I Camp David Principles segnano una spinta nell’impegno americano in Asia. Washington incassa un’inedita intesa con Tokyo e Seul. La Cina critica. Quali dubbi dietro allo storico accordo a tre?
I leader di Giappone e Corea del Sud hanno abbandonato decenni di relazioni tese, firmando un patto trilaterale — con gli Stati Uniti — che approfondirà la cooperazione militare e di intelligence tra i tre alleati.
L’accordo, firmato a Camp David, location la cui scelte chiaramente non è stata casuale, prevede vertici annuali tra funzionari degli Stati Uniti, della Corea del Sud e del Giappone nel campo degli affari esteri e della difesa; stabilisce esercitazioni militari congiunte e crea nuove linee di comunicazione riguardo alle minacce poste dalla Corea del Nord e dalla Cina.
Questa “hotline” conferma la propensione attuale — e probabilmente futura — che Washington ha nella costruzione di sistemi minilaterali per incontrare in modo più diretto le esigenze dei suoi alleati. E non è un caso neanche che Biden pensi a questo accordo come parte della sua eredità politica da giocarsi anche in ottica della competizione presidenziale Usa2024.
In una conferenza stampa congiunta, il presidente statunitense ha dichiarato che i Paesi hanno “fatto la storia” con il loro primo vertice trilaterale e ha elogiato le sue controparti per il loro “coraggio politico”. “Abbiamo creato una struttura a lungo termine per una relazione che avrà un impatto notevole non solo in Asia, ma in tutto il mondo. Questo è di estrema importanza”, ha detto Biden.
Oltre a garantire un disgelo a lungo cercato nelle relazioni tra i più importanti alleati degli Stati Uniti in Asia orientale, Biden ha anche assicurato l’unità nella dissuasione della Cina, affermando che i leader hanno “riaffermato il nostro impegno comune a mantenere la pace e la stabilità nello Stretto di Taiwan e ad affrontare la coercizione economica”.
Yoon Suk Yeol, presidente sudcoreano, ha dichiarato che Camp David sarà ricordato come un luogo storico in cui i tre Paesi hanno lanciato un “nuovo capitolo della nostra cooperazione trilaterale”.
Fumio Kishida, primo ministro giapponese, è stato altrettanto eloquente, osservando che il vertice è giunto in un momento in cui l’ordine internazionale è “in crisi” ed è stato “scosso nelle sue fondamenta” dall’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, dai lanci di missili della Corea del Nord e dalle tensioni con Pechino nel Mar Cinese Meridionale (tensioni che in questi giorni hanno aperto un nuovo capitolo, con lo scontro tra Cina e Filippine su un crinale delicatissimo).
Super lavoro, super accordo…
È da oltre un anno che gli assistenti di Biden lavorano per convincere Tokyo e Seul a superare le aspre tensioni — legate al comportamento del Giappone in tempo di guerra — e a cooperare più strettamente in settori quali le esercitazioni militari, la sicurezza informatica e la condivisione di informazioni. È grazie alla nuova attitudine di Yoon e alla visione più internazionalista e strategica di Kishida che l’incontro è stato possibile. È da decenni che gli Stati Uniti, che hanno accordi bilaterali di difesa con Tokyo e Seul, cercano di convincere i due alleati a lavorare in modo congiunto su accordi di sicurezza regionale.
Yoon e Kishida si sono accordati per il vertice in un contesto di crescente preoccupazione regionale per la rapida modernizzazione militare della Cina, ma anche davanti alle minacce comuni rappresentate dalla strategia guerresca esistenziale del satrapo nordcoreano, Kim Jong-un.
Il consigliere per la sicurezza nazionale della Casa Bianca, Jake Sullivan, ha insistito sul fatto che l’accordo non era rivolto a nessun singolo rivale, posizione ribadita anche da Biden, che ha ribadito: “Questo vertice non riguarda la Cina”. Ma è improbabile che il patto sarebbe stato possibile senza l’aumenti delle preoccupazioni che riguardano tanto Pechino quanto Pyongyang.
… E super rivali
È stato più chiaro Rahm Emanuel, ambasciatore statunitense in Giappone: “L’intera strategia della Cina si basa sulla premessa che l’America e il suo alleato numero uno e numero due nella regione non possano incontrarsi e mettersi d’accordo. [Da adesso] sarà fondamentalmente diverso”.
La Repubblica popolare è il più grande partner commerciale per giapponesi e sudcoreani, e anche per questo l’argomento è stato generalmente trattato con circospezione. Biden per esempio ha detto che è venuto fuori nelle loro riunioni private, anche perché gli staff dei due leader asiatici hanno pressato per evitare un linguaggio troppo esplicito nelle osservazioni pubbliche.
Chiaramente a Pechino niente è stato visto come rassicurante. Il Global Times, giornale nazionale cinese che diffonde la narrazione del partito/stato in inglese, ha scritto che questo vertice è uno sforzo per creare una presenza simile alla Nato in Asia — e dunque rivendicato il diritto all’assertività davanti a quella dei rivali.
C’è un aumento del senso di insicurezza che si lega anche al clima internazionale, e su questo l’invasione russa ha avuto un effetto accelerante. Sia Seul che Tokyo sono state scioccate dall’atto aggressivo quanto anacronistico di Vladimir Putin, e hanno sin da subito seguito la linea dei partner Nato, sposando anche le preoccupazioni per il futuro (sebbene prendendo posizioni autonome).
I dubbi sul futuro
Michael Green, ex alto funzionario della Casa Bianca per l’Asia e studioso tra i più importanti Japanologist in circolazione, ha commentato che il vertice è stato il “più importante gioco di potere di Biden in Asia” dopo l’accordo Aukus del 2021 per aiutare l’Australia a ottenere sottomarini a propulsione nucleare. “Da una prospettiva storica, è probabilmente molto più grande di Aukus perché nessuno dubitava che Stati Uniti, Regno Unito e Australia potessero lavorare insieme”, ha detto Green, ma “c’erano dubbi […] sul fatto che Giappone e Corea potessero allinearsi strategicamente”.
Ora il punto riguarda il futuro. I funzionari statunitensi stanno facendo capire ai media che sono in corso strutturazioni dell’accordo a tre a livello istituzionale, e questo racconta di un timore su tutti: i funzionari asiatici sono particolarmente preoccupati per ciò che accadrà alla politica statunitense in materia di alleanze se Donald Trump tornerà alla Casa Bianca nel 2025. Sia Giappone che Corea del Sud hanno subito le stramberie delle visioni America First quando il repubblicano era alla Casa Bianca.
Se l’incontro è stato indubbiamente un successo generale, ci sono alcuni aspetti non del tutto positivi che riguardano non solo gli Usa. Un altro problema, simile a quello legato a un’eventuale vittoria di Trump, riguarda Seul. Yoon è un conservatore anomalo, con la possibilità di un solo mandato — a causa dell’età — e dunque più propenso a prendere rischi politici anche nella linea di apertura al Giappone. Tra i politici, anche progressisti, che nel 2027 potrebbero presentarsi alle urne a Seul, non saranno pochi quelli che non avranno visioni simili a Yoon riguardo a Tokyo.
Mancano ancora diversi anni alle prossime elezioni presidenziali sudcoreane, ma gli elettori coreani potrebbero anche eleggere un candidato che darà priorità alle controversie storiche, con Seul che — senza che i “Camp David Principals” si sedimentino nel sentimento comune e diventino qualcosa in più a livello economico-commerciale e culturale — potrebbe essere indotto a ritirare il suo impegno per la cooperazione in materia di sicurezza.