali. E un mancato accordo può far deragliare sia la cooperazione industriale green che il processo globale di transizione. Ecco come evitare la prossima guerra dei dazi – e perché il ruolo del G-7 sarà fondamentale

Stati Uniti e Unione europea hanno tracciato le proprie strade per decarbonizzare le rispettive economie. Da una parte c’è l’Inflation Reduction Act, il gigantesco pacchetto di incentivi per innescare la transizione Usa dopo anni di attendismo. Dall’altra c’è il Green Deal Industrial Plan, un piano vasto e multiforme che trova i suoi appoggi in diverse misure e atti legislativi. Nel mentre Washington e Bruxelles lavorano per rendere complementari questi processi, dal momento che entrambi si basano anche su sussidi statali e misure protezioniste, ed è necessario evitare che gli alleati si facciano la guerra (dei dazi) a scapito della transizione.

I risultati di questo lavoro di coordinamento sono già evidenti sul versante dei materiali critici. Ma altri aspetti saranno molto più ostici da conciliare, potenzialmente motivo di frizione. Tra tutti il meccanismo europeo di aggiustamento della CO2 al confine, o Cbam, un sistema per tassare i beni di Paesi extra-Ue prodotti con standard ambientali meno stringenti. Lo scopo è proteggere i produttori europei dal dumping, facendo pagare ai Paesi terzi la differenza dei costi di produzione e incentivandoli così ad allinearsi alle regole Ue per evitare questi dazi. Si partirà dal tassare i prodotti ad alta intensità di CO2, come acciaio e alluminio, dal 2026.

Se questa carbon tax funziona come si immaginano a Bruxelles, vincono il clima e l’economia verde di tutti i Paesi allineati. Le istituzioni ci credono: l’approvazione finale del Consiglio è arrivata questa settimana. Ma altri Paesi percepiscono il Cbam come un ostacolo ingiustificato che va a svantaggiare chi ha piani di decarbonizzazione diversi da quelli europei. Vale tanto per le nazioni emergenti, come l’India, quanto per quelle più industrializzate, come gli Usa, che criticarono aspramente i progetti del Cbam nell’epoca pre-Ira. E mentre Bruxelles lavorava sui dettagli della strategia, Washington approntava un’alternativa: il Global Arrangement on Sustainable Steel and Aluminum, o Gassa.

UNA QUESTIONE DI METODO

Essenzialmente il progetto Gassa consiste in un club di Paesi produttori che si danno determinati limiti e impongono tariffe, legate a questi limiti, sulle emissioni nella produzione di acciaio e alluminio. I dettagli precisi del piano statunitense non sono ancora pubblici, ma Foreign Affairs riporta che i dazi sarebbero più alti per chi non fa parte del club e vuole commerciare con i membri. Per entrare a far parte del club, basta che un Paese diventi più sostenibile, imponendo limiti più stringenti alle emissioni.

A una lettura superficiale l’approccio Usa sembra simile a quello Ue. La differenza fondamentale è nel metodo. Il Cbam si basa sul rispetto delle regole dell’Organizzazione mondiale del commercio, imponendo lo stesso dazio per le emissioni (che è calcolato sul prezzo dei crediti di emissione europei Ets) ai prodotti nazionali e stranieri. Il club Gassa, invece, vuole creare una coalizione di Paesi e indirizzare i loro standard ambientali e la loro leva economica verso la decarbonizzazione di alcune fonti di emissioni industriali.

Soprattutto, a differenza del Cbam, la proposta Gassa è indifferente alle strategie politiche dei singoli Paesi per affrontare le emissioni interne: è lo stesso approccio hands-off su cui Washington ha disegnato la sua risposta globale alle regole europee di protezione dei dati. E potenzialmente entrambi i sistemi potrebbero stabilire lo standard internazionale, a patto che altri Paesi li adottino. Però i due approcci sono divergenti, potenzialmente incompatibili, e senza una visione comune è difficile che i nascituri standard globali possano essere estesi ad altri prodotti in futuro e rendere sia la protezione dei dati che la spinta alla decarbonizzazione due elementi centrali dell’economia globale.

UN PUNTO DI FRIZIONE

Il problema delle carbon tax è che Washington e Bruxelles stanno negoziando da quasi sei mesi, e a quanto risulta a FP, sono ancora lontane da un accordo. Con ogni probabilità l’Ue rigetterà il sistema Gassa perché è pensato (anche) per aggirare il Cbam, che è frutto di un lungo e doloroso processo di negoziazione tra i Paesi Ue. Da parte loro gli Usa hanno rifiutato il sistema Cbam, spiega FA, perché “non hanno alcuna prospettiva reale di approvare una legge che stabilisca un prezzo federale della CO2”.

Nel mentre la finestra dei negoziati si sta chiudendo: all’orizzonte campeggiano le elezioni del prossimo presidente Usa, che potrebbe avere tutt’altro approccio rispetto a quello collaborativo e attento alla questione climatica dell’amministrazione Biden. Parallelamente si alza il rischio di riaccendere le tensioni commerciali tra le due sponde dell’Atlantico, già viste con il caso Ira, o addirittura che Ue e Usa tornino a imporre tariffe come all’epoca trumpiana.

Un conflitto del genere farebbe deragliare il progresso verso gli obiettivi globali di decarbonizzazione. Senza contare che se Ue e Usa andassero in ordine sparso indebolirebbero il fronte industriale greentech dei Paesi democratici, che cerca di coniugare dirigismo in salsa verde alle dinamiche dell’economia di mercato mentre si sforza di ridurre la dipendenza, ancora molto marcata, dai Paesi autocratici. Che poi sarebbero i grandi vincitori della disunità transatlantica: secondo Statista la Cina è di gran lunga il primo esportatore di acciaio e alluminio, mentre la Russia si colloca al terzo e quinto posto rispettivamente.

LA VIA PER UNA SOLUZIONE

Raggiungere un accordo che allenti le tensioni commerciali e incoraggi la decarbonizzazione globale richiederà un compromesso da entrambe le parti. Le tariffe Cbam non entreranno in vigore prima del 2026, cosa che dà alle due parti poco meno di tre anni per appianare le loro divergenze. Per l’Ue si tratta di accettare che le strategie di altri Paesi potrebbero non prevedere un prezzo della CO2 come i certificati Ets, mentre gli States dovranno rassegnarsi al fatto che l’Ue implementerà la sua carbon tax.

Per FA la strada più percorribile è rimettere mano al meccanismo Cbam per renderlo compatibile con un sistema Gassa ridisegnato. Il contesto migliore per trovare una mediazione è il G-7, che nel 2015 fu essenziale nel portare alla luce gli accordi di Parigi e nel 2024 sarà a guida italiana. I Paesi membri possono mettere sul tavolo un accordo-cornice su acciaio e alluminio, i soggetti del progetto Gassa, con l’obiettivo di ampliare la copertura nel tempo.

Per far sì che un sistema del genere abbia reali possibilità di successo e sia adottato da Paesi terzi, questo deve essere un soggetto ibrido, compatibile sia con l’approccio Ue, sia con quello Usa, sia con gli obiettivi di sviluppo dei Paesi emergenti – che saranno la fonte della maggior parte delle emissioni future. Mettendo in conto che i proventi delle carbon tax dovranno sostenere la transizione dei Paesi più poveri, uno degli obiettivi espressi alla Cop sul clima.

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