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Il gioco delle parti tra Arabia Saudita, Cina e Usa

Giornate intense per le relazioni tra Stati Uniti e Arabia Saudita, con dinamiche che coinvolgono la Cina, l’Iran e Israele. Riad intende avere mani libere per muoversi in questa fase multipolare. Escono messaggi incrociati su dossier che vanno dalla normalizzazione con Gerusalemme a quella con Teheran, alla sicurezza regionale con Washington e alla partnership con Pechino

Secondo funzionari sauditi che hanno parlato nei giorni scorsi con il quotidiano ebraico Israel Hayom, l’accordo per la normalizzazione delle relazioni tra Riad e Teheran è stato raggiunto solo per compiacere Pechino.

Narrazioni e interessi

È una informazione piuttosto interessante se si considera il clima non eccessivamente amichevole tra Riad e Washington, alleato storico a cui il regno sta mandando svariati messaggi di insoddisfazione riguardo al rapporto, inserendoli anche tra le pieghe della rivalità Usa-Cina. Inoltre l’informazione esce mentre il segretario di Stato statunitense, Antony Blinken, è in Arabia Saudita, visita per altro accompagnata da una chiamata con il premier israeliano, Benjamin Netanyahu, che guida un governo di destra radicale che ha l’ambizione, storica, di costruire rapporti normali con i sauditi.

Far uscire questa informazione sull’Israel Hayom — media spesso criticato per la linea eccessivamente amichevole con il premier Netanyahu — può essere utile anche come messaggio a Gerusalemme, che apparentemente ormai è rimasto l’ultimo dei Paesi intenzionati a mantenere una postura durissima con la Repubblica islamica.

Mosse tattiche, obiettivi strategici

La normalizzazione con Teheran è tattica per Riad, tanto che quei funzionari sostengono che ci sono chance molto “slim”, sottili, che la distensione mediata dai cinesi raggiunga un successo a lungo termine. Interessante anche come certi rumor filtrino tramite la stampa israeliana poco dopo le dichiarazioni di un alto ufficiale iraniano che lanciava la bomba di una cooperazione per la sicurezza marittima tra Iran e Arabia Saudita (e altri svariati Paesi). Questione che aveva provocato una reazione pubblica piuttosto critica da parte di Washington (lato Pentagono per altro, da cui difficilmente ci si sbilancia troppo in commenti).

Stando alle rivelazioni dell’Israel Hayom, Riad avrebbe “accettato l’offerta della Cina nonostante alcuni termini sfavorevoli per dimostrare alla Cina di essere disposta a offrire loro valore e fare concessioni anche a costi elevati”. I sauditi sarebbero convinti di aver fatto un passo molto importante e palese nei confronti della Cina, utile per ottenere in cambio il mantenimento dei rapporti commerciali (la Cina è il maggiore acquirente di petrolio saudita) e di svilupparne di altri: droni, missili balistici, tecnologie di sorveglianza, e perfino collaborazione sul nucleare (tutte cose dagli Usa non hanno). Ma a Riad sono altrettanto persuasi che l’Iran violerà le condizioni dell’intesa appena lo riterrà utile.

Il contesto interno è centrale

Va detto che sia Iran che Arabia Saudita hanno all’interno lati delle rispettive leadership componenti che potrebbero avere interesse a minare il processo di normalizzazione. Sia per gestire differentemente i rapporti internazionali, sia per ragioni di mantenimento del potere. A Riad, il nuovo corso incarnato dall’erede al trono factotum, Mohamed bin Salman, non è ancora completamente assimilato, e siccome tutte questi dinamiche sono ascrivibili a sue visioni e volontà, qualcuno potrebbe ancora essere interessato a sabotarle. A Teheran c’è una componente, la linea più dura del Sepâh, che ha invec interesse (ideologico, dunque legato alla protezione dello status acquisito) nel mantenere continua la tensione con l’Occidente e con i regni nemici sunniti del Golfo.

Quello che si percepisce è che è in corso una fase complessa, articolata che tocca Pechino, Washington, Teheran e Gerusalemme. Messaggi incrociati che offrono rassicurazioni ma anche preoccupazione. Situazioni che raccontano di quanto la regione resti dinamica — perché da certi equilibri dipende molto della stabilità nel Mediterraneo allargato. La conclusione a cui arrivano le gole profonde saudite è che dato che le possibilità che l’accordo Made in Prc con gli iraniani abbia successo a lungo termine sono scarse, esso non può compromettere i progressi in altri canali diplomatici. Vale a dire che sulla normalizzazione con Israele, auspicata al punto da essere mediata in forme nemmeno troppo backchannel da Washington, Teheran non ha voce in capitolo.

Riad, Wshington, Pechino: il triangolo snì

Il principe Faisal Al Saud, ministro degli Esteri saudita, ha fornito una lettura efficace del quadro generale durante la conferenza stampa congiunta con Blinken: “La Cina è un partner importante per il regno e per la maggior parte dei paesi della regione […] E questa cooperazione è destinata a crescere […] Ma abbiamo ancora una solida partnership di sicurezza con gli Stati Uniti”. Prince Faisal aggiunge che non intende prendere parte “a questo zero -sum game”: per ora si riferisce alla narrazione che circola a mezzo stampa, ma è chiaro che sia anche un messaggio pubblico agli americani.

“Penso che siamo tutti in grado di avere molteplici partnership e molteplici impegni, e gli Stati Uniti fanno lo stesso in molti casi […] vediamo il futuro nella cooperazione, vediamo il futuro nella collaborazione, e questo significa tra tutti”, ha sottolineato Faisal, dimostrando come l’Arabia Saudita veda positivamente la creazione di un contesto multipolare dal quale crede più possibile capitalizzare per la crescita del proprio standing internazionale. Blinken è stato accomodante, rassicurante, sottolineando che “il nostro impegno nella regione, i nostri partenariati nella regione, il nostro lavoro nella regione non riguarda nessun altro paese […] e non chiediamo a nessuno di scegliere”. “Insieme possiamo andare oltre le crisi del momento e costruire un futuro condiviso”, ha detto l’americano.

Sempre in questi giorni, sono uscite informazioni riguardo alle discussioni private tenute, nei mesi scorsi, da bin Salman e il suo entourage con gli americani: in sostanza, secondo un documento di intelligence ottenuto dal Washington Post, il principe ereditario saudita avrebbe minacciato di alterare radicalmente le decennali relazioni Washington-Riad e di imporre “costi economici significativi” agli Stati Uniti in caso di ritorsione contro i tagli al petrolio – che pochi giorni fa l’Opec+ ha confermato anche per il 2024, andando contro la volontà americana. Evidentemente anche a DC c’è qualcuno che ha interesse a spifferare info anche su questi argomenti – il documento visto dal WaPo è della serie sbattuta su Discord nelle scorse settimane, ma esce in questi giorni, con una particolare coincidenza tempistica.

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