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L’ora della transizione per l’Africa, tra green bond e Piano Mattei

Il presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen annuncia da Nairobi il lancio di obbligazioni verdi con cui raccogliere fino a un miliardo e finanziare le energie pulite nel Continente nero. Un’iniziativa che può tirare anche in ballo i piani di Palazzo Chigi

Quando i soldi pubblici non bastano, bisogna rivolgersi al mercato. Specialmente se l’obiettivo è permettere una solida ed efficace transizione energetica nei Paesi emergenti. Per Ursula von der Leyen d’altronde il Recovery Plan, finanziato per buona parte dall’emissione di debito comunitario, è un po’ la sua creatura.

Allora perché non replicare su scala green, visto e considerato che oggi le obbligazioni verdi sono alla base del finanziamento della sostenibilità privata e corporate? L’occasione è arrivata dal summit per l’Africa, in corso a Nairobi, capitale del Kenya. “Sulla transizione verde i finanziamenti pubblici non sono sufficienti. Questo vale per l’Europa, ma anche per i mercati emergenti. Sarà necessario mobilitare il capitale privato su larga scala ed è per questo che presentiamo una nuova proposta per attirare gli investimenti privati. Si chiama Iniziativa sui green bond globali. Insieme alla Banca europea per gli investimenti e ai nostri Stati membri, stiamo per stanziare 1 miliardo di euro per ridurre il rischio degli investimenti privati nei mercati emergenti”, ha spiegato il presidente della Commissione europea.

Il punto di caduta dunque è raccogliere un miliardo dal mercato e girarlo direttamente sugli investimenti per la transizione in Africa, innestando così il capitale privato al fianco di quello pubblico. D’altronde, non è pensabile garantire una sterzata globale sul clima lasciando il Continente nero al suo destino. Ma c’è un’altra strada. “Esiste un’altra soluzione che consentirebbe di sbloccare enormi risorse per l’azione per il clima in Africa. È il prezzo del carbonio e questo è il mio secondo punto. Credo che la fissazione di un prezzo sulle emissioni di emissioni di carbonio sia uno degli strumenti più efficienti ed efficaci nelle nostre mani. Perché favorisce l’innovazione da parte del settore privato. Perché fa pagare un prezzo equo a chi inquina pesantemente. E perché i ricavi possono sostenere la transizione pulita nei Paesi in via di sviluppo”, ha spiegato von der Leyen.

“Lavoriamo insieme e presentiamo alla Cop28 una proposta per la fissazione di un prezzo globale del carbonio. Infine, sugli obiettivi energetici globali, se vogliamo limitare il riscaldamento globale a 1,5 gradi Celsius, dobbiamo accelerare la transizione energetica globale. accelerare la transizione energetica globale. Ciò significa: Dobbiamo triplicare la capacità di energia rinnovabile e raddoppiare l’efficienza energetica entro il 2030. E questo è fattibile. Se aumentiamo gli investimenti globali nelle rinnovabili, l’energia pulita diventerebbe più accessibile per tutti i Paesi, anche qui in Africa”, ha aggiunto.

C’è però un minimo comun denominatore tra le due proposte e cioè il piano Mattei per l’Africa che il governo di Giorgia Meloni sta cercando di portare avanti e promuovere. Una strategia che prende il nome dal fondatore di Eni, Enrico Mattei, e che proprio nel gruppo guidato da Claudio Descalzi ha il suo baricentro e motore.  Proprio come Mattei aveva tessuto una rete di collaboratori capaci di muoversi sulla scena internazionale, Palazzo Chigi ha pensato a un modello di cooperazione non predatorio, in cui entrambi i partner devono poter crescere e migliorare. Il piano prevede di arrivare entro due anni al totale sganciamento dal gas russo, per poi crescere progressivamente come hub di distribuzione di energia dal Nord Africa al cuore dell’Unione europea.

Lo sprint verso la transizione impresso da Bruxelles attraverso il lancio di bond verdi si intreccia inevitabilmente con tale iniziativa, dal momento che gli investimenti che potranno essere messi a terra grazie alle risorse raccolte, avranno necessariamente bisogno di interlocutori credibili, tra cui la stessa Italia e le sue imprese. E poi, se è vero che l’addio alle forniture di idrocarburi russe passa anche per le energie alternative, la transizione non può che essere la strada. Di qui la necessità di creare fonti alternative e di approvvigionamento in Africa, non solo per rendere indipendente il Continente, ma anche l’Europa stessa.

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