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Perché a Jamie Dimon non piacciono le nuove regole sulle banche Usa

Il numero uno della prima banca americana sbarra la strada alla riforma che mira al rafforzamento del capitale, concepita sull’onda emotiva del crack della Silicon Valley Bank

Jamie Dimon non è di quelli che le manda a dire. Se poi ci si mette anche il fatto che si parla di un peso massimo della finanza americana, il presidente e ceo di Jp Morgan, primo istituto statunitense, allora la presa di posizione diventa decisamente non trascurabile. Ai banchieri a stelle e strisce sembra non piacere più di tanto la riforma del sistema del credito voluta dai democratici e messa a terra dai regolatori che prevede, tra le altre cose, regole più rigide sul capitale delle banche. Una riforma, quasi inutile ripeterlo, nata sull’onda emotiva del crack della Silicon Valley Bank, otto mesi fa.

Intervenendo a una conferenza stampa a New York, Dimon ha criticato le regole più rigide sui patrimoni, proposte dalle autorità di regolamentazione statunitensi, accusandole di indurre gli investitori e gli azionisti a ritirarsi e ostacolare così la crescita economica. Il messaggio è chiaro, più capitale vuol dire un esborso maggiore da parte dei soci di una banca. Se poi le regole sono stringenti, come pare, si tratterebbe di un vero e proprio salasso, il che potrebbe spingere gli attuali azionisti a un disimpegno.

“La proposta di richiedere alle banche di accantonare più capitale per proteggersi dai rischi è stata estremamente deludente e ha comportato una mancanza di trasparenza da parte dei regolatori”, ha attaccato Dimon. “Con queste regole non sarei un grande acquirente di una banca, tutto quello che voglio è equità, trasparenza, apertura”. Il numero uno di Jp Morgan sa benissimo che le banche statunitensi da mesi stanno accantonando ingenti quantità di capitale, proprio per evitare che nuovi possibili shock, a cominciare dal rallentamento dell’economia globale che ormai sembra certo, mandino a gambe all’aria altri istituti. Le cifre, ancora ballerine, parlano di poco meno di 3.300 miliardi di dollari, in termine di riserve accumulate.

Questo a Dimon non piace, ma agli esperti di Moody’s, sì. “Questa è una risposta logica a un’economia in rallentamento e in particolare a uno scenario in cui si verificano deflussi di depositi ed è necessario risparmiare liquidità”, ha affermato David Fanger, vicepresidente senior dell’agenzia di rating”.

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