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Il Patto di stabilità, i tassi e quella lezione di Fitoussi. Parla Saraceno (Luiss)

Intervista all’economista e docente Francesco Saraceno, animatore e relatore della giornata dedicata al grande pensatore francese scomparso. Sul Patto serviva più coraggio, gli investimenti pubblici non sono sufficientemente tutelati. I tassi? Uccideranno l’inflazione, ma anche la crescita

Aveva davvero ragione Jean Paul Fitoussi, quando diceva che l’Europa deve cambiare se vuole essere più giusta, più equa, più forte. A guardare tra le pieghe del nuovo Patto di stabilità, se così lo si può chiamare, bisogna dare atto del tentativo di Bruxelles di lasciarsi alle spalle gli anni bui del rigore e quel volto da matrigna. Eppure, se fosse ancora vivo, il grande economista francese, scomparso nell’aprile del 2022, chiederebbe più coraggio, più profondità nelle scelte europee.

Per fortuna, c’è chi ha deciso di mantenere vivo il messaggio e la lezione di Fitoussi. Come gli economisti accorsi alla Luiss Guido Carli, per omaggiare la figura e l’opera dell’accademico nato in Tunisia 81 anni fa, nell’ambito del convegno Economia e società in Europa – Giornata in omaggio a Jean-Paul Fitoussi. Tra questi, Francesco Saraceno, membro del consiglio scientifico della Luiss School of European Political Economy e Direttore del dipartimento di Ricerca dell’Ofce Sciences-Po di Parigi.

Partiamo dalla giornata dedicata a Fitoussi. Un messaggio di fondo?

Lo spunto emerso flagrante è che Fitoussi manca tanto al dibattito pubblico europeo e italiano. Inflazione, crescita, benessere, coesione, populismi. Tutti temi che egli ha seguito, analizzato e affrontato. E che rendono la sua lezione attuale come non mai. Basti pensare che il panel sull’inflazione è stato incentrato su un lavoro di Fitoussi del 1972, oltre mezzo secolo fa: un pensatore per l’oggi, da leggere e studiare.

Un pensatore critico, che non esitava a mettere in discussione le scelte e gli equilibri europei. Quanto c’è ancora oggi di quella critica?

Moltissimo. Jean Paul era un eurocritico ma non certo un euroscettico. Negli ultimi anni il suo pessimismo si era accentuato, anche sull’Europa, scrivendone alla fine sempre meno. Forse cominciava a dubitare di certi assetti. E proprio per questo oggi avrebbe ancora una volta partecipato al dibattito in prima linea.

Che cosa direbbe oggi Fitoussi dinnanzi al nuovo Patto di stabilità? Sempre che i Paesi membri si mettano d’accordo sulla proposta dell’Ue.

Sicuramente parteciperebbe alla discussione con entusiasmo. Egli ha sempre guardato con molta attenzione ai segnali di cambiamento che arrivavano prima della pandemia. Ed è sempre stato convinto della necessità dell’Europa di aumentare la propria capacità economica. Ma quello che direbbe, non glielo so dire.

E lei, invece, cosa dice?

Dico che ci voleva più coraggio, anche se un passo in avanti c’è. Basta con l’ossessione degli obiettivi annuali e basta con l’approccio delle regole uguali per tutti, finalmente andiamo verso la costruzione di piani di rientro su misura per le diverse finanze. Questi gli aspetti positivi, poi c’è il rovescio della medaglia.

Ovvero?

Temo che le attuali regole, seppur più morbide, ingabbino ancora gli investimenti pubblici. Mi riferisco a quella spesa propedeutica alla crescita, che non dovrebbe essere vincolata ai calcoli del deficit. Questa golden rule, andrebbe estesa agli investimenti per la crescita. Ma vado ancora oltre: bisognerebbe dare la veste di investimento non soltanto alle infrastrutture, ma anche alla sanità. Perché investire nella sanità vuol dire investire nel futuro e per questo tale spesa, chiamiamola per il capitale umano, andrebbe coperta dalla golden rule.

La Germania e i Paesi frugali potrebbero avere da ridire…

Possibile. Ma se non si aumenta il livello di protezione degli investimenti pubblici, sganciandoli in toto dal deficit come le dicevo, allora secondo me servirà un nuovo Recovery Plan. Perché se l’Italia non può investire perché qualcuno non è d’accordo, allora sarà l’Europa a doverli finanziare. Delle due l’una.

Ancora una volta sia la Fed, sia la Bce hanno alzato il costo del denaro. Non curandosi, forse, della crescita. Suggerirebbe una pausa di riflessione?

Lei mi farà passare per un radicale. Io fin dal 2021 penso che la politica monetaria non sia uno strumento adatto per far fronte alla fiammata dell’inflazione. Siamo dinnanzi a un fenomeno atipico, che colpisce alcuni settori e figlio di fenomeni eterogenei. Occorrevano politiche industriali e invece si è scelta la strada dei tassi, avvitando i bulloni della politica monetaria, i cui effetti reali li vedremo dopo l’estate. Vede, i tassi possono uccidere l’inflazione, ma alla fine uccidono anche la crescita.

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