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L’Africa paga le tasse alla Cina ma in cambio riceve debito

Il Dragone, primo finanziatore al mondo delle economie in via di sviluppo, continua a rifiutarsi di ristrutturare parte dei prestiti. Il risultato è che molti Paesi investono le proprie entrate fiscali per pagare il conto con Pechino. E nel mentre, devono rinunciare a fornire servizi essenziali e vanno in pezzi

Pagare le tasse ma non per avere in cambio servizi, infrastrutture, welfare. Bensì per soddisfare i creditori cinesi. Succede in Africa e non solo, ai tempi della Cina gran mecenate delle economie più fragili, stregate dai prestiti dalla natura opaca, concessi dalle grandi banche statali del Dragone. La vicenda è nota e questa testata più volte ha raccontato il vero volto di questi finanziamenti ai governi di quei Paesi che non ce la fanno a immaginare programmi di sviluppo per grandi infrastrutture come ponti, strade e ferrovie.

E allora ecco il denaro dalla Cina, con l’accordo in molti casi che in caso di insolvenza il Dragone può azzannare pezzi di economia e industria locale. Non può stupire, dunque, che ad oggi non meno di una dozzina di Stati quali Kenya, Zambia, Pakistan, stiano letteralmente collassando sotto il peso del debito contratto con la Cina. Due conti li ha fatti l’Associated Press, che ha messo nero su bianco come una buona parte delle entrate fiscali di questi Paesi debbano essere dedicate al pagamento dei rimborsi.

“Dodici Paesi stanno consumando una sempre maggiore quantità di entrate fiscali, necessarie per tenere aperte le scuole, fornire elettricità e pagare per cibo e carburante, per pagare il proprio debito con la Cina. Il che sta prosciugando le riserve di valuta estera che questi Paesi usano per pagare gli interessi su quei prestiti, lasciando ad alcuni solo pochi mesi prima che i soldi finiscano”, è la sentenza dell’agenzia di stampa. Colpa della “riluttanza della Cina a condonare il debito e la sua estrema segretezza su quanti soldi ha prestato e a quali condizioni, il che ha impedito ad altri importanti prestatori di intervenire per aiutare i citati Paesi. Due di loro, lo Zambia e lo Sri Lanka, sono già andati in default, incapaci di pagare anche solo gli interessi sui prestiti che finanziano la costruzione di porti, miniere e centrali elettriche”.

Non è finita. “In Pakistan, milioni di lavoratori tessili sono stati licenziati perché il Paese ha un debito estero verso Pechino troppo elevato e non può permettersi di tenere accesa l’elettricità e le macchine in funzione. In Kenya, il governo ha trattenuto gli stipendi di migliaia di dipendenti della pubblica amministrazione per risparmiare denaro per pagare i prestiti esteri. Il mese scorso il capo consigliere economico del presidente ha twittato: “Stipendi o default? Fai la tua scelta”.

Tutto questo mentre in casa propria la Cina le sue infrastrutture se le fa eccome. In questi giorni la China Development Bank, una delle banche pubbliche del Paese, ha emesso 20 miliardi di yuan (circa 2,84 miliardi di dollari) di obbligazioni finanziarie speciali per sostenere la costruzione di infrastrutture urbane. I fondi raccolti saranno utilizzati principalmente per grandi progetti, dedicati alle metropoli.

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