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Il manifesto dell’Italia digitale e il Pnrr (da non perdere). Il libro di Razzante

Sfruttare la leva digitale per far crescere la competitività del nostro sistema Paese. La sfida dell’Italia “digitale” nel saggio curato dal docente di diritto dell’informazione. “Il digitale non è più solo uno strumento, ma diventa un vero e proprio ambiente in cui si situano tutta una serie di strategie che enti pubblici e aziende devono portare avanti per garantire la crescita delle comunità”

Avere una pubblica amministrazione e un sistema produttivo più digitali è una chimera? Si può sfruttare la leva digitale per allineare il sistema Paese alle esigenze attuali? Ruben Razzante, docente di diritto dell’informazione, giornalista e saggista, ha provato a dare una risposta a questi temi raccogliendo in un saggio autorevoli contributi. Proprio oggi è approdato nelle librerie “I (social) media che vorrei. Innovazione tecnologica. Igiene digitale, tutela dei diritti” (Franco Angeli) e Formiche.net ha parlato con il curatore del volume per approfondirne alcuni dei tratti più pregnanti.

Professor Razzante, lei definisce il saggio che ha curato un “manifesto per l’Italia digitale”. Che cosa intende dire?

Questo saggio è la naturale prosecuzione di due miei precedenti lavori e si pone come obiettivo – attraverso peraltro contributi qualificatissimi (dal sottosegretario Butti al presidente dell’Ordine nazionale dei giornalisti, passando per Martina Colasante di Google) – quello di individuare una serie di azioni che l’Italia dovrebbe intraprendere per rendere competitivo il sistema Paese, sfruttando la leva del digitale.

Il tema della digitalizzazione è uno dei pilastri del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. Come si pone il volume sotto questo profilo?

Sicuramente la digitalizzazione è uno dei leitmotiv di tantissimi progetti finanziati attraverso il Pnrr. Dalla sanità ai trasporti, passando per la Pubblica amministrazione. Questi fondi europei rappresentano quindi una grandissima opportunità. È chiaro però che il digitale non è più solo uno strumento, ma diventa un vero e proprio ambiente in cui si situano tutta una serie di strategie che enti pubblici e aziende devono portare avanti per garantire la crescita delle comunità.

Ampio spazio viene dato al tema dell’intelligenza artificiale. Qual è l’approccio che propone?

L’intelligenza artificiale non è da demonizzare, ma va messa al servizio delle istituzioni. E, per raggiungere questo scopo, occorre un equilibrio tra diritti. A mio modo di vedere l’intelligenza artificiale può rappresentare un valido supporto alle imprese e alla Pubblica Amministrazione.

Visto che si parla di social e informazione, come valuta l’impiego dell’Ia in ambito giornalistico?

Anche in questo ambito penso che l’Ia possa essere un supporto al lavoro del giornalista, che però non deve e non può essere sostituito specie nell’attività di ricerca e verifica delle notizie.

Il tasto forse più dolente è quello legato alla digitalizzazione della Pubblica Amministrazione. A che punto siamo e quali ricette suggerisce per avviare il percorso verso una piena digitalizzazione della macchina statale?

Sugli enti pubblici la strada è ancora molto in salita, sia sul piano dell’infrastrutturazione (la banda larga è una chimera in alcune zone del Paese, ade esempio), sia sul piano culturale. Stiamo vivendo una transizione generazionale nelle Pa ed è giusto renderla sempre più attrattiva per i giovani anche in chiave tecnologica oltre che salariale. Il gap fra pubblico e privato va colmato. E la digitalizzazione può essere un valido strumento.

C’è una volontà politica reale che voglia orientare il Paese in questa direzione?

Non so se ci sia la volontà politica, ma so per certo che questa legislatura sul piano della digitalizzazione sarà decisiva. Non possiamo perdere l’opportunità del Pnrr e non possiamo restare indietro. Anche su questo probabilmente occorrerebbe un coinvolgimento politico che va al di là del perimetro della maggioranza.



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