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La scomparsa dei partiti e la crisi dei media mainstream. La versione di Proietti

Una comunicazione che “non raffigura più l’opinione pubblica” e che quindi lascia sul terreno migliaia di copie. Il rapporto fra media e politica è sempre più complesso, complice la crisi dei partiti che si sono trasformati in tribune per i leader. L’ex cronista del Corriere: “La personalizzazione della politica ha provocato un anche uno scadimento del sistema dei media tradizionali (e non). Tant’è che sono stati abbandonati in massa dai propri lettori”

I media mainstream si scontrano sempre di più con una realtà che non riescono più a descrivere. Chiedere oggettività, forse, sarebbe troppo, ma abdicare completamente al proprio ruolo informativo e propinare ai lettori (o spettatori, che dir si voglia) teoremi precostituiti e politicamente orientati può essere molto dannoso. La narrazione della politica, in questo senso, è quella che risente maggiormente del fenomeno. Tra il crollo verticale delle copie di alcune testate e il declino della politica c’è un nesso forte. “Il dibattito odierno sul rapporto tra la stampa e le presunte leadership nei governi (o di partito) appare l’ennesimo miracolo all’italiana (o trauma) di una comunicazione che non comunica e che non raffigura più, per varie ragioni, l’opinione pubblica”. Ne è convito Fernando Proietti, per molti anni cronista politico del Corriere della Sera.

È sempre più evidente un grande scollamento tra informazione e sentimento dell’opinione pubblica. Cosa è cambiato?

È sotto gli occhi di tutti che in Italia, per effetto della scomparsa dei partiti di massa, la personalizzazione della politica ha provocato un anche uno scadimento del sistema dei media tradizionali (e non). Tant’è che sono stati abbandonati in massa dai propri lettori. Il caso più emblematico di questo tracollo è il quotidiano di Eugenio Scalfarila Repubblica. Bollato a torto o a ragione come un “giornale partito” (di centro-sinistra erede dell’esperienza laica e radicale del Mondo e dell’Espresso), una volta arrivata a conclusione la leadership politico-culturale del suo fondatore il quotidiano, oggi di proprietà degli eredi Agnelli, rischia, appunto – per diffusione e influenza -, di fare la fine dei giornali storici di partito: l’Unità, il Popolo, l’Avanti, la Voce Repubblicana.

Nostalgia per il passato? Per l’immobilità della prima Repubblica che non passa? 

Intanto, una premessa: sarebbe sbagliato e inutile continuare a ragionare su un mondo sparito se non ci fosse ancora la necessità storica di rimettere nell’ordine della verità sul nostro ultimo tormentato trentennio. Un trentennio segnato dalla ideologia, o trans-ideologia secondo la politologa Nadia Urbinati, “utilizzata indiscretamente dai tutte le affiliazioni partitiche”. Una giustificazione ideologica cavalcatala ancora oggi nei racconti giornalistici spesso surreale. Aspettiamo ancora che gli esegeti dell’informazione sulla nascita della Seconda Repubblica ci parlino del suo tracollo. O sono già passati alla Terza?.

Ma come si spiegano anche certi “innamoramenti dei media, non solo in Italia, per quasi tutti i supposti statisti, o segretari di partito, a volte venuti dal nulla? 

Mi si passi il paragone un po’ irriverente, ma dal 1992 in avanti siamo entrati in un circuito politico e mediatico affine ai reality televisivi: da “Scherzi a parte” della “rivoluzione italiana”, promessa da Tangentopoli sotto la spinta dei poteri forti e dei loro giornali, all’ “Isola dei famosi” con i nani e le ballerine che entrano ed escono da Palazzo Chigi senza rimpianti da parte dei loro stessi laudatores a mezzo stampa e tv. Dobbiamo tornare al 2001 per citare l’ultimo presidente del Consiglio scelto dal voto popolare, Silvio Berlusconi. Tutti gli altri, nel mezzo, sono usciti di scena senza aver lasciato nessun segno carismatico o rimpianto, anzi sono considerati degli outsider sfortunati della domenica: il bocconiano Mario Monti, Enrico Letta stai sereno, il rottamatore rottamato Matteo Renzi, Paolo Gentiloni, l’ignoto avvocato Giuseppe Conte uscito dal cilindro magico di Beppe Grillo, lo stesso SuperMario Draghi.

Dunque, anche la crisi del sistema informativo è figlia della fine del sistema dei partiti?  

Basta vedere l’andamento catastrofico della diffusione dei giornali contagiati come altre istituzioni da una mutazione che rischia di essere esiziale: il partito politico. Assistiamo a campagne elettorali basate solo sulla personalità dei candidati, spesso scarse e senza un curriculum politico decente, che – in passato -, generalmente erano riservate ai dittatori. Insomma, senza una bussola politico-ideologica e con un sistema di voto bastardo che nega ai cittadini di scegliersi il parlamentare mentre premia i candidati scelti dai cacicchi si è puntato sulla faccia nuova, l’uomo della provvidenza…E i media ci sono andati dietro lasciando sul campo milioni di copie.

Quando ha inizio questa involuzione nel rapporto tra carta stampata e politica? 

Qui in Italia si può attribuire ai referendum elettorali capitanati da Mario Segni nel 1991. L’illusione che un singolo politico potesse, sia pure un sistema fortemente parlamentare e con un presidente del Consiglio dai poteri limitati secondo Costituzione, scavalcare i partiti tradizionali a cominciare dal suo, la Democrazia cristiana. Una battaglia sostenuta dai poteri forti e dai loro giornali. Basta ricordare che l’uomo della finanza più discreto al mondo, Enrico Cuccia, è andato a firmare i referendum davanti ai fotografi…Prima ancora era stato il segretario del Psi, Bettino Craxi, ad esercitare un ruolo di padre-padrone nel suo partito e tentare di ricoprire lo stesso ruolo una volta seduto a Palazzo Chigi. È ben nota la triste parabola sia di Segni che di Craxi. La storia rischia di ripetersi.

Forse è stato il populismo a dare forza alla fuga in avanti verso l’uomo della provvidenza?

Non lo penso, altrimenti non si spiegherebbe perché ormai oltre la metà del corpo elettorale diserti le urne. Del resto, populismo e astensionismo si manifestato quando gli elettori non si sentono più rappresentati. Lo stesso accade per i lettori dei giornali che abbandonato in massa le edicole.


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