Skip to main content

Così debito e poca crescita impattano sull’Italia. La versione di Pomicino

“Il mercato energetico di Amsterdam? Da chiudere. Invece è stato mantenuto in piedi con il risultato di un’inflazione da costi, non da domanda come negli Usa. La crescita? Difficile per via di una ripresa drogata, un aumento del debito e naturalmente un’inflazione legata al costo energetico di un mercato che non sapeva regolare”. Conversazione con l’ex ministro democristiano

Non possiamo consentire che ci siano mercati finanziari delle materie prime, che rappresentano la vita del mondo, completamente deregolamentati. Parimenti non è possibile che l’utile delle imprese manifatturiere o dei servizi venga tassato oltre il 30%. Spiega così l’ex ministro Paolo Cirino Pomicino il “cambio” di postura dei mercati e dei governi a cavallo tra la crisi Lehman Brothers del 2008 e l’attuale status quo, all’indomani del biennio legato al Covid e nel secondo anno di una guerra che, di fatto, ha mutato obiettivi e iniziative.

In occasione dell’Aspenia talks l’ex ministro dell’economa Giulio Tremonti ha detto che siamo al termine di uno “sciagurato decennio”, che comincia passando dall’austerity alla liquidity. Se è vero che le politiche seguono le contingenze economiche, cosa è cambiato dal 2008 ad oggi?

Viviamo quello che è stato definito il passaggio da una austerità incomprensibile, perché ha aggravato la crisi del 2008, ad una iper liquidità legata al problema pandemico che però è stato affrontato contrariamente a quello che si sarebbe dovuto fare. Noi proponemmo impegno volontario, non una patrimoniale, ma un contributo volontario a seconda del reddito o del fatturato. Lo Stato in cambio avrebbe concesso altrettanta fiducia non facendo accertamenti fiscali per i successivi quattro anni, a condizione però che il reddito e fatturato aumentassero almeno dell’uno e mezzo per cento in ragione d’anno.

Con quali vantaggi?

Questo avrebbe comportato un gettito erariale da 150 miliardi e non avremmo avuto una ripresa drogata da 300 miliardi, così come è accaduto. Gli altri Paesi avevano uno spazio fiscale che consentiva loro operazioni di questo tipo, mentre invece noi avevamo problemi seri che nel frattempo si sono aggravati. Ciò ha determinato un aumento della liquidità in giro per il mondo che ha cercato disperatamente un approdo, perché naturalmente la pandemia aveva rallentato la crescita e quindi l’approdo vero della finanza diventava sempre più complicato.

Quale la mossa critica che secondo la sua opinione è stata decisiva?

Per viltà dei governi dell’eurozona, ci siamo piegati ai criteri di azione del mercato energetico di Amsterdam, nato all’inizio degli anni 2000 e che non funziona. Lo dimostra il fatto che addirittura fa schizzare il prezzo del gas, di gran lunga maggiore rispetto ai mercati finanziari e dovrebbe essere chiuso. Invece è stato mantenuto in piedi con il risultato di un’inflazione da costi, non da domanda come negli Usa.

Perché c’è più debito? Solo colpa del Covid e della guerra?

C’è più debito perché abbiamo avuto una ripresa prolungata. Le faccio un semplice esempio: tutti osservano la ripresa italiana nel triennio 2020- 2022. L’Italia nel primo anno ha perso una media del Pil di 9 punti, successivamente è cresciuto di 6 e poi di 3 e di 2. Insieme fanno esattamente 11: ovvero nel triennio l’Italia è cresciuta dello 0,4 all’anno. È ovvio che c’è il rimbalzo ma è stato drogato dal ristoro a famiglie e imprese. Si è verificata un’elargizione essenziale senza che però a questa elargizione partecipasse oggi la ripresa nazionale. Mi chiedo perché i medici e gli infermieri devono morire, come è accaduto sotto Covid, mentre la ricchezza nazionale è aumentata con il risparmio gestito dal 22% degli italiani. Non so se questo tema sia stato affrontato da Tremonti.

In questo scenario i Paesi europei affrontano le contingenze e le problematiche, tanto economiche quanto geopolitiche, in modo diverso. Come fatto dalla Francia nel suo nuovo rapporto con la Cina. Quanto ha inciso in questa scelta la situazione legata al debito?

Parigi forse oggi fa quello che faceva la Dc nei governi di centrosinistra negli anni ’90 e cito un episodio per spiegarmi meglio. Quando liberammo il Kuwait dall’invasione irachena, Bush padre avrebbe voluto continuare l’azione di pulizia internazionale invadendo in quel momento l’Iraq. Lo disse in una lunga telefonata con Andreotti, il quale gli spiegò che rimuovere Saddam Hussein avrebbe determinato una fibrillazione in tutta l’area mediorientale. Bush padre si convinse anche perché la stessa tesi gli fu sottoposta da Kohl e Mitterrand.

In seguito?

Nove anni dopo, in antitesi all’Onu che fece un’ispezione negativa, Bush figlio bombardò Baghdad iniziando una guerra che ancora oggi ha lasciato miseria, malattie, distruzione. Una guerra inutile, per giunta fibrillando l’intera area mediorientale. Che cosa voglio dire? Noi eravamo governi atlantici, ma non avevamo alcuna difficoltà a spiegare agli americani che certe cose bisogna farle in determinate maniere. Oggi Macron sta tentando di salvare la Francia a insaputa dei francesi, però lo fa in maniera talmente sbagliata sul piano politico che si è trovato la Francia contro. Non contano tanto i due anni in più di età pensionabile, quanto la gestione politica che è venuta meno, perché Macron non è un politico ma un finanziere di livello. Non a caso è attratto dalla grandeur francese e dal protagonismo internazionale.

Come si legano le mosse geopolitiche del governo Meloni tarate sull’atlantismo alla ripresa economica e soprattutto alle nuove sfide internazionali?

Osservo che dovendo investire circa 200 miliardi di Pnrr in quattro anni potremmo addirittura non crescere: negli anni successivi avremo problemi ancora maggiori. Di contro è chiaro a tutti che si rende necessaria una crescita alimentata da investimenti strutturali e permanenti. Riporto un dato del passato, credo molto utile: negli anni 80 noi avevamo una spesa in conto capitale tra il 4 e il 5% del prodotto interno lordo. Dal 1994 questa spesa si è ridotta tra il 2 e il 3%: due punti in meno di investimenti per trent’anni portano ad una cifra elevatissima di mancati investimenti. Ovvio che poi si giunge ad una crescita dello 0,8%. Un taglio presente anche nel bilancio dell’anno scorso approvato da Draghi. Non ne usciremo mai da questa spirale perché abbiamo una ripresa drogata, un aumento del debito e naturalmente un’inflazione legata al costo energetico di un mercato che non sapeva regolare.

Come intervenire?

Immaginare una rivisitazione delle regole che presiedono i mercati finanziari. Non possiamo consentire che ci siano mercati finanziari delle materie prime, che sono la vita del mondo, completamente deregolamentati, parimenti non è possibile che l’utile delle imprese manifatturiere o dei servizi venga tassato per oltre il 30%. Questo è il tema portante, perché tutto si è modificato da quando il capitalismo internazionale è stato egemonizzato della finanza rispetto all’attività dell’economia reale. È possibile correggere strumenti di mercato che sono politiche fiscali e politiche normative? Senza un’azione seria, continueremo ad avere debito e scarsa crescita.

×

Iscriviti alla newsletter