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La Cina limita l’export di droni, ma non le accuse sul suo conto

Pechino da settembre ha deciso di porre delle restrizioni ai suoi velivoli. Una scelta che risponde al report degli Stati Uniti in cui venivano segnalate consegne alla Russia, ma che non fuga tutti i dubbi

Fra un mese la Cina inizierà a controllare con ancor più attenzione le esportazioni di droni civili a lungo raggio. La misura è stata decisa oggi dal ministero del Commercio, ma entrerà in vigore dal prossimo primo settembre, quando le restrizioni interesseranno alcuni motori dei velivoli, i laser, le apparecchiature di comunicazione e sistema anti-Uav, sebbene dal dicastero affermino che resteranno comunque delle esenzioni. I limiti verranno imposti ai droni che superano il raggio visivo degli operatori, che hanno una durata di volo superiore ai trenta minuti o che pesano oltre 7 chilogrammi (pari a 15 libbre e mezzo).

La decisione è stata presa dopo che gli Stati Uniti hanno riscontrato l’uso di tali velivoli in Ucraina, oltre che come risposta a quella già partorita Oltreoceano, dove hanno vietato già dal 2019 alle loro aziende di rifornirsi dalla Cina per questi strumenti, una delle tante ritorsioni di Washington nella guerra commerciale con Pechino. Più della metà di quelli venduti in America sfruttava tecnologia della cinese DJI e, siccome la gran parte di questi mezzi viene utilizzata per le operazioni di sicurezza, i legislatori si sono voluti tutelare.

Questo nonostante le rassicurazioni. “Non abbiamo mai progettato e fabbricato prodotti e attrezzatura per uso militare, né abbiamo commercializzato o venduto i nostri prodotti per l’uso in conflitti militari o guerra in alcun Paese”, hanno precisato dall’azienda. Lo ha ribadito anche il portavoce del ministero del Commercio, garantendo come nessun drone di natura civile può essere esportato per scopi bellici. Un’affermazione vera a metà. L’Ucraina, infatti, avrebbe abbattuto alcuni droni cinesi a uso civile nel corso di questi mesi di conflitto, riadattati e armati. Una conferma neanche così indiretta dell’aiuto militare che Pechino avrebbe fornito – e forse ancora lo sta facendo – a Mosca, nonostante servano altri elementi per provarlo.

Per di più, dalla Germania sono piovute accuse contro DJI per aver informato la Russia su alcune posizioni degli ucraini, sfruttando proprio i droni. Dalla società cinese hanno liquidato la questione come mere illazioni, ponendo a loro difesa la decisione di lasciare sia il territorio russo sia quello ucraino proprio per non rimanere invischiata.

Pechino continua dunque a respingere qualsiasi insinuazione sul suo conto, ritenendo il suo operato impeccabile. Quella con Mosca è una “normale cooperazione economica e commerciale”, è stata la risposta al report statunitense in cui venivano riportati dati doganali russi che mostravano come alcuni appaltatori militari statali cinesi che fornivano droni, apparecchiature di navigazione, parti di aerei da combatti e altri prodotti venissero consegnati. Per fugare questi dubbi, da settembre la Cina ha deciso di cambiare registro, ma il tema sarà difficile da chiudere.

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