Dall’impegno a non condurre test antisatellite al problema dei detriti spaziali. Questi sono stati alcuni dei temi toccati dal G7 di Hiroshima, che evidenziano la crescente centralità e strategicità delle infrastrutture critiche in orbita. L’intervista all’esperto Marcello Spagnulo
Tra i molti effetti del conflitto russo-ucraino vi è stato anche quello di mettere in luce la rilevanza strategica del dominio spaziale. Di fronte a ciò, cresce l’attenzione sulle vulnerabilità degli assetti in orbita, come ribadito anche all’ultima riunione del G7 a Hiroshima, da cui è tornata proprio negli scorsi giorni la premier Giorgia Meloni. Nel comunicato congiunto, rilasciato alla fine del vertice giapponese, non mancano infatti i riferimenti anche allo Spazio, in particolare all’impegno a non condurre test antisatellite (Asat) e ai provvedimenti da adottare per contrastare il fenomeno dei detriti spaziali. Airpress ne ha parlato con l’ingegnere ed esperto aerospaziale, Marcello Spagnulo.
Come mai con il perdurare della guerra in Ucraina vi è una nuova attenzione rivolta alla protezione delle infrastrutture critiche spaziali?
Il tema della pervasività degli assetti spaziali nei conflitti terrestri è qualcosa che con la guerra in Ucraina ha visto un’evidente materializzazione. Ne abbiamo parlato in passato, ma è bene ribadirlo. Se con la guerra in Iraq nel 1991 i satelliti sono diventati parte integrante della rivoluzionaria – in termini militari – Information warfare, a distanza di trent’anni con l’invasione dell’Ucraina lo spazio eso-atmosferico è divenuto teatro operativo di scenari conflittuali. Gli assetti spaziali sono divenuti non più solo “enablers” delle capacità terrestri, marittime e aeree ma essi stessi rappresentano potenziali bersagli e quindi possibili strumenti d’arma.
In che termini tale attenzione è stata evidenziata anche in occasione dell’ultimo G7 tenutosi a Hiroshima?
Nel comunicato congiunto finale del G7 di Hiroshima per la prima volta è stato inserito un paragrafo sulla necessità di porre attenzione ai detriti spaziali nelle orbite terrestri, ma soprattutto è stato scritto che “i Paesi membri del G7 si impegnano a non condurre test distruttivi antisatellite a salita diretta – i cosiddetti Asat con cui un missile lanciato da terra distrugge per impatto un satellite in orbita – e incoraggiamo gli altri Paesi a fare altrettanto per garantire sicurezza, stabilità e sostenibilità dello spazio”. La stampa nazionale non ha ripreso questo tema del G7 – con l’unica eccezione di Giulia Pompili del Foglio, la quale è sempre attenta a letture geopolitiche dell’area indopacifica – e invece è molto importante perché fa seguito a due mosse politiche, una statunitense e una francese, ben precise. La prima il 18 aprile 2022 quando la vicepresidente Usa, Kamala Harris, aveva annunciato una moratoria unilaterale per vietare gli Asat. “Questi test sono pericolosi e non li condurremo” aveva dichiarato la Harris in un discorso alla Vandenberg Space force base in California. Poi il 29 novembre 2022, a seguito dell’incontro a Washington tra la stessa Harris e Emmanuel Macron, il governo francese aveva dichiarato di unirsi agli Stati Uniti nell’impegno a non condurre operazioni Asat che possono lasciare in orbita detriti pericolosi. Da queste due spinte si è giunti alla dichiarazione del G7, cui naturalmente anche le altre nazioni aderiscono in pieno.
I Paesi del G7 hanno dunque discusso della questione dei detriti spaziali (debris) in continuo aumento nell’orbita terrestre. Questi, infatti, possono rappresentare un rischio concreto per le infrastrutture spaziali. Quali possibili considerazioni possono essere fatte su tale fenomeno? E quali contromisure potrebbero essere messe in campo?
Vorrei dare una risposta di realpolitik. Sicuramente i Paesi del G7 hanno a cuore la sostenibilità dell’orbita terrestre, ma a mio avviso nella realtà hanno voluto dichiarare a russi, cinesi e indiani – i tre Paesi che hanno già capacità Asat – che il fronte delle democrazie occidentali non tollererà operazioni missilistiche distruttive di satelliti in orbita. Questo perché, come detto prima, gli assetti spaziali sono diventati bersagli e nel contempo strumenti di offesa e quindi le operazioni di distruzione fisica degli assetti sono divenute manovre contemplate dalle dottrine militari. E per distruggere un satellite in orbita si attua un attacco cinetico diretto, e quindi una distruzione fisica, il che comporta emissioni di detriti in orbita; oppure si usano impulsi elettromagnetici ad alta energia, o si aggancia in orbita un satellite con bracci robotici e lo si mette fuori uso. Il G7 pertanto con questa dichiarazione ha voluto ufficializzare una presa di posizione comune che metta al bando quantomeno una sola di queste modalità di deterrenza satellitare, quella indubbiamente più pericolosa dal punto di vista della sostenibilità delle orbite. Di fondo, bisogna essere consapevoli del fatto che la Russia a novembre del 2021, quindi poco prima dell’invasione in Ucraina, aveva effettuato un’operazione Asat distruggendo un proprio satellite in orbita non più operativo. Questa operazione era stata definita un test e aveva ovviamente provocato unanime condanna internazionale, ma a mio avviso non si era trattato di un test ma di una vera e propria operazione di deterrenza, in quanto i detriti provocati da quell’operazione avevano ostacolato fortemente le manovre orbitali dei satelliti Starlink che di lì a poco si sarebbero ritrovati a essere uno degli attori principali della stessa guerra tra Russia e Ucraina.
Come leggere tale impegno a non condurre test distruttivi di missili antisatellite?
Questa decisione del G7 è da leggersi, come abbiamo appena detto, in un’ottica di prevenzione e non tanto di attuazione di operazioni Asat da parte di nazioni ostili, quanto di creare un consenso internazionale per una moratoria e per una eventuale condanna internazionale nel caso si verificasse un’altra operazione di questo tipo. Personalmente, non ritengo che russi o cinesi possano essere intimoriti dalla dichiarazione del G7 per escludere dalla loro dottrina militare questo tipo di operazioni, quindi la decisione va letta in un’ottica di ricerca di un consenso internazionale per eventuali sanzioni nel disgraziato caso che un’operazione simile dovesse ancora verificarsi.
La Cina sembra essere sempre più assertiva nelle sue ambizioni spaziali, il che può rappresentare una minaccia anche alla luce dell’attuale situazione che riguarda Taiwan. Le capacità di Pechino le permetterebbero infatti di mettere fuori uso il sistema Gps americano, il che renderebbe più complicato un intervento degli Usa nell’ipotetico conflitto…
Nel 2017 due giornalisti americani esperti di affari militari pubblicarono un romanzo di fantapolitica dal titolo Ghost Fleet che narrava l’avvio di una guerra tra Cina e Stati Uniti in un futuro nemmeno troppo lontano dall’oggi, e che cominciava proprio con un attacco ai satelliti Gps da parte della stazione spaziale cinese. In 24 ore il Gps era stato distrutto e l’esercito americano si trovava in una posizione di svantaggio strategico non potendo più contare sul posizionamento satellitare, e per vincere la guerra doveva far ricorso a una flotta di navi risalenti al periodo pre-Gps. Al di là delle visioni di fantapolitica, un attacco al Gps rappresenta per gli Stati Uniti quello che Donald Rumsfield, il capo del Pentagono ai tempi di Bush, definì come una “Pearl Harbour spaziale”, un attacco a sorpresa devastante in grado di mettere in ginocchio tutto il sistema militare americano. Quindi sì c’è questa preoccupazione ed è condivisa dalle nazioni alleate degli americani. È un’eventualità che bisogna scongiurare perché ovviamente un ipotetico attacco ai satelliti Gps indurrebbe una controreazione simile contro i satelliti cinesi o russi, i Beidou e i Glonass, che svolgono le stesse funzioni del Gps.
Poiché le questioni dello Spazio non afferiscono soltanto la Space economy ma soprattutto la sicurezza e difesa, come sottolineato anche durante il summit della Nato a Bruxelles tenutosi a giugno 2021, i Paesi, anche all’interno di specifici framework di collaborazione, sono pronti a intensificare la collaborazione spaziale in chiave di sicurezza? E l’Europa?
La domanda è ben posta e riguarda un tema assolutamente importante perché nella realtà sinora la collaborazione spaziale in termini di sicurezza e Difesa tra i vari Paesi nel mondo è sempre stata piuttosto limitata e circoscritta a singoli programmi specifici. Ora invece il tema sta diventando globale anche in termini di coinvolgimento di alleanze internazionali, vediamo per esempio come lo US space command, il comando militare integrato per le operazioni spaziali statunitensi, sia già da qualche anno aperto a collaborazioni con gli analoghi enti dei ministeri della difesa di Regno Unito, Giappone, Australia, Francia, Germania e da poco anche Italia. Si tratta allo stato dell’arte di collaborazioni intese a coordinare al meglio le informazioni e l’uso dei rispettivi assetti, non si tratta ancora di collaborazioni che vedono lo sviluppo di sistemi integrati. Ciò per esempio è un problema per l’Europa, che riguarda non solo lo spazio ma il tema è stato più volte dibattuto anche nella cornice della Difesa comune europea. Sicuramente lo spazio può fungere da catalizzatore, data la sua specificità, per allargare il campo di cooperazione e di collaborazione e quindi risultare un enabler per intensificare progetti di cooperazione nel più ampio settore della Difesa.