Il piano Mattei? “Pur non ancora definito, prenderà presto forma per assicurare all’Italia una presenza discreta ma attiva e impegnata con i Paesi della sponda sud”. Modello Tunisi anche sul grano? “L’Ue può contare sull’Italia che può avere le chance di giocare un ruolo forte per le tradizioni che la legano alla sponda sud”. Conversazione con l’analista della Sapienza/Atlantic Council
L’accordo Ue-Tunisia è una boccata d’aria importante che mette in luce l’impegno reale dell’Europa e dell’Italia, con Roma che in questo caso si fa capofila di un intervento europeo e segue l’idea del governo Meloni legata al Piano Mattei per l’Africa che abbraccia l’energia, la collaborazione economica e le migrazioni. Commenta così il patto siglato ieri a Tunisi Alessia Melcangi, Associate Professor of History and Politics of North Africa and the Middle East alla Sapienza e Non-Resident Senior Fellow dell’Atlantic Council, secondo cui l’Italia dimostra sempre più di essere lo Stato membro maggiormente attivo e interessato a risolvere i nodi in Africa.
Quali benefici porta l’accordo e quali rischi (se ve ne sono)?
Il memorandum rivela alcuni aspetti che meritano di essere evidenziati, innanzitutto la determinazione dell’Italia e dell’Europa di raggiungere un risultato a tutti i costi. Meloni, von der Leyen e Rutte erano già stati in visita dal presidente tunisino e ci sono tornati sottolineando quanto fosse importante per l’Ue passare dalla dimensione dei negoziati alla effettiva concretizzazione di questo percorso. Da una parte l’Unione europea ha dovuto offrire molto e mettere in sordina tutte le perplessità che ci sono nel trattare con un presidente che è sempre più illiberale nelle sue azioni; dall’altra l’Italia dimostra sempre più di essere lo Stato membro maggiormente attivo e interessato a risolvere i nodi in Africa.
Perché maggiormente coinvolto?
Lo dimostra il fatto che del tema mediterraneo si è discusso anche a Vilnius dove è stata posta l’attenzione sul fianco sud della Nato. L’Italia dunque persegue questa politica di rinnovo di una collaborazione e di un dialogo diretto e pratico nei confronti dei Paesi della sponda sud. Ma non è tutto.
Ovvero?
La cosa che secondo me appare come fortemente innovativa di questo accordo è che non punta soltanto alle migrazioni tasto che, come già espresso dal presidente tunisino, è molto più sensibile rispetto al passato, ma inserisce questo tema all’interno di un portfolio di basket differenti. Mi riferisco alle collaborazioni economiche e imprenditoriali, ma soprattutto al rafforzamento dei programmi Erasmus ed educativi per la Tunisia. Ossia questa sorta di to human cooperation che rafforza l’integrazione delle giovani generazioni tunisine all’interno del contesto europeo.
Il tutto in una cornice di prestiti internazionali?
Sì, tutto ciò a latere di un pacchetto di aiuti che, ovviamente, non è rivoluzionario perché non risolverà nell’immediato le questioni economiche tunisine. È, tra l’altro, anche condizionato in parte al raggiungimento dell’accordo col Fondo monetario internazionale che prevede una serie di riforme. Però è senza dubbio una boccata d’aria importante che mette in luce l’impegno reale dell’Europa e dell’Italia, con Roma che in questo caso si fa capofila di un intervento europeo. Segue, inoltre, l’idea del governo Meloni legata al Piano Mattei per l’Africa che abbraccia l’energia, la collaborazione economica e le migrazioni. L’accordo serve in questo momento alla Tunisia anche solo per dimostrare la voglia di creare qualcosa di veramente significativo e di rilanciare tra l’altro il Paese nordafricano come hub infrastrutturale e l’Italia come hub energetico dell’Europa.
Ci sarà un reale cambiamento da parte tunisina?
Questo il nodo che poggia su una consapevolezza: l’Europa ha mandato un segnale, non accetta di bypassare o proporsi come alternativa all’Fmi. Per questa ragione i fondi sono subordinati al raggiungimento dell’accordo con l’Istituto internazionale. Di contro il governo tunisino è chiamato a introdurre le riforme richieste, anche perché non abbiamo bisogno di aggiustamenti simbolici o periodici, ma di azioni che durino nel tempo. Occorre che la Tunisia intervenga sul sistema di corruzione e sulla capacità penetrativa dei trafficanti nei gangli amministrativi. Ciò che è successo ieri, tuttavia, non significa una rinuncia totale dell’Europa ai propri valori o alla difesa dei diritti umani: perché l’Europa non può assolutamente immaginare di rimanere a lungo silente sulle drammatiche violazioni dei diritti dei migranti. Per quanto noi si possa fingere di non vedere, sappiamo che si verificano atteggiamenti razzisti che non possono diventare “the new normality”.
Vista la concomitanza dei numeri imponenti a Lampedusa, che stanno sfondando tutti i parametri della ragionevolezza e dell’umanità, e visto il precedente di Lesbo nell’hotspot di Moria, risolto anche attraverso un intervento europeo e del governo greco, l’accordo di ieri può essere utile anche per costruire un percorso virtuoso che abbracci altre emergenze come Libia e Libano?
È esattamente questo l’obiettivo, prima di tutto del governo italiano, ossia mostrare un modello che possa poi essere applicato agli altri Paesi della sponda sud il quale permetta di rigenerare degli accordi. Essi rientrano in un tipo di relazioni che dovrebbero essere più efficaci, più efficienti e più operative al fine di andare oltre il semplice stanziamento di fondi. Penso che la pura esternalizzazione del controllo delle frontiere sia una politica che non funzioni più, perché non è possibile limitarsi a dare denaro a questi Paesi e, al contempo, scaricare su di loro tutto l’impegno per la gestione delle migrazioni. Invero deve essere un lavoro congiunto, che vede attiva anche la parte europea o la parte italiana. Così l’azione si presenta davvero come un modello in tutti i suoi aspetti: non dimentichiamo che non parliamo solo di immigrazione, ma anche di altri fronti come quello economico, sociale e culturale. Per cui può essere applicato a possibili partenariati che si possono costruire con gli altri Paesi interessati. Questo prevede il Piano Mattei che, pur non ancora definito, prenderà presto forma per assicurare all’Italia una presenza discreta ma attiva e impegnata con i Paesi della sponda sud.
Potrebbe essere replicato su altri scenari complessi, come ad esempio il grano?
Se, come sembra, la Russia dovesse confermare l’interruzione dell’accordo, si potrebbe ripalesare alle porte una nuova crisi del grano per Paesi molto vulnerabili, come Libano, Tunisia ed Egitto. Penso che il modello in questione possa essere replicato, anche se con definizioni differenti. A quel punto, più che un modello, direi un’Europa che trova una sorta di collaborazione interna al di là delle rivalità che spesso l’hanno resa un attore geopolitico debole o, sostanzialmente, inesistente. L’Ue a quel punto può contare sull’Italia che può avere le chance di giocare un ruolo forte per le tradizioni che la legano alla sponda sud e per gli storici rapporti che coltiva con molti Paesi.