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Meloni vola a Londra per spiegare il Piano Mattei a Sunak

G7, Ucraina, Indo Pacifico, cooperazione in difesa e rotte dall’Africa sono i temi al centro dell’incontro di domani a Londra. Attesi importanti passi avanti sull’accordo bilaterale

Quando domani pomeriggio Giorgia Meloni entrerà al numero 10 di Downing Street saranno passati oltre sei anni dall’ultimo bilaterale di un presidente del Consiglio italiano con il primo ministro britannico nella residenza ufficiale di quest’ultimo. Era il febbraio 2017, infatti, quando Paolo Gentiloni veniva accolto al numero 10 di Downing Street da Theresa May. Altri tempi: per non citare punti di svolta come il Covid-19 e la guerra in Ucraina, basti pensare che soltanto qualche settimana dopo quell’incontro, a fine marzo, il primo ministro britannico avrebbe invocato l’articolo 50 del Trattato sull’Unione europea per avviare il lungo processo della Brexit.

Tanti i dossier nell’agenda comune di Italia e Regno Unito che, nonostante l’uscita di quest’ultimo dall’Unione europea, hanno continuato a coltivare un rapporto forte in molti settori. Tanto che dall’incontro di domani sono attesi importanti sviluppi sull’accordo bilaterale pensato per consolidare la collaborazione tra i due Paesi in diverse aree, a partire dalla consuetudine su esteri e difesa. Già a febbraio i due governi hanno tenuto una riunione 2+2 Esteri-Difesa (definita da Ben Wallace, ministro della Difesa britannico, un’occasione per “costruire insieme un pezzo della storia futura”) e firmato una dichiarazione d’intenti per l’avvio a un nuovo dialogo strategico per la promozione delle esportazioni e degli investimenti bilaterali. Si è trattato del primo accordo bilaterale con uno Stato membro dell’Unione europea per il Regno Unito dopo la Brexit.

In passato su Formiche.net descrivevamo i quattro i pilastri su cui si basa il rapporto tra Meloni e l’attuale primo ministro britannico Rishi Sunak: l’appartenenza alla famiglia conservatrice; l’urgenza di trovare soluzioni alle difficoltà economiche che, seppur diverse, interessano i due Paesi; il sostegno all’Ucraina, alla linea Nato e nel reagire severamente alla violenza contro l’ordine internazionale voluta da Mosca con l’invasione; il lavoro fatto negli anni passati, in particolare con la presidenza britannica del G7 e italiano del G20 e la collaborazione sulla Cop26.

A questi pilastri, se ne aggiunge un quinto: l’immigrazione, tema caldo nell’agenda del bilaterale a Downing Street assieme ad altri come la presidenza italiana del G7 nel 2024, la guerra in Ucraina, l’Africa e l’Indo Pacifico e la cooperazione in difesa alla luce del Global Combat Air Programme per realizzare, assieme al Giappone, un jet di sesta generazione. Su questo punto tra i due governi c’è forte sintonia politica. Il Regno Unito, pur attento alla special relationship con gli Stati Uniti e con un occhio (e qualche nave) nell’Indo Pacifico, considera il Mediterraneo anche un po’ il suo mare nostrum. Le sfide sono le stesse, visto che l’Italia per prima considera la questione immigrazione europea prima che nazionale e che il primo ministro Sunak ha recentemente dichiarato al quotidiano La Repubblica che “l’immigrazione non è un problema solo britannico, ma europeo”, manifestando orgoglio per la sua linea dura (che ha incassato il plauso di diversi esponenti del governo italiano).

C’è interesse a Londra, oltre che per i conti italiani che saranno al centro di un incontro venerdì tra Meloni e la comunità finanziaria locale, verso il Piano Mattei che il governo dovrebbe presentare a ottobre in occasione del summit intergovernativo Italia-Africa. Nel suo discorso d’insediamento alla Camera dei deputati, Meloni aveva parlato del Piano Mattei per l’Africa e il Mediterraneo come “un modello virtuoso di collaborazione e di crescita tra Unione Europea e nazioni africane, anche per contrastare il preoccupante dilagare del radicalismo islamista, soprattutto nell’area sub-sahariana. Ci piacerebbe così recuperare, dopo anni in cui si è preferito indietreggiare, il nostro ruolo strategico nel Mediterraneo”. Si tratta di una proposta di approccio upstream, cioè “a monte”, per affrontare le cause delle migrazioni che sembra aver suscitato l’interesse britannico viste le ricadute dell’immigrazione verso l’Italia, Paese di transito verso il resto d’Europa.

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