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Popolari e conservatori, quale destino dopo von der Leyen? Risponde Mauro

“I socialisti? Negli ultimi anni è venuta meno la cultura di governo. Giorgia Meloni a capo dei conservatori europei? È stata una intuizione politica formidabile. L’Europa? Sta andando a destra, ma per i popolari non sarà facile liberarsi del Pse”. Conversazione con Mario Mauro, già ministro della Difesa ed ex vicepresidente popolare del Parlamento Europeo

Sulla strada che porta alle elezioni europee della primavera del 2024 c’è una sfida diversa rispetto al recente passato, caratterizzato da larghe intese e maggioranza Ursula: secondo l’ex ministro della Difesa e già vicepresidente popolare del Parlamento Europeo, Mario Mauro, che le stanze di Bruxelles conosce molto bene, la convivenza tra popolari e socialisti potrebbe essere rotta, anche se a fatica, dall’incognita Ecr. Non solo un partito in quanto tale, che sta ricevendo nuovi ingressi, come la componente finlandese, ma il partito guidato dall’attuale premier italiano che diventerà perno. Matrimonio già fatto dunque tra popolari e conservatori? Niente affatto, aggiunge Mauro, anche se ormai l’Europa sta andando a destra e i socialisti scontano i troppi errori.

L’adesione finlandese all’Ecr se da un lato conferma la spinta meloniana in seno alla nuova Ue, dall’altro è anticamera di un’alleanza politica per una Commissione politica?

Quello di cui si discute è lo scenario all’indomani delle prossime elezioni europee, rompendo così il fattore che ha determinato lo scacchiere degli ultimi due decenni. Ovvero il meccanismo di grandi coalizioni, e quindi di convivenza, tra popolari e socialisti. La regola elementare della vita politica dell’Unione europea è che alla fine si fa il minestrone con le verdure disponibili, ma sarà un mix molto complesso.

Per quale ragione?

Perché implica non solo che chi otterrà più voti avrà più seggi nel nuovo Parlamento europeo, ma andrà valutato anche chi in quel momento governerà nei singoli Stati. Alla luce di questa analisi, io oggi trovo piuttosto azzardato immaginare che una maggioranza politicamente coesa, come quella che in Italia chiamiamo il centrodestra, possa reggere le sorti europee. È sufficiente fare un’analisi dettagliata dei dati odierni nei 27 Paesi membri dell’Unione per capire che per un’ipotetica maggioranza di centrodestra non sarebbe così facile liberarsi dei socialisti. Ma non è tutto.

Ovvero?

Anche sul piano dei numeri, possiamo immaginare una riduzione dei seggi popolari e un incremento significativo per Ecr dovuto al fatto che parecchi partiti conservatori stanno avendo successo sul piano nazionale. Cionondimeno i numeri per una maggioranza politica rimangono risicati. Quello a cui si può pensare è cosa succederebbe se i numeri costringessero a una maggioranza con dentro anche i liberali.

Un destra-centro con i liberali sarebbe verosimile?

Non so se ci sarebbero numeri sufficienti per una vittoria piena di questo schieramento, fermo restando che dire liberali in Europa vuol dire liberaldemocratici, cioè una formazione che su molti temi è agli antipodi rispetto ai conservatori. Da qui nascono le strategie che io definisco interlocutorie dei popolari.

Come il perimetro di azione dell’Ecr sarà strategico anche per i destini dello stesso Ppe?

Provando a fidelizzare l’alleanza Ppe-Ecr che non comporta il fatto di assorbire i popolari, per la semplice ragione che i popolari puntano a introiettare al proprio interno molti dei voti in uscita dal centro e dai socialisti; sull’altro versante i conservatori proveranno a massimizzare il risultato delle prossime elezioni europee guarda caso proprio a scapito dei popolari, dando l’idea all’elettore tradizionalmente più moderato in Europa che i difensori dei valori che stanno a fondamento dell’Unione europea sono per l’appunto quelli dei conservatori e non dei popolari.

In che misura il percorso dei conservatori di Ecr si è trasformato negli ultimi anni?

I conservatori non sono più quelli nati dall’iniziativa politica dei conservatori britannici: in questo senso oggi sono più credibili nel ruolo di alternativa ai popolari, perché somigliano molto a un’idea che spesso è ricomparsa all’interno del dibattito dei popolari europei. Ovvero un mondo popolare che è tornato alle origini della propria tradizione. Ciò può rappresentare un altro degli elementi caratterizzanti di chi la pratica.

Come pesare, di contro, la grande difficoltà dei socialisti? Hanno perso il Comune di Berlino dopo vent’anni di dominio incontrastato, sono usciti sconfitti in Finlandia e in Bulgaria, in attesa delle legislative in Francia e delle politiche in Spagna e Grecia dove il destra-centro è dato favorito.

Direi che può anche essere il riflesso delle vicende italiane. C’è un ambito della vita politica in cui i socialisti hanno rivelato la propria fragilità, mi riferisco al venir meno della cultura di governo e della capacità di governare. Penso a tracce del massimalismo di cui la neo segretaria italiana del Pd è il profilo più desiderato, perché è un modo per impegnarsi in quello che ha causato la crisi dei socialisti: ovvero sporcarsi le mani con i governi, circostanza che comporta lacrime e prezzi da pagare. Peraltro mentre il mondo socialista ha rappresentato, per lo meno sul piano della comunicazione politica, l’immagine di una forza di governo affidabile tale perché, continuando a chiamarsi socialisti, garantiva la strada della terza via (da Blair a Renzi), ciò che invece è mancato all’appello nelle legislature socialiste sono stati profili di persone capaci di rendersi proponibili nella dimensione dei governi, pur rimanendo integralmente socialdemocratici.

Si riferisce al caso tedesco?

In questo senso il pegno che si prepara a pagare la socialdemocrazia tedesca assume un certo rilievo perché se, come immagino, a vincere le elezioni europee in Germania saranno Cdu e Csu, questo evidentemente intaccherà in modo significativo il potere della socialdemocrazia del Cancelliere. In questa fase dell’alternanza non c’è dubbio che l’Europa stia andando a destra, ma è responsabilità dei socialisti, e anche di quelle forme che in Italia si chiamano ‘dibattito sul centro’, avere interlocutori possibili. Così il centro viene, non di rado, riassorbito nell’orbita di quei partiti di destra che nei singoli Paesi trionfano. Il governo Meloni da questo punto di vista è un modello esemplare, dove la rappresentanza dei moderati italiani può valere intorno al 7/8%.

Il fatto che Giorgia Meloni sia l’unica premier europea al contempo presidente di un partito europeo cosa significa?

È stata un’intuizione politica formidabile per due ragioni: prima perché il vestito su cui era costruito il modello dei conservatori non è quello strettamente tradizionale della destra italiana. Per cui Giorgia Meloni ha dovuto fare un percorso per indossare quegli abiti. Un passaggio strategico, che le ha consentito di non rimanere incatenata ad altri personaggi del suo partito legati al prototipo del postfascismo. La seconda ragione è che oggi quella formula politica, originariamente nata in una coabitazione con i britannici, che oggi non ha più senso perché Londra è fuori dall’Unione europea, diventa invece un prezioso strumento nelle mani del premier italiano per fare una proposta politica nuova nel contesto europeo.

@FDepalo



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