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Riuscirà la Libia a superare i veti incrociati e andare al voto?

La stabilizzazione per la Libia è di nuovo possibile. In mezzo alle solite criticità, c’è una spinta (guidata anche dall’Italia) per organizzare le agognate elezioni. “È necessario evitare quanto accaduto con le mancate elezioni del dicembre del 2021”, spiega Bressan (Lumsa/Nato)

I lavori per elaborare progetti di legge elettorale per le elezioni presidenziali e parlamentari in Libia stanno proseguendo. Nei giorni scorsi, il “Comitato 6+6” –composto da membri della Camera dei Rappresentati e dell’Alto consiglio di Stato – ha concluso due settimane di riunioni ospitate a Bouzniqa, in Marocco. Un incontro per cui Unsmil, la missione Onu per la Libia, ha ringraziato pubblicamente Rabat per le attività di mediazione.

Il ruolo degli attori regionali

Un coinvolgimento che dimostra come il lavoro del nuovo rappresentante Abdoulaye Bathily stia portando nuovi frutti: aumentare il coinvolgimento dei Paesi della regione, innanzitutto i vicini, è sempre stato un obiettivo del diplomatico senegalese, che intende africanizzare la crisi istituzionale che da oltre un anno ha di nuovo spezzato la Libia in due. Una linea che anche l’Italia ha sempre spinto: “Noi siamo convinti che la comunità internazionale debba sostenere ed incoraggiare, e che gli attori regionali possano svolgere in tal senso un ruolo costruttivo, a cominciare dai paesi realmente vicini della Libia, cioè quelli che condividono un confine geografico”, spiegava su queste colonne l’ambasciatore Pasquale Ferrara, nella sua prima intervista da inviato speciale della Farnesina per la Libia.

Il peso diplomatico italiano

Sono passati oltre due anni (ora Ferrara, ex ambasciatore ad Algeri, è direttore per gli Affari Politici e di Sicurezza del ministero degli Esteri italiano, conferma tra l’altro di come Roma consideri centrale l’esperienza mediterranea tra i quadri dirigenti). A distanza di tempo, l’Italia non ha abbandonato la linea. Il governo Meloni, impegnato in questi giorni in un intenso scambio diplomatico con il Nordafrica, vede nelle elezioni l’unica via per risolvere la crisi libica e stabilizzare il Paese.

La presidente del Consiglio, Giorgia Meloni lo ha ribadito durante il recente incontro con il primo ministro Abdelhamid Dabaiba a Roma, e l’esecutivo italiano ritiene il processo elettorale libico e la creazione di istituzioni elette e stabili un presupposto strategico per una quarta sponda sempre più critica – con la Tunisia che è un dossier delicato tanto quanto quello libico. Per Roma, il voto libico può essere utile anche per gestire anche la pressione politica attorno alla questione migratoria: la stabilizzazione potrebbe permettere una migliore cooperazione con Tripoli, che a sua volta avrebbe una maggiore presa territoriale.

Le criticità libiche

La Libia è infatti (di nuovo, ancora) divisa di fatto. In Tripolitania Dabaiba ha consolidato il suo controllo territoriale dopo l’effettiva incapacità di Fathi Bashaga nell’implementare il mandato di governo che la Camera, tra polemiche e scontri, gli aveva affidato – e successivamente ritirato a metà maggio viste le circostanze. Ora serve una legge elettorale, presupposto per il voto alla pari di un quadro securitario adeguato che possa garantire la sicurezza di chi va votare e del voto stesso. Sul primo aspetto, dovrebbe potersi muoversi il 6+6 (con supporto onusiano) e trovare un accordo condiviso; sul secondo, la sicurezza, è ancora un enigma.

“È necessario evitare quanto accaduto con le mancate elezioni del dicembre del 2021. Senza un processo, tutt’altro che rapido, di riconciliazione tra le fazioni e la popolazione libica è difficile ipotizzare una road-map che possa consentire una transizione politica sostenibile dopo l’incauta rimozione di Gheddafi nel 2011”, spiega Matteo Bressan, docente di Studi Strategici e Relazioni Internazionali alla Lumsa Master School e analista presso il Nato Defense College Foundation. “I veti incrociati sulle candidature, a cui abbiamo assistito in passato tra i vari leader, dovranno essere superati da un approccio più realista, senza il quale sarà difficile trovare un accordo sulle ‘regole del gioco’”. Per Bressan, “questa direzione si muove l’approccio dell’inviato speciale delle Nazioni Unite per la Libia, che, pur scontrandosi con una élite politica poco propensa a modificare lo status quo, contiene elementi di novità rispetto al recente passato quali il coinvolgimento dell’Unione Africana proprio nel favorire la riconciliazione”.

Veti e posizioni 

Dalla riunione del Comitato in Marocco è uscita un’indicazione di massima sulla legge elettorale e sulla gestione del voto tramite un governo ad interim che porti il Paese alle elezioni (nelle quali Dabaiba potrebbe competere come presidente?). Su questo aspetto ci sarebbe un’intesa di massima, ma il primo ministro, in un’intervista ad Agenzia Nova, ha detto: “Chi cerca invece di porre la questione di un nuovo governo va contro la volontà del popolo libico di andare alle elezioni e di raggiungere la stabilità”.

Da non sottovalutare che sia sul piano securitario che su quello politico grava la presenza di Khalifa Haftar. Il capo miliziano di Bengasi ha recentemente fatto tappa in Italia, trovando una rinnovata legittimazione all’interno degli affari libici. Con lui il dialogo sostanzialmente non si è mai interrotto, anche se solitamente è gestito tramite canali meno istituzionali degli uffici di Palazzo Chigi. Haftar controlla una milizia che è ancora forte, ed è interlocutore di Emirati Arabi, in parte Egitto e Russia. Soprattutto il ruolo di quest’ultima preoccupa, perché in Libia sono ancora presenti gli uomini della Wagner, che potrebbero minare ogni tentativo di stabilizzazione.

Chi si muove in Libia

Haftar è parte in causa sulla questione migratoria, visto che la rotta dalla Cirenaica è molto vivace (e lì i traffici sono gestiti anche da figure a lui molto vicine). Ma è anche un interlocutore per tenere il polso delle dinamiche politiche interne. Secondo le informazioni di Formiche.net, la Russia sarebbe anche arrivata al punto conclusivo del processo di riapertura dell’ambasciata a Tripoli (iniziato da oltre un anno, secondo le dichiarazioni di Mosca). Che intenzione avrà il Cremlino, che finora è relativamente attivo in Tripolitania?

Secondo altre informazioni, Haftar avrebbe raggiunto un’intesa con Dabaiba per andare al voto e competere in modo leale alle urne (entrambi si candiderebbero). Ma quanto terrà un’intesa tra loro, già stretta e saltata due volte? Su queste dinamiche ha un peso sia la Turchia che l’Egitto. I turchi sono la sponda dell’attuale premier, e sono una forza militarmente presente in Tripolitania (droni forniti e probabilmente pilotati dalla Turchia sono stati utilizzati dal governo libico anche recentemente per colpire alcune strutture di milizie collegate al mondo del contrabbando, compreso i traffici di esseri umani). Gli egiziani sono l’attore geopolitico più attivo in Cirenaica e da diverso tempo hanno intrapreso una via politico-diplomatica di sponda con l’Onu, abbondando la linea guerresca con cui hanno appoggiato le ambizioni di Haftar contro il governo onusiano di Tripoli.

L’Unsmil, commentando la riunione marocchina del 6+6, ha invitato tutti gli attori libici a impegnarsi, in uno spirito di compromesso, per affrontare tutte le questioni in sospeso e creare un ambiente più sicuro e favorevole allo svolgimento delle elezioni nel 2023. Bathily aveva fatto trapelare una date tempo fa, metà giugno, che è praticamente impossibile. La Missione esorta tutti gli attori “ad astenersi da tattiche dilatorie volte a prolungare la situazione di stallo, che ha causato tanta sofferenza al popolo libico”. “In linea con il suo mandato, l’Unsmil riafferma il suo impegno per lo svolgimento di elezioni trasparenti, inclusive e credibili per consentire al popolo libico di scegliere liberamente i propri rappresentanti e rinnovare la legittimità delle istituzioni del Paese”.


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