Le parole dell’ad di Eni (“L’Europa non è un Paese, non è neanche una Federazione. Non ci possiamo confrontare con Paesi come la Russia, la Cina e gli Usa. L’Europa assomiglia molto più all’Africa che agli altri tre”) rimarcano una volta di più l’errore macroniano di considerare l’Ue come Terzo polo. Il gas, le esigenze del vecchio continente e quella previsione di Andreatta
L’Ue? Non certo il Terzo polo, dopo Usa e Cina, ma un’entità che somiglia più all’Africa che a macro player come Russia, Cina o Stati Uniti. Le parole dell’ad di Eni, Claudio Descalzi, pronunciate ieri a margine di un evento, aggiungono densità alle critiche mosse rispetto al cambio di paradigma di Emmanuel Macron su Europa, Cina e Usa. Una correzione di rotta, quella francese, che porta in grembo precise conseguenze, tanto in ottica euroatlantica quanto sui dossier più rilevanti come difesa, sicurezza, Ucraina e Mediterraneo su cui da queste colonne si sono già espressi, tra gli altri, il presidente della Commissione Esteri/Difesa del Senato Stefania Craxi e il prof. Carlo Pelanda.
Energia e medicinali
“L’Europa non è un paese, non è neanche una Federazione – ha osservato Descalzi, appena confermato al vertice del cane a sei zampe – Non ci possiamo confrontare con paesi come la Russia, la Cina e gli Usa che sono paesi. Non si possono confrontare cose che non c’entrano molto l’uno con l’altro. Noi apparteniamo ad un’alleanza atlantica, a livello politico, ma dal momento in cui c’è bisogno di energia, un paese aiuta se stesso. E l’Europa difficilmente può aiutare se stessa perché non ha energia. Lo abbiamo visto con i medicinali quando abbiamo avuto una rottura degli stock. Lo abbiamo visto quando abbiamo avuto una rottura di stock di energia”.
Gli esempi portati da Descalzi, ovvero gas e medicinali, sono calzanti in questo ragionamento perché pragmatici e non ideologici e vanno confrontati con la tesi macroniana, su cui il Ppe ha chiesto una plenaria del Parlamento europeo. Quando il presidente francese asserisce che “non siamo vassalli di nessuno”, o che “l’Europa rischia di essere coinvolta in crisi che non sono le nostre” (ovvero Taiwan) non tiene conto del parallelo con l’Ucraina, sul cui scenario se valesse la tesi pro Cina allora non bisognerebbe sostenere neanche Kiev.
Europa-Africa
Ma non è tutto, perché Descalzi tratteggia una ulteriore discriminante quanto a vicinanze di status, quando mette l’accento sul comune denominatore tra Europa e altri player. “L’Europa assomiglia molto più all‘Africa che alla Russia, alla Cina o agli Stati Uniti perché ci sono paesi diversi, lingue diverse, norme diverse, fiscalità diverse e connessioni che esistono ma che sono carenti dal punto di vista energetico. Parlare dell’Europa come se fosse una nazione o posizionarla lo possiamo fare a livello politico come alleanza atlantica. Possiamo fare un altro tipo di alleanza a livello politico ma sui fatti esistenziali, come abbiamo visto in ultimi 3 anni, sistema è un po’ carente”.
A proposito di carenza, il ragionamento torna al riferimento iniziale, ovvero energia e medicinali. Se sui farmaci è stato necessario un evento di portata globale, come la pandemia, a certificare ruoli e azioni da intraprendere per presente e futuro (magari con un piglio più preventivo), anche sul dossier energetico un big bang come la guerra in Ucraina è stato trainante, consentendo ai singoli paesi di riequilibrare le singole politiche su forniture e accordi one-to-one, al fine di raggiungere lo smarcamento dal gas russo.
Nel 1993 l’ex ministro del tesoro Nino Andreatta osservava che “la fine della guerra fredda non ha determinato certo una revisione delle scelte fondamentali di appartenenza dell’Italia alla Comunità europea e all’Alleanza Atlantica. Ha bensì comportato la fine di ogni automatismo e di ogni rendita di posizione. Nelle nuove condizioni internazionali non basta più appartenere: occorre operare, dimostrare, qualificarsi con la propria presenza e il proprio peso”.
Ovvero anche allora un macro evento come la fine della guerra fredda fu determinante per un cambio di passo, ma con la postilla di ciò che l’economista propose in quel periodo: ovvero un ciclo di incontri anche con i paesi più piccoli, oltre che con big come Francia e Germania, per analizzare le relazioni bilaterali in chiave europea. Non solo in questo modo si riuscì a dare un peso anche ai paesi membri più piccoli, ma è come se già trent’anni fa volesse in qualche modo mettere in chiaro che l’Ue non è un paese come Usa e Cina, ma ancora una somma di singoli che deve restare nel solco dell’euroatlantismo.
@FDepalo