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La rotta francese del post-Macron e le alleanze per le Europee. L’analisi di Gressani

Le questioni interne dei Paesi non possono più considerarsi circoscritte, ma assumono rilevanza europea. Il ministro francese Darmanin, con i suoi attacchi al premier italiano, sta tracciando una rotta per interpretare l’era post-macroniana. In vista delle elezioni europee si pone poi il tema del posizionamento di Renew, nell’ipotesi che si crei una saldatura tra Ppe ed Ecr. Conversazione con il direttore del “Grand Continent”, che il 24 maggio terrà la Martini lecture a Milano

Se da un lato il presidente francese Emmanuel Macron tende la mano al premier Giorgia Meloni, a gettare ulteriore benzina sul fuoco – peraltro sempre sul tema migranti – è il ministro dell’Interno d’Oltralpe Gérald Darmanin. È evidente che queste prese di posizione contribuiscano a creare attrito tra i due Paesi, ma è altrettanto vero che con ogni probabilità il ministro francese sta cercando di posizionarsi politicamente per presentarsi all’elettorato, raccogliendo il testimone dell’esperienza macroniana, tra quattro anni. Non solo. Con l’avvicinarsi delle elezioni europee del prossimo anno, il clima è destinato a surriscaldarsi. Già a seguito del primo attacco subito qualche tempo fa da Darmanin, Meloni aveva liquidato la questione parlando di “problemi interni alla Francia”. Ma il vero tema è che “le dinamiche interne ai Paesi non sono più circoscritte al perimetro nazionale, ma diventano necessariamente occasione di dibattito su scala europea”. Lo dice a Formiche.net Gilles Gressani, direttore della rivista Le Grand Continent, docente à Sciences Po che terrà il 24 maggio a Milano la Martini lecture 2023 dal titolo “Un continente in bilico”.

Gilles Gressani

Gressani, ormai gli attacchi francesi al governo italiano sono diventati proverbiali. Si tratta davvero di uno “sfogatoio” per gli attriti intestini o c’è altro?

La questione va inquadrata in modo più ampio, partendo dal presupposto che le dinamiche “interne” ai singoli paesi, nel contesto in cui ci troviamo, non hanno più una dimensione circoscritta ma diventano sistematicamente europee. Il capo di uno Stato o di un governo ha una duplice veste, “due corpi” per riprendere Kantorowicz: una dimensione diplomatica, con la quale si lavora ad esempio al Consiglio europeo, che richiede il rispetto del protocollo e del compromesso. E una più politica che porta alla conflittualità. In questa chiave vanno letti gli interventi di Darmanin. Lui non attacca Meloni in quanto capo di governo, ma la utilizza per attaccare Marine Le Pen.

Si sta preparando a raccogliere il testimone di Macron?

I cicli politici francesi, contrariamente a quanto possa sembrare a prima vista, sono molto più brevi di quelli italiani e coincidono solitamente con la durata di un mandato all’Eliseo. Macron è il primo presidente a essere eletto per due mandati senza coabitazione (un presidente e un primo ministro di due partiti diversi, ndr). L’instabilità politica viene anche da qui. Sicuramente il fatto che ci si ponga già oggi la questione del dopo Macron, a quattro anni dalla scadenza del mandato, è indice dell’eccezionalità della situazione. Nel sistema verticale della Quinta Repubblica la difficoltà a mantenere il consenso è molto alta. Anche perché – e si tratta della principale novità di Macron – la sua è una presidenza senza un partito strutturato territorialmente. Darmanin sta tracciando una rotta personale cercando, pur assumendo una linea non gradita a buona parte del suo stesso governo, di ricavarsi uno spazio.

E il futuro politico della Francia sarà in continuità o in discontinuità con Macron?

Dopo un lungo decennio di impronta macroniana, sarà molto difficile giocare la carta della continuità. Ma questo d’altra parte è anche fisiologico, soprattutto se consideriamo che Macron finirà il suo mandato avendo meno di 50 anni. Darmanin sta cercando di ribadire un concetto che si pone in maniera antitetica sia alla linea Mélenchon (a sinistra), ma in particolare a quella di Le Pen: essere in grado di affrontare i temi cari alla destra in maniera pragmatica. Essere, insomma, presentabili in chiave governativa.

Prima accennava alle elezioni europee del prossimo anno. Quale sarà, secondo lei, la collocazione di Renew Europe specie nella prospettiva di un asse tra Ecr e Ppe?

La compagine europea, da dieci anni a questa parte, è profondamente cambiata. Il Ppe ha progressivamente perso mordente e non governa più nei singoli paesi membri più importanti dell’Unione Europea se non da junior partner (come nel caso dell’Italia). Per cui resta da capire se il Ppe vorrà diventare o meno la “nuova casa” della convergenza delle destre europee. Un altro fattore da tenere in considerazione è la possibile candidatura alle elezioni parlamentari di Ursula von der Leyen, che potrebbe scompaginare i piani di Manfred Weber.

È in discussione anche la permanenza o meno della Lega in Id.

Questo è un altro tema. Le Pen continua a dirsi euroscettica e contraria alla linea della Nato, dicendosi più vicina a Salvini. Dunque una linea sostanzialmente confliggente rispetto a quella che avrebbero Ecr e Ppe. Insomma la famiglia delle destre europee è divisa in due: quella putiniana, anti-americana e quella che si sta invece dando un profilo tecno-sovranista interpretata ad esempio da Giorgia Meloni.

In ottica geopolitica e in chiave politica estera, come si immagina il futuro della Francia?

Da parte del presidente Macron viene avvertito un timore: che il baricentro europeo, anche alla luce dei nuovi ingressi nell’Unione, si sposti sempre più verso Est. Che si crei, quindi, un asse Varsavia-Berlino-Washington, escludendo Parigi. In ottica geopolitica, invece, specie sul versante Mediterraneo e sull’Africa, sarà fondamentale che consolidare i rapporti italo-francesi. Il rischio è di contare sempre meno, in un momento di ridefinizione degli assetti politici globali.

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