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Tutte le partite connesse alle elezioni in Turchia

Ricostruzione post sisma, gas nel Mar Nero, Russia, Cina, Iran: c’è tutto questo nelle prossime urne turche, dove Erdogan arriva con la primizia da 20 anni a questa parte rappresentata dalla non certezza di vittoria. L’inflazione resta l’avversario numero uno. Le contromosse di Usa e Ue, accanto agli equilibri tra Mediterraneo e Medio Oriente (ovvero Siria e Cipro)

Non c’è solo la primizia, da vent’anni a questa parte, di un’elezione niente affatto scontata in una Turchia caratterizzata, mai come oggi, dal suo ruolo ibrido, tra Nato e Russia: ma sul Bosforo questa volta potrebbe giocarsi una partita totalmente diversa rispetto al passato per via dei dossier interconnessi. Da un lato è nel novero delle possibilità un cambio di leadership in Turchia, visto che il presidente uscente Recep Tayyip Erdogan non è certo di vincere; dall’altro appare evidente che tutto ciò che questa diversa elezione porta in grembo, avrà riverberi chirurgici sia in riferimento al fronte interno (terremoto, giacimenti nel Mar Nero) sia a quello esterno (Russia, Cina, Iran). Anche per questa ragione le attenzioni europee sulle elezioni del prossimo 14 maggio sono elevate al cubo.

Manifesto erdoganiano

La campagna elettorale ha preso inizio nei tragici giorni del post terremoto: l’elemento della ricostruzione avrà, giocoforza, un ruolo primario vista la gravità dei danni e il numeri degli sfollati. Da pochi giorni il presidente uscente ha dato avvio al percorso verso la sua rielezione con due impegni: far diminuire l’inflazione a una cifra e stimolare la crescita economica. I sondaggi però mostrano un calo del suo Partito per la giustizia e lo sviluppo (AK), che dal 2002 è saldamente al potere. Erdogan nel suo manifesto programmatico parla apertamente di una crescita annuale del 5,5% dal 2024 al 2028 e un Pil di 1,5 miliardi di dollari entro la fine del 2028 (nel 2022 era 1 miliardo) mentre l’ultimo biennio minaccia di impattare su queste promesse, dal momento che la lira ha registrato un deprezzamento record anche per via di decisioni assunte dal board della Banca Centrale Turca, i cui vertici sono stati sostituiti dal governo per due volte senza ottenere alcun miglioramento.

Dinanzi a sé Erdogan ha come sfidante il 74enne Kemal Kilicdaroglu a cui il 42% degli intervistati secondo l’ultimo sondaggio Metropoll guarda con fiducia, un punto e mezzo sopra il presidente uscente. Nel mezzo l’aumento dei prezzi del cibo, stemperato solo dall’inizio del Ramadan che è coinciso con alcuni pasti gratuiti; ma l’inflazione resta l’avversario numero uno per Erdogan.

Pronti al cambiamento?

Per cui per la prima volta in vent’anni è possibile un cambio di leadership in Turchia e, come osservato dall’ultimo paper di Carnegie, l’Ue deve essere preparata per un possibile cambiamento di politica estera che porterebbe una vittoria dell’opposizione. “Se vince il candidato dell’opposizione – si legge – i leader occidentali dovranno affrontare enormi conseguenze. Ankara si muoverà prontamente per normalizzare i suoi rapporti con la Nato. Ma alcune delle attuali divergenze, ad esempio su Cipro e la Siria, non scompariranno. Sul lato positivo, lo stato di diritto verrà ripristinato e le relazioni con l’Ue miglioreranno, anche se non alleggerite”.

Un passaggio, quello delle due visioni che si contrapporranno nelle urne, ribadito dallo stesso Erdogan quando ha ammesso giorni fa che “ci sono istruzioni date dall’Occidente, due mentalità diverse e due visioni diverse per la Turchia che si stanno contrapponendo” (come il derby con Atene per i caccia).

Siria e Cipro

Sul caso siriano il rapporto Carnegie sostiene che la nuova eventuale leadership turca avrebbe come obiettivi sia la volontà riconciliatrice con il presidente siriano Bashar al-Assad, sia di riportare i profughi siriani in patria, dopo l’accordo miliardario con l’Ue del 2016. Una prima conseguenza si ritroverebbe in una maggiore difficoltà per l’alleanza poiché la presenza di forze statunitensi e alleate in Siria e dintorni sarebbe contestata. Ma al contempo ad Ankara arriverebbero non poche pressioni da parte di Damasco e Mosca affinché ritiri le sue forze dalle quattro aree in cui sono attualmente schierate: Idlib, Afrin, Jarabulus e l’area tra Tell Abyad e Ras al-Ain .

Anche il caso cipriota resterebbe spinoso, dal momento che la discussione per l’eventuale opzione di una soluzione a due Stati dovrebbe essere accompagnata da un accordo (o meno) sullo sfruttamento dei giacimenti sottomarini di gas su cui stanno già operando players primari come Eni e Exxon.

Su Cipro, inoltre, va segnalato anche il caso-sanzioni, che potrebbe avere un riflesso oggettivo: i nuovi provvedimenti anti Russia imposti da Gran Bretagna e Stati Uniti contro 10 greco-ciprioti e 18 società si dice stia suscitando particolare preoccupazione per l’intero indotto che coordina imprenditori e società. Si sta assistendo, in sostanza, ad un cambio di policies da parte di Londra e Washington nei confronti di alcune attività di Nicosia, che per la prima volta vengono attenzionate in ambito Ucraina, ma con possibili effetti sulle partite connesse a quelle latitudini (come il dossier energetico legato al gas).

@FDepalo



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