In questo momento è Pristina ad aver abbandonato una posizione ragionevole e in linea con Usa e Ue, respingendo le richieste di Washington e Bruxelles, di ritirare la polizia speciale dal nord e procedere verso nuove elezioni nei comuni contestati. Una linea che è ulteriore passo verso la non soluzione della crisi
“Kurti sogna di essere il nuovo Zelensky. Temo che abbiamo varcato il Rubicone”. Forte l’accusa del presidente serbo Alexandar Vucic, dopo le tensioni provocate dall’arresto di tre poliziotti kosovari da parte delle forze di sicurezza serbe. Circostanza che aumenta il fronte delle tensioni tra i due paesi, con la novità rappresentata dalla posizione europea, che annuncia misure punitive nei confronti del governo kosovaro.
Il fatto
Tre agenti di polizia del Kosovo sono stati arrestati ieri dalle forze serbe, ma i funzionari del Kosovo e della Serbia hanno fornito luoghi diversi per l’arresto. Si accusano a vicenda di aver attraversato il confine illegalmente. Pristina ha chiesto il rilascio dei tre ufficiali, perché l’arresto sarebbe avvenuto all’interno del territorio kosovaro (“L’ingresso delle forze serbe nel territorio del Kosovo è un’aggressione e mira all’escalation e alla destabilizzazione”, ha scritto Kurti su Facebook). Diversa la posizione di Belgrado, secondo cui i tre sono stati arrestati “fino a 1,8 chilometri” all’interno del territorio serbo vicino al villaggio di Gnjilica.
Le accuse
Gli arresti seguono la questione delle targhe e soprattutto la vexata quaestio delle elezioni amministrative nella parte settentrionale del Kosovo, contestate dalla Serbia, quando quella volontà di forzare l’insediamento dei sindaci ha rappresentato un eccesso da parte di Pristina.
Per questa ragione Vucic ha affermato che Belgrado è disposta a presentare tutte le prove e ad accettare un’inchiesta internazionale sugli arresti: “Sarà difficile tornare alla normalità”, ha detto, aprendo di fatto a scenari lontani dagli accordi di Ocrida che sembravano aver ricomposto, seppur a fatica, un quadro d’insieme nella tormentata regione balcanica. La cancellazione del vertice congiunto tra Albania e Kosovo è ulteriore spia di una situazione molto complicata. È stato lo stesso premier albanese Edi Rama a spiegare che il deterioramento delle relazioni del Kosovo con la comunità euro-atlantica è intralcio al meeting.
La decisione è stata preceduta da un contatto telefonico tra Josep Borrell e Albin Kurti, al fine di organizzare un incontro a Gjakova, anche se più ristretto, ma Pristina non ha accettato e dunque Rama ha tenuto a sottolineare che “non c’è alcuna possibilità” che si sposti dall’asse della comunità euro-atlantica.
Qui Ue
Bruxelles ha preso una posizione netta dinanzi a questa nuova escalation e ha dichiarato di aver concordato misure punitive nei confronti del governo di Kurti, accusandolo di non aver preso provvedimenti per disinnescare la crisi più ampia che potrebbe portare ad un conflitto. Bruxelles inoltre prova a mantenere aperto il canale di comunicazione, sia con le autorità del Kosovo e della Serbia, oltre che con la missione Nato in Kosovo (Kfor). L’obiettivo è interpretare la dinamica degli arresti, con la richiesta alle parti di evitare reazioni che possano esacerbare le tensioni. La Kfor, pur non essendo coinvolta nel caso dei tre poliziotti, monitora l’evoluzione della crisi.
In questo momento è Kurti ad aver abbandonato una posizione ragionevole e in linea con Usa e Ue, respingendo le richieste di Washington e Bruxelles, di ritirare la polizia speciale dal nord e procedere verso nuove elezioni nei comuni contestati. Si parla in Kosovo di una petizione per un nuovo sondaggio, firmata dal 20% degli elettori. Appare chiaro come la linea Kurti al momento rappresenti un ulteriore passo verso la non soluzione della crisi.