Il rapporto Water Economy in Italy traccia una panoramica dello stato dell’arte della situazione idrica. Tanti gli interventi da fare a partire da una riqualificazione degli invasi esistenti, finendo con l’ottimizzazione delle acque reflue
Toccherà al vicepremier e ministro delle Infrastrutture, Matteo Salvini, coordinare il lavoro della Cabina di Regia istituita dal governo per contrastare l’emergenza legata alla carenza idrica in Italia. Un buon punto di partenza per capire su quali dossier si dovrà concentrare il nuovo organismo, è il rapporto Water Economy in Italy realizzato da Proger e presentato il mese scorso.
Invasi
In questo contesto, la priorità è rappresentata dal sistema degli invasi e della capacità reale che essi hanno di trattenere l’acqua piovana. “In considerazione dei due limiti, quello amministrativo e quello fisico, che ovviamente non sono banalmente sommabili ma interagiscono fra di loro, si può stimare che nonostante un volume invasabile pari a 13,652 miliardi di metri cubi e ad un volume autorizzato pari a 11,903, il volume realmente invasato nelle grandi dighe italiane sia oggi valutabile intorno agli 8,852 miliardi di metri cubi di acqua. La perdita di accumulo di risorsa nelle grandi dighe risulta dunque intorno ai 4 miliardi di metri cubi di acqua”.
Età media
Un primo oggettivo problema è costituito “dall’elevata età media delle nostre grandi dighe che risulta di 65 anni, ma per quelle idroelettriche raggiunge i 75 anni, per alcune supera gli 80 e anche i 100, mentre per quelle irrigue, potabili e di laminazione la media è di 50 anni. In relazione all’età delle opere, il mantenimento di un adeguato stato manutentivo con standard di sicurezza è ovviamente fondamentale e le eventuali criticità rilevate causano immediate limitazioni di esercizio con restyling, interventi di manutenzione e di varia tipologia che permettono standard rigorosamente rispettati e sotto controllo”.
Battuta d’arresto
C’è una motivazione anche di carattere storico che ha frenato a lungo la costruzione di nuovi invasi: la tragedia del Vajont. “La realizzazione delle grandi dighe – si legge nel rapporto – è stata molto rallentata dalla “tragedia annunciata” del Vajont, la diga alta ben 255 metri e all’epoca della costruzione lo sbarramento artificiale più grande del mondo, costata 1.910 morti e la cancellazione alle 22.39 del 9 ottobre del 1963 dei paesi dell’intera vallata, da Longarone a Erto, Casso e Castellavazzo. Una catastrofe che ha sconvolto l’Italia e il mondo, ed ha cambiato non solo nell’opinione pubblica ma anche nell’amministrazione dello Stato la percezione delle grandi dighe, da allora ritenute pericolose, con progetti e localizzazioni rimaste nei cassetti”. L’ultima diga italiana costruita è stata la diga di Bilancino sul Mugello, inaugurata nell’ottobre del 1999.
Siccità
Sempre in ordine alla realizzazione di nuovi invasi, il rapporto giunge a una conclusione molto importante: “Oggi è ineludibile una nuova programmazione con la realizzazione di sbarramenti con i migliori e più accurati inserimenti territoriali e tecniche costruttive. E anche le fasi di siccità, sempre più precoci e prolungate, devono aprire riflessioni che portano a concreti progetti anche sul fondamentale ruolo di dighe, traverse e invasi e loro derivazioni come serbatoi di accumulo di acqua da distribuire quando e dove essa manca e serve”. È tempo, insomma, di “rivalutare questa tipologia infrastrutturale e di lanciare un piano nazionale di invasi medio-grandi per il loro ruolo fondamentale”. Anche perché “4,8 milioni di italiani vivono in territori a rischio piena con codice rosso”.
Riutilizzo acque reflue
Anche il riutilizzo delle acque reflue è un tema al centro delle priorità del governo, come ha confermato il presidente della Commissione Ambiente alla Camera, Mauro Rotelli su Formiche.net. Nel rapporto, c’è scritto a chiare lettere che “modificare e migliorare le caratteristiche dell’acqua già utilizzata e riutilizzarla per scopi agricoli, industriali, urbani e in emergenza anche civili, e rilasciarla pulita nei corpi idrici (falda, fiume, lago o mare) destinati a riceverla, è un obbligo di civiltà”. Tanto più con “ottimi impianti di depurazione e ottimi sistemi depurativi disponibili e dai quali fuoriescono ogni anno almeno 8 miliardi di metri cubi di acqua di buona qualità, ma finiscono in mare senza essere riusati e nonostante gli ingenti costi dell’investimento in una depurazione ormai a un livello di sicurezza sanitaria mai raggiunto nel passato”. Il riuso dell’acqua reflua “è ormai generalmente considerato come una delle operazioni più promettenti e a minor costo per aumentare la dotazione di acqua là dove serve a fini irrigui – si legge nel rapporto – di utilizzo industriale e, in alcune aree con estrema scarsità di risorsa, anche a fini idropotabili”.
L’Italia
“In Italia la produzione di acqua rigenerata quota intorno ai 9 miliardi di m3 all’anno, con un trattamento di reflui attuale per circa l’82,5% e un riutilizzo abbastanza insignificante. Sono oggi attivi e funzionanti 79 impianti dal potenziale totale di 475 milioni di metri cubi l’anno, appena il 5% rispetto ai 9 miliardi di di m3 . Rispetto ai 9 miliardi di m3 complessivi prodotti per l’intero arco dell’anno l’interesse per l’Italia sarebbe rivolto al massimo ai 3 miliardi di m3 utilizzabili nella stagione dry”, prosegue il Water Economy in Italy. Ma, data la complessità logistica delle operazioni di utilizzo della risorsa e le difficoltà tecniche e culturali per l’accettabilità da parte del mondo agricolo in un piano di medio periodo “è difficile porsi obiettivi oltre un miliardo di m3 di risorsa con un costo aggiuntivo di investimento intorno ai 250 milioni di euro”. Arera stima un utilizzo attuale delle acque reflue depurate del 4% a fronte di un potenziale pari al 20%.
Rete colabrodo
Oltre il 40% dell’acqua potabile prelevata non arriva ai rubinetti a causa di una rete idrica che è davvero un colabrodo. A peggiorare il quadro, manca un segnale di prezzo: abbiamo la tariffa media più bassa d’Europa (176,16 euro di consumi medi per una famiglia di 3 persone) che non disincentiva l’iperconsumo. L’Italia versa 165mila euro al giorno come sanzione all’Ue (circa 60 milioni l’anno) per effetto di diverse infrazioni in materia di infrastrutture idriche. In particolare la mancanza dei sistemi di depurazione e filtraggio delle acque reflue, sia in ambito agricolo che industriale, e il loro riuso, anche in ambito civile. Inoltre, il bilancio idrico dell’Italia andrebbe considerato anche da una prospettiva storica: siamo il paese inventore degli acquedotti e dei sistemi irrigui, siamo grandi realizzatori di bonifiche e vantiamo l’eccellenza di imprese nazionali specializzate nel disinterramento di dighe e invasi, che però lavorano quasi esclusivamente all’estero, dove sono altamente apprezzate.