Dietro alla possibilità di un accordo tra Israele e Arabia Saudita ci sono numerose dinamiche ed evoluzioni. Washington pensa a una mediazione che possa toccare temi come la connettività geostrategica, il contrasto al ruolo di Russia e Cina in Medio Oriente e il superamento di acredini regionali soltanto parzialmente controllate al momento
La Casa Bianca vuole spingere diplomaticamente per un accordo di distensione tra Arabia Saudita e Israele nei prossimi sei o sette mesi, prima che la campagna elettorale per le presidenziali consumi l’agenda del presidente Joe Biden. Lo hanno dichiarato a Barak Ravid di Axios due funzionari statunitensi a conoscenza della questione. A quanto pare, sul tavolo non c’è un percorso incrementale, ma la possibilità di lanciare un grande piano di intesa che potrebbe interessare vari aspetti di questi nuovi rapporti.
Perché è importante
Vale la pena mettere subito in chiaro che qualsiasi accordo di normalizzazione formale delle relazioni tra Arabia Saudita e Israele sarebbe uno sviluppo molto importante per la regione mediorientale, dove Riad e Israele hanno per lungo tempo tenuto pubblicamente posizioni distanti (anche ideologicamente), sebbene contatti tramite backchannel e intelligence siano sempre esistiti. Attualmente, sull’onda di una rinnovata ricerca di stabilità regionale, si sono anche innescate una serie di dinamiche distensive bilaterali più alla luce del sole, ma distanze su dossier come quello palestinese restano (e probabilmente un accordo di Riad comporterà per Gerusalemme l’accettazione di alcuni compromessi).
Allo stesso tempo tempo, un accordo israelo-saudita mediato dagli Stati Uniti dovrà anche includere un miglioramento delle relazioni tra Washington e Riad. Relazioni che si sono in parte congelate anche perché l’amministrazione democratica al governo ha privilegiato la spinta sui valori democratici e i diritti collegati come vettore di politica internazionale – e il regno saudita è stato spesso contestato dai congressisti statunitensi per la mancanza di standard di rispetto di quei valori e di quei diritti.
Tant’è che un accordo del genere potrebbe essere impopolare tra i Democratici e costare a Biden molto capitale politico interno. Durante la campagna elettorale vinta, l’attuale presidente giurava di rendere l’Arabia Saudita un “paria” parlando dell’assenza di diritti umani del regno e dell’omicidio dell’editorialista del Washington Post Jamal Khashoggi – che l’intelligence statunitense sostiene sia stato eliminato, perché nemico del nuovo corso del potere a Riad, sotto ordine del principe ereditario Mohammed bin Salman (un’accusa che l’Arabia Saudita nega, incolpando “mele marce” del sistema di intelligence per quanto accaduto il 2 ottobre 2018 al consolato di Istanbul).
Il valore dell’accordo
Probabilmente, consapevole delle dinamiche innescate nel Medio Oriente, Biden potrebbe essere portato a spingere comunque sull’accordo. L’intesa potrebbe rappresentare una svolta storica con un effetto a cascata: la normalizzazione delle relazioni con Riad potrebbe portare molti altri Paesi della regione a muoversi in modo simile. L’Arabia Saudita è infatti il protettore dei luoghi sacri dell’Islam, e per molto tempo si è ritenuto che un passo del genere non fosse possibile, almeno finché Re Salman – che rappresenta lo status quo e il vecchio corso del potere saudita – fosse stato in vita.
Se l’amministrazione Biden fa sapere di voler spingere sull’intesa, allora significa che si sono creati degli spazi concreti, e che bin Salman in qualche modo dà garanzia che certe tappe possono essere bruciate. D’altronde, l’erede ha dato una boccata d’ossigeno al regno, innescando una serie di processi di modernizzazione che sono passati anche da un rinvigorimento della strategia internazionale e dalla rottamazione del circolo del potere interno (passaggio non senza acredini).
Il consigliere per la sicurezza nazionale della Casa Bianca, Jake Sullivan, ha incontrato bn Salman la scorsa settimana a Jeddah e, tra le altre cose, ha discusso della possibilità della normalizzazione con Israele. Dopo l’incontro, lo zar della Casa Bianca per il Medio Oriente, Brett McGurk, è andato a Gerusalemme per vedere il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu – con McGurk c’era anche Amos Hochstein, consigliere senior di Biden che occupa il ruolo di Special Presidential Coordinator for Global Infrastructure and Energy Security e che partecipa a tutti i principali incontri mediorientali.
La connettività…
La presenza di Hochstein è molto importante perché sposta sul dossier di mediazione israelo-saudita il peso statunitense nel settore delle infrastrutture a dimensione geopolitica. Durante l’incontro con bin Salman infatti, gli americani hanno infatti discusso anche della possibilità di includere l’Arabia Saudita in un processo di connettività regionale che collegherebbe la regione con l’India attraverso una serie di strade, ferrovie e scali portuali che potrebbero aumentare notevolmente i rapporti lungo l’asse geopolitico indo-abramitico.
Questa discussione sulla connettività è per altro nata all’interno dell’ambito I2U2 – il sistema minilaterale composto da India, Israele, Usa e Uae (Emirati Arabi Uniti) – e dunque troverebbe già presenti tutti gli attori più importanti per l’accordo israelo-saudita. E se gli Accordi di Abramo targati amministrazione Trump hanno avviato il processo di normalizzazione arabo-israeliana – coinvolgendo su tutti gli Emirati Arabi Uniti – l’accordo con Riad per l’amministrazione Biden sarebbe allora un successo internazionale di valore ben superiore.
Sul tavolo infatti ci sono progetti come quello dell’interconnessione con l’India che hanno valore altamente strategico e che mirano a contro-bilanciare la presa della Belt & Road Iniative cinese e dei suoi tentacoli in Medio Oriente. Tutto in una stagione in cui il ruolo di Pechino nella regione si sta consolidando non solo sul piano economico-commerciale, ma anche in processi di mediazione politica come quello siglato tra Iran e Arabia Saudita. Con i cinesi che sono interlocutori di primo piano anche per Israele, anche in questo caso con interesse privilegiato ai nodi logistici di connessione, come raccontano le attività della Shanghai International Port Group al porto di Haifa.
… E l’alternativa
Al pari dei progetti infrastrutturali, economici, politici, securitari della Cina, per gli Stati Uniti c’è anche un altro potenziale allineamento da contrastare: quello tra Russia e Iran, che da un lato ha la possibilità di integrazione con i piani cinesi, e dall’altro è oggetto di attenzioni per i Paesi regionali. Non c’è solo la questione delle forniture militari iraniane usate in Ucraina dai russi, chiaramente, ma la possibilità che Teheran e Mosca uniscano le forze anche in altri ambiti (seppure le enormi difficoltà economiche dei due Paesi).
Il presidente russo, Vladimir Putin, e il suo omologo iraniano, Ebrahim Raisi, hanno per esempio firmato mercoledì, in collegamento video, un accordo per il finanziamento e la costruzione di una linea ferroviaria iraniana nell’ambito di un embrionale corridoio di trasporto internazionale Nord-Sud. La ferrovia Rasht-Astara è un anello del corridoio, destinato a collegare l’India, l’Iran, la Russia, l’Azerbaigian e altri Paesi attraverso rotaie e porti.
Un percorso che, secondo la Russia, potrebbe rivaleggiare con il Canale di Suez come importante via commerciale globale – magari passante anche dalle rotte settentrionali (che Mosca spera più accessibili con lo scioglimento dei ghiacci). Bypassare Suez è uno dei temi che gli americani possono usare con i mediorientali perché è un piano sgradito a quei Paesi che per le connettività guardano a sud. L’altro riguarda la possibilità di crescita del valore strategico e internazionale dell’Iran. Sebbene la riapertura delle relazioni con Riad, Teheran resta un competitor per il Golfo (con diversi dossier aperti da sistemare); mentre per Israele è il nemico esistenziale contro cui muoversi anche militarmente.
Il tema Iran
Mentre qualche anno fa Washington poteva trovare un punto di contatto facile tra Riad e Gerusalemme nel contrasto guerresco a Teheran, ora le cose sono parzialmente cambiate. Tuttavia sia i sauditi che gli israeliani sono interessati ad aumentare le capacità di integrazione e cooperazione militare pensando alla Repubblica islamica come fattore di fondo. Al punto che circolano rumors sulla possibilità che gli Stati Uniti abbiano offerto di impegnarsi con Israele in una pianificazione militare congiunta nei confronti dell’Iran.
Questa non significa di fatto la creazione di piani di attacco, ma diventerebbe una forma di rassicurazione massima nei confronti di Israele attraverso scambi quasi totali di intelligence, preparazione di scenari, esercitazioni e integrazioni operative. In definitiva, ogni parte sarà portata a condividere i propri piani per le diverse contingenze, ed entrambe le parti potranno discutere i modi per affrontare meglio i diversi scenari che potrebbero svilupparsi riguardo alle attività dell’Iran nella regione. Ma la situazione va letta con la giusta angolazione. Una pianificazione congiunta potrebbe anche servire a Washington per evitare di essere informata all’ultimo momento di un eventuale attacco israeliano agli impianti nucleari iraniani – sempre più plausibile davanti allo sviluppo del programma nucleare con l’accordo Jcpoa ormai naufragato.
E questo è importante anche per Riad, che vuole evitare di finire invischiata in una guerra, di essere esposta con Israele potenziale aggressore iraniano, di far saltare i progressi ottenuti nell’appeasement con Teheran. Allo stesso tempo, Riad vorrebbe essere maggiormente coinvolta in questi processi di sicurezza, e gli Stati Uniti potrebbero dare più spazi ai sauditi se accettassero una formalizzazione delle relazioni con Israele. Inoltre, una partecipazione del regno potrebbe evitare a Washington il peso della richiesta di sviluppo di un programma nucleare proprio – mentre russi e cinesi sono già operativi per fornire un’offerta per l’arricchimento dell’uranio e Riad.