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Cosa rivela il nuovo chip Huawei sullo stato dell’industria cinese

L’ultimo smartphone della casa cinese gira su un processore a 7 nanometri, prodotto dai campioni nazionali nonostante le restrizioni di Usa e alleati. Per Pechino è un successo nella corsa verso l’autonomia tecnologica, ma il fatto non segna l’insuccesso della strategia di contenimento di Washington: difficilmente la rincorsa cinese avrà abbastanza slancio per colmare il divario con l’Occidente

Sorpresa: l’iper-sanzionata Huawei adesso offre un microprocessore a 7 nm, che in linea teorica è più avanzato rispetto alle attuali capacità dell’industria cinese. L’ultimo telefono presentato dal colosso, il Mate 60 Pro, contiene un nuovo chip – il Kirin 9000S – prodotto da Semiconductor Manufacturing International Corp, o Smic, la più grande azienda cinese di semiconduttori. E secondo quanto rivela Bloomberg, che l’ha analizzato attraverso TechInsights, il livello di sofisticatezza evidenzia i progressi di Pechino nel creare un ecosistema di chip nazionale.

Un passo indietro. Dallo scorso ottobre gli Stati Uniti stanno espandendo i controlli sulle esportazioni verso la Cina nel campo della produzione dei semiconduttori. Adottate anche da Olanda e Giappone, gli altri due triumviri nella catena di valore dei chip, le misure si applicano sia ai semiconduttori più avanzati che agli strumenti per la loro fabbricazione (come i macchinari a litografia Euv). Non è un caso che le aziende cinesi stiano correndo per comprare quanti più macchinari possibile prima che il campione olandese Asml, leader nel settore, smetta di esportarle anche quelli più obsoleti.

La Cina, che ogni anno spende più soldi per importare chip di quanti non ne usi per rifornirsi di petrolio, è fortemente dipendente dall’Occidente. La somma delle restrizioni dovrebbe impedire alle aziende cinesi di poter fabbricare i chip più avanzati, quelli dai 14 nm in giù, che sono circa otto anni indietro rispetto alla tecnologia più avanzata. Più diminuiscono i nanometri e più i chip sono adatti per alimentare le tecnologie più sofisticate, come gli smartphone di punta e le munizioni intelligenti, ma anche la connessione 5G e l’addestramento su scala dei sistemi di intelligenza artificiale.

Tuttavia, le rivelazioni di Bloomberg raccontano un’altra storia. Nell’estate del 2022 era già emerso come Smic stesse migliorando le sue capacità, riuscendo a produrre un rudimentale chip a 7 nm – probabilmente perfezionando il processo produttivo usando i macchinari occidentali a sua disposizione. Ora la Cina ha dimostrato di poter produrre (perlomeno in quantità limitate) chip a 7 nm in grado di far funzionare uno smartphone di punta, che pur essendo indietro di due generazioni rispetto ai processori più sofisticati al mondo (come quello da 3 nm che Apple dovrebbe annunciare settimana prossima) possono comunque garantire capacità di calcolo e prestazioni di rilievo.

Questi chip a 7 nm hanno “solo” cinque anni di ritardo rispetto all’avanguardia, e sono stati prodotti da due aziende – Huawei e Smic – inserite dagli Usa nella “lista nera” perché collegate all’Esercito di liberazione popolare. In altre parole, il governo cinese si è avvicinato all’obiettivo dichiarato di Xi Jinping di raggiungere l’autosufficienza nel settore critico dei semiconduttori, per cui Pechino sta spendendo una cifra simile a quella impiegata per il suo arsenale nucleare.

Le testate di propaganda come il Global Times si sono affrettate a festeggiare con fervore patriottico “la capacità del Paese di condurre ricerca e sviluppo tecnologico indipendente nonostante le sanzioni statunitensi”. Ma il fatto che il Mate 60 Pro sia andato subito in esaurimento e i dubbi riguardo alla sua disponibilità suggeriscono che Smic sia in grado di produrre il Kirin 9000S solamente in quantità limitate, secondo diversi analisti.

È anche possibile che Huawei abbia fatto incetta di chip a 7 nm dalla taiwanese Tsmc (leader assoluto dei chip più avanzati e fornitore di Apple) prima che calassero le sanzioni di ottobre 2022. Ma se anche fosse vero che Smic riesca a produrre chip a 7 nm, resta il fatto che l’azienda potrebbe aver già raggiunto il limite massimo di quello che può produrre, anche a dispetto dello sforzo sistemico delle industrie cinesi. Per scendere sotto i chip a 7 nm servono i macchinari a litografia Euv, che al contrario dei meno sofisticati Duv non si possono assolutamente esportare verso la Cina da diversi anni.

Infine, a dispetto della narrazione offerta dalla propaganda cinese, serve ricordare che le misure di contenimento messe in campo dagli Usa hanno uno scopo ben preciso. Funzionari della Casa Bianca hanno spiegato a Formiche.net che l’intenzione dell’amministrazione a guida Joe Biden non è mai stata quella di colpire l’economia o i consumatori cinesi, ma ridurre l’accesso ai prodotti più sofisticati per evitare che vadano a rafforzare le capacità delle forze armate cinesi e conservare il vantaggio tecnologico. Da qui le restrizioni limitate ai prodotti più sofisticati – i macchinari litografici, i software di progettazione, i chip di punta.

Pur avendo fatto un salto in avanti, l’industria cinese rimane diversi anni indietro rispetto a quelle occidentali. E la mancanza di accesso agli strumenti d’avanguardia dovrebbe ostacolare le aziende come Smic nella corsa a rimanere competitivi in un settore in rapida evoluzione. Nel mentre le società tecnologiche occidentali continuano la loro corsa all’innovazione. E se è pur vero che la Cina spende in ricerca e sviluppo più degli altri Paesi messi assieme, come scrive l’autore di Chip War Chris Miller, è anche vero che il modello autocratico è più adatto a copiare che innovare.

(Immagine: Huawei)


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