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Chi è davvero Liu, l’ospite (ingombrante) da Pechino. Il commento di Laura Harth

Nei giorni scorsi c’è stata la visita in Italia di Liu Jianchao, capo del dipartimento internazionale del Partito comunista cinese e per anni al comando delle operazioni di “recupero internazionale dei fuggitivi”. I politici sapevano e hanno scelto di assistere lo stesso allo spettacolo?

Toc-toc. C’è qualcuno?  Qualcuno nelle cancellerie delle istituzioni e nelle segreterie dei partiti che fa un minimo di verifica sulle personalità straniere che i massimi dirigenti incontrano? Lo spettacolo andato in scena negli ultimi giorni lascia pensare di no. 

Andiamo per ordine. Come già descritto su Formiche.net, da sabato a martedì il Partito comunista cinese ha fatto ciò che sa fare meglio, montando uno show di propaganda sullo scenografico contesto politico italiano. Tappeto rosso ovunque vada per l’inviato d’eccellenza Liu Jianchao (e arriveremo anche a lui): dai massimi incarichi dello Stato – il presidente del Senato, Ignazio La Russa (Fratelli d’Italia), al vicepresidente del Consiglio, ministro degli Esteri e coordinatore di Forza Italia, Antonio Tajani, fino a Elly Schlein, segretaria del primo partito di opposizione, il Partito democratico (presenti anche il responsabile Esteri, Peppe Provenzano, e i capigruppo alle commissioni Esteri di Camera e Senato, Enzo Amendola e Alessandro Alfieri). Non si nega niente al capo del dipartimento internazionale del Partito comunista cinese.

E perché si dovrebbe, visto che quell’ufficio rappresenta proprio l’epicentro del lavoro di interferenza straniera del Partito che ha dichiarato guerra alla democrazia e tutti i valori di libertà rappresentati dal mondo occidentale come ribadito ancora dal Comitato centrale del Partito comunista cinese – di cui Liu fa parte – a febbraio di quest’anno: “opporsi fermamente e resistere alle errate visioni occidentali di ‘governo costituzionale’, ‘separazione dei poteri’ e ‘indipendenza della magistratura’”. Non occorre avere molta immaginazione per capire come verrebbe (non) accolto dagli stessi rappresentanti nostrani un partito italiano che si presentasse con un programma tale.

Ovviamente all’appello non sono mancati neanche fondazioni e associazioni parlamentari d’amicizia. Dalla Italy China Council Foundation con Mario Boselli – che questa volta si guadagna anche menzione onoraria nel comunicato Xinhua –, alla Fondazione italianieuropei guidata dall’ex presidente del Consiglio Massimo D’Alema (presente all’incontro anche il presidente della Commissione esteri della Camera, Giulio Tremonti di Fratelli d’Italia) fino a imprenditori milanesi che “sostengono con fermezza il rinnovo della cooperazione bilaterale sulla Via della Seta”.

Ha dato rinnovato segnale di vita anche l’Associazione parlamentare “Amici della Cina”, le cui attività – così come quelle dell’Istituto per la Cultura cinese – erano scomparse dalla vista dopo l’esposto Sinopsis sulle operazioni di influenza del Partito comunista cinese nella politica nazionale italiana. Grazie alla deputata Naike Gruppioni (Italia Viva – checché ne dica sull’incontro di Schlein Il Riformista di Matteo Renzi), scopriamo persino l’intera composizione della delegazione cinese: interamente in rappresentanza del Partito comunista cinese. Ormai neanche lo sforzo di fingere che si tratti di una delegazione ufficiale della Repubblica popolare.

Insomma, c’è da chiedersi solo dove e quando gli hanno incontrati i superstiti del Movimento 5 Stelle.

Ma andiamo oltre: chi è Liu e perché deve destare seria preoccupazione la sua calorosa accoglienza in Italia di cui vediamo i primi riverberi già sulla stampa di propaganda cinese? Ne hanno già scritto Gabriele Carrer qui su Formiche.net e Giulia Pompili sul Foglio ma entriamo un po’ più nel dettaglio del suo curriculum dal 2015 in poi: prima di approdare al suo attuale dicastero di Partito, guidò le operazioni di “recupero internazionale dei fuggitivi” nella doppia veste di responsabile del gruppo di coordinamento anticorruzione e direttore per la cooperazione internazionale della Commissione centrale per l’ispezione disciplinare.

Furono gli anni 2015-2017. La Commissione centrale per l’ispezione disciplinare – che si può meglio definire come la forza di polizia interna al Partito comunista, strettamente sotto il controllo del Politburo e al di sopra di ogni controllo giudiziario – venne di lanciare SkyNet, operazione-ombrello che racchiude le varie operazioni eseguite da diverse entità del sistema Stato-Partito cinese, tra cui Fox Hunt, braccio internazionale della campagna anticorruzione lanciata da Xi Jinping dopo la sua salita al potere. Una campagna descritta perfettamente dalla stessa Commissione ancora nelle ultime settimane: “dobbiamo risolutamente evitare di creare aspettative sbagliate su un cambio direzione, a rischio di perdere il nostro controllo. […] Rafforzeremo la supervisione politica e promuoveremo l’unità di pensiero, della volontà e dell’azione dell’intero partito. […] elimineremo i pericoli politici che mettono in pericolo l’unità del partito”.

Un concetto di “anticorruzione” non proprio secondo i trattati internazionali. Così come non lo è il concetto di “recupero internazionale” da parte degli organi guidati da Liu. Una interpretazione scritta dalla stessa commissione e pubblicata nel 2018 a seguito dell’adozione della Legge di supervisione nazionale alla cui stesura e fase pilota lo stesso Liu ha assistito, “chiarisce” i metodi da seguire nei confronti dei ricercati all’estero: c’è ovviamente il metodo convenzionale dell’estradizione, nonché quello della deportazione  che viene utilizzato anche in combinazione con le tecniche descritte di adescamento e intrappolamento in Paesi dove le autorità locali sono più ligi a chiudere un occhio sulle gravi violazioni dei diritti umani di Pechino. Tecniche che vengono descritte esplicitamente nel documento della commissione, insieme all’opzione estrema di rapimento vero e proprio. Oltretutto però, ci sono le operazioni di “persuasione al ritorno”. Operazioni che rappresentano la maggior parte dei ritorni dei ricercati all’estero secondo i dati diffusi dalla stessa commissione. Su un totale di 935 ricercati per la sola operazione Fox Hunt 2018, il 91,42% è stato “rimpatriato” attraverso tali procedure.

Sono state ampiamente descritte nel rapporto Involuntary Returns di Safeguard Defenders del gennaio 2022. Le tattiche introdotte consistono sostanzialmente nel: (1) rintracciare la famiglia in Cina del bersaglio per costringerla attraverso intimidazioni, molestie, detenzione o reclusione a convincere i propri familiari a tornare “volontariamente”; (2) avvicinamento diretto del bersaglio all’estero attraverso mezzi online o il dispiegamento di agenti e/o delegati all’estero, spesso sotto copertura, per minacciare e molestare l’obiettivo affinché ritorni “volontariamente”.

Sebbene sia impossibile avere dati completi su ciascuna di queste operazioni clandestini che si compiono – sempre secondo la stessa commissione – in oltre 120 Paesi al mondo, da fonti aperti cinesi sappiamo che dal 2014 al 2018 almeno sette di tali operazioni si sono compiute in Italia, tra cui almeno tre sotto i mandati di Liu. Esse non violano solo i diritti dei diretti interessati ma anche la sovranità territoriale e giudiziaria dei Paesi terzi come l’Italia.

Già, quella stessa Italia che mantiene il record mondiale per il numero di cosiddetti “stazioni di polizia per i cinesi d’oltremare” – coinvolte nello stesso tipo di operazioni –, che furono istituiti da ben due città nella provincia dello Zhejiang dove Liu fu assegnato il posto di segretario della Commissione provinciale per l’ispezione disciplinare dal 2017 al 2018. Una retrocessione? Niente affatto. Oltre a essere promosso a membro della diciannovesima Commissione centrale per l’ispezione disciplinare, la provincia dello Zhejiang fu tra le tre provincie a cui spettò il compito di pilotare la nuova Legge sulla supervisione nazionale adottata nel 2018. Compito eseguito da Liu con zelo particolare. Tra le misure della legge, che amplificò esponenzialmente il raggio di potere della commissione, vi fu anche l’istituzione formale del sistema di liuzhi: una cosiddetta “misura investigativa speciale” che autorizza la Commissione a trattenere delle persone in luoghi segreti, senza alcun accesso al mondo esterno, e al di fuori di ogni processo o controllo giudiziario. Queste detenzioni incommunicado sono per definizione sparizioni forzate e involontarie, come già denunciato più volte dal sistema diritti umani delle Nazioni Unite. La larga scala su cui viene utilizzato (i dati molto parziali rilasciati occasionalmente da alcune provincie attestano che almeno 12,000 persone hanno subito la misura speciale dal 2017 al 2021) lo rende un crimine contro l’umanità secondo i termini del Trattato di Roma.

La tortura all’interno di questi luoghi è diffusa: cinque settimane dopo l’inaugurazione del sistema fu già segnalata la prima morte (nota) per tortura all’interno del sistema: una persona messa in liuzhi non per essere sospettato di un crimine, ma semplicemente perché potesse essere un testimone.  Nelle parole di Liu stesso: “Questi non sono arresti penali o giudiziari. Perciò sono più efficaci”.Che gli piacque la misura è chiaro dai dati rilasciati per l’implementazione della fase pilota nel 2017: mentre a Pechino e Shanxi insieme fu utilizzata su 103 persone, la sola commissione provinciale dello Zhejiang capeggiato da Liu la utilizzò su ben 266 persone (dichiarate). Promozione immediata assicurata.

Proprio la persona appropriata per le photo-opportunity e l’estensione del tappeto rosso dei palazzi. Immaginate il sentimento che queste immagini avranno provocati per i dissidenti del regime presenti nel nostro Paese: qualche variazione sul tema pronunciato a più riprese dal portavoce del ministero degli esteri della Repubblica popolare – “vi daremo la caccia fino ai confini della terra” – acuita dalla voce rassicurante arrivata dalla politica italiana – “lasciate ogni speranza voi ch’entrate”.

Ora, le possibilità sono due: o tutti i politici italiani che hanno assistito agli incontri con Liu non sapevano chi fosse (il termine Ministro viene abusato dal Partito comunista non a caso per confondere) e non vi è nessuno che gli ha messo in guardia. O – volendo scartare soprattutto l’ultima parte della prima opzione perché davvero troppo preoccupante – sapevano e hanno scelto di assistere lo stesso allo spettacolo. Da destra, a sinistra, al centro.

Una conclusione con più domande che risposte, accompagnate da una piccola variazione su Ennio Flaiano: la situazione della politica italiana sulla Cina “è molto grave ma non è seria”.

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