“L’obiettivo è diventare dei partner di maggior peso, così che attraverso gli investimenti europei si promuova concretamente il lavoro delle aziende del Vecchio continente e non l’industria altrui”. L’intervista in esclusiva a Samantha Cristoforetti sulle future ambizioni dell’Europa nel campo dell’esplorazione spaziale
Alla luce delle numerose opportunità che si apriranno nel settore dell’esplorazione spaziale, dalla Luna a Marte, è il momento per l’Europa e l’Agenzia spaziale europea (Esa) di rivedere le proprie ambizioni, così da assumere un ruolo sempre più da protagonista. Ne abbiamo parlato con Samantha Cristoforetti, astronauta dell’Esa dal 2009 che vanta nella sua carriera diversi primati, tra cui quello di essere stata la prima donna italiana a far parte degli equipaggi dell’Agenzia spaziale europea, nonché la prima donna europea comandante della Stazione spaziale internazionale (Iss) a settembre 2022.
A causa della complessità e dei costi, i programmi di volo umano nello spazio hanno storicamente beneficiato della collaborazione internazionale. E l’Agenzia spaziale europea è uno storico contributore, ma alla pari?
L’Esa è all’apice in diversi ambiti, in particolare quelli legati alle applicazioni quali l’Osservazione della Terra, la navigazione con Galileo e le telecomunicazioni. Al contempo bisogna però ammettere che ci sono altri ambiti in cui non gioca in serie A. Quando parliamo infatti di ciò che nell’ambiente è definito il settore della “esplorazione” – che va a indicare le attività di esplorazione nell’orbita bassa e, in prospettiva, nell’orbita lunare – siamo stati storicamente un po’ timidi. Stando agli investimenti dell’Esa il budget ammonta infatti a meno di un decimo rispetto a quello Usa.
Cosa significa?
Abbiamo dato dignitosamente il nostro contributo, godendo dei relativi benefici, a diverse iniziative, quali la partecipazione alla Stazione spaziale internazionale (Iss), ma spesso con un ruolo di junior partner. A fronte degli investimenti sostenuti, l’Europa ha avuto numerose possibilità di far volare i propri astronauti ed esperimenti, e l’Italia più di altri grazie al parallelo canale bilaterale con la Nasa. Ma ci siamo sempre affidati a partner maggiori – Stati Uniti e Russia – per le attività più critiche come il trasporto di esseri umani e, nel caso del rientro sulla Terra, anche del cargo, così come per le infrastrutture orbitali, al di là di singoli moduli, e la gestione delle operazioni nel loro complesso.
È sempre stato così?
Se si guarda a tale quadro in una prospettiva storica, si può affermare che ci sia stata un’importante fase di crescita. Andando indietro agli anni Sessanta e Settanta una proiezione spaziale da parte dell’Europa non si pensava accessibile e ci limitavamo a guardare le prime attività in orbita soltanto in televisione. Poi vi è stata una fase in cui si sono iniziati a fare i primi tentativi, come i taxi flight, perché c’erano a monte degli accordi, anche economici, per acquistare opportunità di voli, di solito brevi, per gli astronauti europei. Infine, vi è l’epoca della Stazione spaziale in cui l’Italia e l’Esa hanno fatto la loro parte, ottenendo possibilità di volo per astronauti ed esperimenti in cambio di contributi dati dalla nostra industria. Ora è il momento di fare il passo successivo.
Perché è importante farlo adesso?
Perché il mondo attorno a noi sta cambiando rapidamente. Il programma della Stazione spaziale non continuerà ancora a lungo e in prospettiva le partnership messe in piedi per il progetto dovranno in qualche modo evolversi. L’orbita bassa diventerà infatti “territorio” di infrastrutture private e commerciali, non più soltanto governative. E per continuare ad avere accesso a tali infrastrutture, senza dover comprare dei voli da entità commerciali non europee, pagando con i soldi dei contribuenti ad esempio voli per aziende private statunitensi, si devono incrementare le competenze, così da avere ancora più capacità e infrastrutture critiche da poter offrire.
Investire nel volo umano nello spazio significa dunque sia investire a livello istituzionale, sia sulla privatizzazione dell’orbita. Sappiamo che, ad esempio, gli Stati Uniti sono già molto avanti con il progetto di Axiom, in questo campo anche l’Europa può ritagliarsi un suo spazio?
Assolutamente. Si tratta di un’evoluzione necessaria e la discussione in corso su quale dovrà essere la futura ambizione dell’Europa nell’ambito dell’esplorazione umana e del volo umano nello spazio va approfondita sotto tre diversi aspetti. Il “perché”, e non si tratta soltanto di ambizioni economiche ma anche di quali competenze autonome si vogliono acquisire. Poi vi è il “cosa” si vuole fare concretamente. E infine il “come” farlo.
Questi devono essere i motori che possono portare a un rinnovamento dell’industria e dei rapporti tra le agenzie e l’industria privata, quindi tra pubblico e privato in senso più lato. Nonché rappresentare un’occasione per rendere tutti questi processi più snelli, agili e veloci così da introdurre modelli di procurement – come è stato negli Stati Uniti – in cui c’è una condivisione del rischio di investimento tra attori pubblici e privati. Il che comporta una maggiore ownership da parte dell’industria privata, con potenziali benefici per tutto il settore. Questo lo vediamo oltreoceano, con SpaceX e Axiom; proprio di recente è infatti partita una seconda missione privata dove SpaceX ha letteralmente venduto sul mercato un volo del suo veicolo Dragon. Anche l’Europa deve provare a fare questo salto di qualità.
Il mondo politico europeo probabilmente tarda a rendersi conto che l’esplorazione spaziale può essere una risorsa strategica importante. Il cambiamento, dunque, deve riguardare anche la politica?
Personalmente vedo che questo sta già accadendo, e lo saluto con grande favore. Credo che una riflessione ad ampio spettro sulle potenzialità e ambizioni europee nell’ambito dell’esplorazione spaziale vada appunto incoraggiata, sottolineando che lo spazio va oltre le applicazioni. Ormai tutti comprendiamo il fatto che ci sono numerosi servizi offerti dallo spazio, in particolare relativi all’osservazione della Terra, alla navigazione e alle telecomunicazioni, come il monitoraggio del cambiamento climatico, le previsioni del tempo, le comunicazioni satellitari e i navigatori satellitari che utilizziamo ogni giorno. Tutte queste attività fanno ormai parte del tessuto delle nostre società ed economie, e proprio per questo sono estremamente strategiche, con un valore che va al di là delle sole considerazioni di mercato. Per questo ci sono asset che l’Esa dovrebbe essere in grado di produrre in maniera il più possibile autonoma, garantendone contemporaneamente la sicurezza.
L’Europa deve diventare un vero e proprio space power e non “limitarsi” a essere un attore che fa delle attività nello spazio, senza però riuscire a gestirle in maniera indipendente. Bisogna prepararsi a giocare un ruolo di primo piano nella loro gestione, godendo del relativo ritorno in termini economici e di Difesa e sicurezza. La guerra in Ucraina credo che abbia reso chiara a tutti la rilevanza del dominio spaziale; anche per esigenze militari, e più largamente a livello di posizionamento geopolitico e di immagine che l’Europa dà di sé nel mondo: una profonda consapevolezza sul piano interno e un’immagine proiettata all’esterno di un attore che vuole essere presente ai tavoli decisionali dove si scriverà il prossimo futuro spaziale.
Rispetto agli Usa, le aziende europee del “nuovo spazio” sono meno numerose e più piccole. Allo stesso tempo, le aziende europee del “vecchio spazio” rimangono una parte essenziale dell’ecosistema ma faticano ad adattarsi a un ambiente internazionale sempre più competitivo. Su cosa puntare per risolvere questa impasse?
Sicuramente, come anche negli Usa, le cosiddette Old space sono aziende ancora valide che portano un contributo importante alle competenze industriali. Dunque, reputo che lo sforzo da fare sia duplice: da una parte supportare le aziende Old space a innovarsi e a diventare più competitive sul mercato internazionale; dall’altra aiutare anche la potenziale crescita di nuove aziende. Una difficoltà che però si riscontra spesso in Europa, anche per queste nuove aziende, è che rispetto agli Usa ci sono più ostacoli per accedere al mercato di capitali. Ad esempio, quando si vuole crescere e il mercato di riferimento inizia a stare stretto, accade spesso che le start up o aziende, cercando la loro exit, si ritrovino poi a vendere al di fuori dell’Europa. Ritrovandoci così ad avere delle start up promettenti, che abbiamo supportato e aiutato a crescere, che vendono la propria proprietà intellettuale altrove. Su tale aspetto è necessaria un’attenzione ancora maggiore da parte sia delle Agenzie sia dei governi, per fare in modo che nuove aziende spaziali possano crescere in maniera organica in Europa.
Si tratta di un interesse strategico e si devono ricercare gli strumenti da mettere in campo affinché tutto questo sia possibile. I giovani imprenditori infatti, a fronte di un maggiore interesse da parte istituzionale, sono più motivati ad alzare l’asticella del loro livello di ambizione, in un meccanismo virtuoso di crescita organica. In tale scenario uno degli aspetti più critici riguarderà lo sviluppo delle capacità infrastrutturali, quelle che permettono di creare nuove opportunità di business nell’orbita bassa, e in prospettiva sinergie economiche in cui tutto un tessuto di aziende spaziali, anche quelle con business di nicchia e più particolari, può crescere. Per realizzare tutto ciò serve un importante investimento a livello pubblico e privato-industriale per creare capacità competitive.
Una delle più grandi esigenze attuali per l’Europa è garantirsi un accesso autonomo allo spazio. Tuttavia la piena autonomia è da considerarsi un obiettivo a medio-lungo termine, cosa fare nel frattempo?
Come primo passo, penso che l’Europa debba concentrarsi sulle esigenze immediate legate all’orbita bassa. Se come europei vorremo infatti continuare a essere presenti, anche in un contesto che vedrà sempre più stazioni commerciali, avremo solo due possibilità: o comprare i biglietti per i nostri astronauti, diventando clienti che acquistano un servizio fuori dall’Europa – come fatto ad esempio in questi giorni dall’Arabia Saudita che ha appena comprato un biglietto per una decina di giorni sulla Stazione spaziale internazionale per due suoi cittadini – oppure iniziare a sviluppare delle capacità in house che possiamo offrire come servizi alle prossime piattaforme commerciali in orbita bassa, come accade ora con l’Iss.
L’obiettivo è diventare dei partner di maggior peso, così che attraverso gli investimenti europei si promuova concretamente il lavoro delle aziende del Vecchio continente e non l’industria altrui. Il primo step naturale è lo sviluppo di un veicolo cargo. Un’iniziativa che in parte l’Europa ha sperimentato già in passato con l’Atv, che tuttavia aveva il “limite” di essere di sola andata e di ritornare sulla Terra in maniera distruttiva. Ora serve un salto di qualità con un veicolo che sia anche in grado di fare ritorno a Terra, per riportare gli esperimenti condotti nello spazio e in prospettiva futura per sfruttare le capacità di rientro acquisite per gli astronauti di ritorno dalle missioni spaziali.
Perché investire in questa direzione?
Perché ci sono grandi sinergie in tutto il settore spaziale a livello tecnologico, industriale, economico e di applicazioni duali. E anche perché si tratta di una capacità veramente strategica a livello di posizionamento geopolitico, di diplomazia e soft power. Basti pensare a quanto fatto storicamente da Russia e Stati Uniti, quando invitavano ad esempio astronauti di Paesi amici a volare sui loro veicoli spaziali; nel prossimo futuro potremmo essere noi europei a invitare astronauti di Paesi con cui vogliamo approfondire o costruire degli accordi. Queste sono le iniziative più immediate.
Il prossimo step sarà invece la Luna. E lì bisogna impostare un discorso con la Nasa, con cui vi è un’intesa – ad oggi non abbiamo la pretesa di mettere in piedi in modo autonomo un programma lunare – per capire quali sono gli elementi di architettura che magari a loro mancano, oppure su quali altri aspetti può essere interessante avere una ridondanza dissimilare. Se un veicolo ha un problema, può essere utile avere un altro tipo di veicolo pronto a riempire quella mancanza. Un esempio iniziale potrebbe essere il ritorno di campioni da Lunar gateway, la stazione spaziale che orbiterà intorno alla Luna, per poi successivamente proiettarsi verso attività più ambiziose come far arrivare e tornare esseri umani da Gateway, funzione che al momento è previsto svolga soltanto il veicolo a leadership Nasa Orion.