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Dimon fa proseliti. Ora anche Citigroup, Morgan Stanley e Goldman contro la Fed

All’indomani del duro attacco del numero uno di Jp Morgan contro le nuove norme che impongono il rafforzamento del patrimonio, altri tre istituti e pesi massimi di Wall Street si aggiungono alla lista degli scontenti. E parte la lettera contro la Fed

Da uno a quattro il passo è breve, se c’è di mezzo il destino del sistema bancario della prima economia globale. Pare proprio che le nuove regole per il rafforzamento del capitale messe a terra dalla Federal Reserve e dalla Federal Deposit Insurance, per impedire nuovi casi in stile Silicon Valley Bank, risultino particolarmente indigeste ai grandi istituti. Dopo la carica suonata da Jamie Dimon, ceo di Jp Morgan, alla pattuglia dei malcontenti si sono aggiunte niente meno che Morgan Stanley, Goldman Sachs e Citigroup. Praticamente la spina dorsale della finanza statunitense e di Wall Street.

In una missiva inviata alla stessa Fed, i quattro gruppi bancari, reduci da un’estate non proprio facile, hanno messo nero su bianco le loro ragioni, affermando che la proposta presentata lo scorso luglio e che prevede il rafforzamento del patrimonio, viola la legge sulla procedura amministrativa perché mancavano dati pubblici e analisi sufficienti. Tale legge, infatti stabilisce determinati requisiti per le autorità quando propongono nuove regole, inclusa l’analisi economica. I gruppi hanno sostenuto che le banche non possono rispondere adeguatamente alla proposta, che richiederebbe ai finanziatori di detenere più liquidità per assorbire le perdite, senza tale analisi.

Giova ricordare come la proposta, che nei fatti è l’atto finale dei vari trattati di Basilea, implementa gli standard patrimoniali internazionali concordati dal Comitato di Basilea per la vigilanza bancaria all’indomani della crisi finanziaria del 2007-2009. E rivede il modo in cui le banche misurano il loro livello di rischio e, di conseguenza, quante riserve devono mantenere come cuscino contro le perdite.

Tutto questo ha una conseguenza. E cioè che le grandi banche Usa sono sul piede di guerra, anche perché le regole rischiano, secondo i calcoli di Bloomberg, di spazzare via più di 100 miliardi di dollari di capitale in eccesso che i colossi hanno messo da parte nell’arco dell’ultimo decennio. La mossa, che entrerà in vigore a partire dal prossimo 1° ottobre, arriva tra l’altro in un momento in cui i giganti di Wall Street non possono certo stappare lo spumante, nel bel mezzo di un outlook sull’economia che diventa sempre più incerto.

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