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Litio boliviano, dopo la Cina spunta la Russia

Una sussidiaria di Rosatom, utility pubblica russa attiva nel settore nucleare, ha raggiunto un’intesa con la compagnia di Stato boliviana Ylb per la produzione di litio. L’accordo si affianca a quello raggiunto poche settimane fa con il consorzio a guida Catl

Yacimientos de litio bolivianos (Ylb), impresa pubblica attiva nel settore estrattivo creata nel 2017, ha firmato un accordo con Uranium One, sussidiaria del colosso russo nel settore nucleare, Rosatom, per la produzione di carbonato di litio dai giacimenti situati nella regione a sud-ovest del paese sudamericano, nella regione di Pastos Grandes.

“L’accordo si prospetta come la base di una cooperazione a lungo termine tra Bolivia e Russia” ha dichiarato il ceo della compagnia russa, Kirill Komarov, sottolineando l’iniziativa come il primo progetto oltreoceano finanziato da Rosatoma nell’industria del litio. L’implementazione del progetto consentirà di creare un ciclo di estrazione e lavorazione del litio completamente integrato in Bolovia. Le tecnologie russe, si legge nella nota rilasciata  a margine, che verranno impiegate sono altamente efficienti ed economicamente e ambientalmente sostenibili.

Rosatom, tramite la sussidiaria, investirà circa 600 milioni di dollari nel progetto e ha dichiarato che, una volta a pieno regime, l’impianto potrebbe produrre 25.000 tonnellate di carbonato di litio all’anno. L’accordo con Uranium One era in attesa di studi di fattibilità e di pre-investimento, con test multipli condotti con la tecnologia russa sulle saline (utilizzando l’estrazione diretta del litio, Dle, dal momento che il tasso di evaporazione, rispetto alle salamoie cilene, è molto più ridotto) arrivati a dimostrare un tasso di recupero del litio superiore all’80%, con una purezza di circa il 99,5%. Specifiche che nell’industria del litio sono essenziali per poter portare sul mercato i materiali precursori che siano utilizzabili nella produzione di catodi per batterie elettriche, e dunque per catturare maggior valor aggiunto localmente invece di esportare litio grezzo.

Si tratta di un’altra mossa strategica che segue quella messa in campo dalla Cina, tramite il consorzio a guida Catl e Citic Guon nelle scorse settimane, e che rischia di portare un paese ricco di risorse e riserve di litio nella sfera d’influenza commerciale e geopolitica di due paesi ostili all’Occidente. “I due accordi – ha sottolineato il presidente di YLB, Carlos Ramos – ci consentiranno di accellerare il processo di industrializzazone con due aziende internazionali molto importanti”. Per un investimento complessivo di 1.4 miliardi di dollari, secondo le parole del ministro dell’Energia e Idrocarburi boliviano, Franklin Molina, gli impianti a guida russo-cinese, adiacenti ai siti di Uyuni, Coipasa e Pasto Grandes, potrebbero così produrre fino a 100.000 tonnellate di carbonato di litio entro il 2025. Forniture che andrebbero, verosimilmente, a beneficiare direttamente i produttori di batterie cinesi, confermando un trend che vede la Cina proiettata a controllare circa un terzo dell’offerta globale di idrossido di litio secondo alcune stime.

Uno scenario che si fa molto rischioso considerando gli avvertimenti dei produttori di litio a livello globale, con carenze di litio (sia il materiale grezzo, ma anche e soprattutto l’idrossido di litio, in qualità e purezza utile ai battery makers) che potrebbero raggiungere le 500.000 tonnellate di deficit tra domanda e offerta, rallentando così la corsa all’elettrificazione del parco auto. I grandi marchi globali si stanno così muovendo per assicurarsi le forniture necessarie, nonostante la rincorsa sia appena iniziata rispetto ai competitor cinesi.

Ed è proprio grazie all’expertise accumulata in circa un decennio di investimenti ed esplorazioni all’estero che la controparte cinese ha posto le basi per un vantaggio competitivo nella corsa globale all’oro bianco, che oggi si fa più serrata per la forte penetrazione dei veicoli elettrici a batteria e degli accumulatori. Nel caso di Rosatom, l’inserimento di un colosso dell’energia nucleare in questa partita ci dice due cose: da una parte, e in via ipotetica, non stupisce considerando il core business dell’azienda, dal momento che il litio è un elemento strategico perché utilizzato (seppur in quantità minime rispetto al suo attuale consumo globale) in alcune tipologie di reattori nucleari. Un indizio in questa direzione potrebbe essere l’annuncio, lo scorso gennaio, di Rosatom per la spedizione e l’installazione di un reattore in Bolivia presso il Center for Research and Development in Nuclear Technology (Cidtn) a La Paz. Secondo quanto riportato da una fonte locale, il Cidtn farebbe parte di una serie di accordi che il governo boliviano e il Cremlino avrebbero firmato a Mosca nel 2019 in materia di energia, sicurezza e sfruttamento del litio.

Dall’altro, l’investimento da parte di una non-major e new-comer nell’industria del litio – dominata, a livello privato, da aziende cinesi, australiane e cilene – conferma l’interesse crescente delle aziende energetiche verso l’oro bianco, elemento essenziale per la decarbonizzazione. Lo confermano gli annunci di major petrolifere come Exxon Mobile, pronte ad entrare nel business del litio seppur con investimenti ridotti rispetto al business nell’Oil&Gas.

Vi è poi, e non di secondo piano, l’aspetto geopolitico. La visita, lo scorso aprile, di Laura Richardson, comandante in capo dell’US Army Southern Command, in un tour dell’America Latina ha di fatti segnalato la preoccupazione americana della crescente influenza cinese, e ora russa, nel cortine di casa: un fatto ancor più destabilizzante considerando la rilevanza di Cile, Argentina e appunto Bolivia negli equilibri commerciali globali per l’industria del litio, e non solo. Nella conferenza stampa a termine di un bilaterale tra Rogelio Mayta, ministro degli Esteri boliviano, e il sottosegretario agli Esteri americano con delega all’Emisfero Occidentale, Mark Wells, convocato con urgenza dopo le dichiarazioni della Richardson che aveva dichiarato “pericoloso” che le riserve sudamericane finissero sotto il controllo di Cina e Russia, il governo della Bolivia aveva intimato agli Usa di “rispettare il diritto sovrano e democratico a decidere sull’uso delle sue risorse naturali”.

Il governo socialista del Presidente Arce è rimasto a lungo esitante su quale partnership internazionali prediligere per lo sviluppo delle risorse domestiche di litio. Ora sembra che i dubbi siano stati superati, nonostante rimanga ancora poco chiaro il grado di partecipazione della compagnia statale Ylb nei progetti. Pesa una sostanziale mancanza di esperienza manageriale, oltre ché pubblica, nella gestione del litio, a differenza dei vicini sudamericane – come l’Argentina e il Cile – che vantano una presenza commerciale ormai decennale, oltre a partnership consolidate con le aziende cinesi.


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