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Come cambieranno le politiche turche con il nuovo governo di Erdogan

A pochi giorni dal ballottaggio che gli ha conferito lo scettro del Paese per altri cinque anni, il presidente sta definendo la squadra di governo: agli esteri si fa il nome del suo portavoce, Ibrahim Kalin, figura che potrebbe ammorbidire alcune relazioni (occidentali) complicate. Sul piatto gli F-16 Usa e l’ingresso della Svezia nella Nato

Una prima bozza informale è stata fatta circolare in queste ore su alcuni media turchi: vi sono i nomi dei possibili nuovi ministri del governo Erdogan. Nulla di ufficiale ma, in attesa delle comunicazioni certe, è possibile iniziare a riflettere su come eventuali novità potranno (o meno) influenzare le politiche turche nei dossier maggiormente significativi, oltre che delicati, come il rapporto con Usa e Nato.

Chi è Kalin

Già nei primissimi attimi successivi alla vittoria nel ballottaggio, era stata diffusa la vulgata secondo cui intenzione di Erdogan era quella di promuovere nel governo alcuni giovani funzionari che si sono caratterizzati per buone performances. È il caso dell’attuale portavoce Ibrahim Kalin, che qualcuno vorrebbe promosso agli esteri al posto di Mevlut Çavuşoğlu. Lecito chiedersi se Erdogan stia pianificando una sorta di campagna di fascino verso l’Occidente. Potrebbe voler ribaltare l’immagine che si è creata sia in America dove è principalmente interessato, ma anche nelle cancellerie europee?

Lo stesso Kalın poche ore fa ha affermato che l’ex ministro delle finanze Mehmet Şimşek continuerà a contribuire alle politiche economiche del paese, aggiungendo che tutti i nomi saranno annunciati nei prossimi giorni. Classe 1971, Kalin dal 2018 è stato il numero due del Consiglio per la sicurezza e la politica estera della presidenza turca e consigliere capo del presidente. Al momento riveste la carica di portavoce presidenziale e consigliere speciale di Erdoğan. Ha scritto cinque libri sulla filosofia islamica ed uno sull’islamofobia. In passato docente presso il Dipartimento di Studi Religiosi del College of the Holy Cross a Worcester, Massachusetts; ha fondato la Seta Foundation for Political, Economic and Social Research.

Temi e alleati

Nel frattempo i media turchi riportano che Washington sembrerebbe voler assumere una posizione più morbida verso Ankara: il presidente Joe Biden avrebbe detto a Erdogan, durante la telefonata di congratulazioni post elezioni, che “l’Occidente ha trattato la Turchia ingiustamente”. Sul piatto tra i due resta la richiesta turca degli F-16 su cui il congresso è spaccato: come è noto il senatore repubblicano Bob Menendez è stato a lungo critico nei confronti di Erdogan e delle minacce nei confronti di Grecia e Cipro.

In quella conversazione telefonica Erdogan avrebbe chiesto apertamente a Biden i caccia, ottenendo questa risposta: “Devi togliere il veto che hai posto all’ingresso della Svezia nella Nato e poi parleremo seriamente di questi velivoli”. Su Hürriyet si dà conto della convergenza tra Biden ed Erdogan che avrebbe sorpreso anche la delegazione ad Ankara. Mentre il Los Angeles Times ha scritto che con la vittoria di Erdogan la Turchia continuerebbe a giocare su entrambi i fronti della divisione Usa-Russia.

Qualche giorno fa su Politico il portavoce del Consiglio di sicurezza nazionale, John Kirby, ha affermato di “non essere a conoscenza di alcuna assicurazione in un modo o nell’altro su un cambiamento post-elettorale al Congresso per consentire la vendita di 40 F-16 ad Ankara”. L’accordo militare è di 20 miliardi di dollari.

Domani intanto in Svezia entrerà in vigore un nuovo disegno di legge che persegue i sostenitori di gruppi terroristici con pene fino a quattro anni. Con questa mossa Stoccolma si augura che Ankara conceda il nulla osta alla sua adesione all’Alleanza Atlantica e lo faccia prima del prossimo vertice previsto a Luglio in Lettonia.



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