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La Luna è una severa maestra. Spagnulo spiega perché

Agosto è stato il mese della Luna. Dopo il fallito allunaggio di una sonda russa è stata la volta dell’India arrivata con successo al polo sud lunare e infine doveva decollare, poi rinviata per maltempo, una missione giapponese. Nella corsa alla Luna c’è però un assente ingiustificato: l’Europa. L’opinione dell’ingegnere ed esperto aerospaziale, Marcello Spagnulo

Negli anni Sessanta Robert Heinlein pubblicò “La Luna è una severa maestra” uno dei suoi migliori romanzi di fantascienza che narra della ribellione dei coloni che vivono e lavorano in città costruite sotto la superficie lunare nel 2075. La loro vita però è dura e aspra sia per le ostili condizioni ambientali sia per il dispotico dominio dei terrestri che esigono materie prime per soddisfare i bisogni del pianeta divenuto quasi invivibile per il sovrappopolamento. Dopo aver bombardato la Terra con le stesse catapulte elettromagnetiche con cui spediscono i materiali estratti sulla Luna, i coloni alla fine ottengono l’indipendenza e possono ambire a vivere in autonomia la loro vita sotterranea.

Ecco che il titolo di questo articolo vuole richiamarsi al romanzo di Heinlein, non tanto per le ipotetiche assonanze prospettiche tra la distopia fantascientifica e l’attuale entusiasmo per le missioni lunari corredate dall’immancabile apodittica dichiarazione “stiamo tornando per restarci”, quanto piuttosto per sottolineare come proprio il nostro satellite naturale rappresenti oggi l’emblema delle pallide ambizioni spaziali europee.

Negli ultimi 5 anni ben otto lander sono stati inviati sulla Luna, 3 sono arrivati a destinazione con successo (due cinesi e uno indiano) mentre gli altri 5 (Israele, Giappone, Emirati Arabi Uniti, Russia e India) non sono giunti a destinazione. Nello stesso periodo gli Stati Uniti hanno inviato sette orbiter, di cui quattro senza successo, e hanno realizzato la prima missione Artemis-1 gettando le basi per il programma lunare del prossimo decennio.

Più che di una vera e propria corsa alla Luna dove conta chi arriva primo, dovremmo parlare di una maratona a più concorrenti dove conta arrivare, anche a costo di iniziali insuccessi.

Ma tra i vari concorrenti manca l’Europa.

Certo, l’Agenzia spaziale europea (Esa) collabora con la Nasa nel programma Artemis e l’industria europea realizza elementi importanti come Esm, il modulo di servizio della capsula Orion, oppure Halo (Habitation and logistics outpost), Esprit (European system providing refueling, infrastructure and telecommunications), e I-Hab (International habitation module) tutti per il Lunar gateway.

Si tratta però di elementi self-standing prodotti come contribuzione al programma americano, in modo del tutto simile a quanto fatto sinora per la Stazione spaziale internazionale (Iss).

Di fatto l’Europa non ha un suo programma per un sistema autonomo, robotico o human-rated, di accesso e permanenza in orbita terrestre, cislunare né tantomeno di allunaggio o di esplorazione stanziale.

Mentre Stati Uniti, Russia, Cina, India, Giappone, Israele e persino gli Emirati Arabi Uniti, solo per citarne alcuni, sono impegnati da anni a realizzare progetti marziani o lunari, seppur con tutte le ovvie differenti dimensioni, l’Ue si è concentrata su progetti applicativi e sofisticate missioni scientifiche, progetti importanti ma di relativo impatto mediatico.

Persino la missione planetaria europea di punta, Exomars, ha messo in luce la mancanza di autonomia strategica dell’Ue. Doveva partire un anno fa su un razzo russo, invece se ne riparlerà, forse, nel 2028.

Il recente sbarco sulla Luna della sonda Chandrayaan è stato invece per l’India un simbolo, la prova del valore di un intero continente e il frutto di un lavoro pluridecennale.

Nella sede di Bangalore dell’agenzia spaziale Isro sono esposte fotografie dei primi ingegneri indiani che negli anni sessanta trasportavano le parti dei razzi vettori sul retro delle biciclette, e poi dopo i primi lanci che regolarmente finivano in mare, tornavano sempre in bicicletta nei laboratori a riprendere il loro lavoro.

Sin d’allora si è radicato nei politici indiani l’obiettivo di ricercare autonomia tecnologica e progresso scientifico a cui dare un valore di orgoglio nazionale, e ovviamente anche di leva geopolitica. Le Forze armate indiane sono infatti sempre state coinvolte nelle attività spaziali dell’Isro.

Quando nel 2014 l’India diventò la quarta nazione al mondo a raggiungere Marte dopo Usa, Russia e Europa – la quale peraltro ci era arrivata decollando da Baikonour su un vettore Soyuz – il premier Narendra Modi dichiarò, non senza una punta di ironia, che la sonda Mangalyaan era costata meno di quanto aveva speso l’industria cinematografica di Hollywood per realizzare il film “Gravity” uscito in quello stesso anno. Per inciso, la missione era prevista durare sei mesi ma ha funzionato per otto anni.

Ma tornando al recente allunaggio, ci sono state critiche, come già in passato, per il fatto che l’esplorazione dello spazio sarebbe uno schiaffo all’etica sociale di una nazione come l’India, incapace di soddisfare i bisogni primari di gran parte della sua popolazione. Bisogna però considerare che questo popoloso continente in grande crescita demografica si vuole affermare come una potenza economica e geopolitica, e la sua radicata tradizione di eccellenza scientifica e tecnologica si sta rivelando un pilastro della sua ascesa, offrendo un modello a nazioni minori che aspirano a seguirne le orme.

Certo questa crescita presenta ancora caratteri di estesa diseguaglianza ma è la leva geopolitica a renderla urgente. La Cina è alle porte e l’India con un approccio diplomatico non allineato deve bilanciare la sua vicinanza agli Stati Uniti e i suoi profondi legami con la Russia, pur mantenendo il suo importante flusso commerciale con Pechino.

E per l’India proprio lo spazio è prova in un mix di successi nazionali, di adesione al progetto Artemis della Nasa e nel contempo di partecipazione alla comunità dei Brics, i quali a maggio hanno siglato un accordo di cooperazione per condividere dati di osservazione satellitare tra le rispettive agenzie spaziali.

Alla luce di tutto ciò, il successo spaziale di New Delhi è un’ennesima chiara lezione per gli europei. Purtroppo, nonostante una crescente pressione affinché l’Ue elabori una visione spaziale in grado di catturare l’immaginazione dei cittadini, non appare scontato che la situazione cambi presto. L’Unione a 27 Stati sconta troppe differenze politiche di strategia e soprattutto una crescente frizione del blocco trainante franco-tedesco. L’Esa a 22 Stati membri ne è ulteriore esempio: Francia, Germania e Italia da sole forniscono il 60% del budget, è ovvio che le decisioni strategiche debbano passare per questi Paesi e se tra essi non c’è accordo tutto si rallenta, mentre il resto del mondo corre.

Molto eloquente in questo senso un articolo pubblicato sul quotidiano francese Le Figaro il 24 agosto scorso dove, tra l’altro, si legge “…l’esplorazione della Luna è un indicatore per conoscere il progresso delle nazioni nel campo spaziale, ed è un punto di partenza per l’esplorazione del sistema solare. In questo senso, la Stazione spaziale internazionale è stata una perdita di tempo. L’Europa ha i mezzi per competere con le altre potenze spaziali ma non ha la voglia di farlo. Saprebbe come sviluppare un programma spaziale su larga scala mandando astronauti nello spazio, ma ci ha rinunciato negli anni Ottanta. L’Europa non ha voluto correre il rischio perché non si sentiva pronta ad accettare un possibile fallimento. Il progetto della navetta spaziale europea Hermès fu una risposta, sotto egida francese, ai programmi americani ma la Germania chiese alla Francia di fermarsi al momento della firma degli accordi di Maastricht perché non accettava il predominio francese nel programma…”.

Ora, al di là della condivisione o meno, totale o parziale, delle tesi dell’articolo del quotidiano d’oltralpe resta il fatto che i contenuti battono su dei tasti dolenti e quindi, tornando al presente, è sempre utile tenere a mente il passato. A novembre è previsto uno Space summit, fortemente voluto dall’Eliseo, tra i ministri con delega allo spazio dove si parlerà di quale visione strategica adottare per il futuro spaziale dell’Ue. Esplorazione robotica e umana, nuove stazioni spaziali e un lanciatore in grado di trasportare astronauti saranno temi centrali. E forse la lettura di alcuni classici di fantascienza insieme ai dossier preparatori per il Summit potrebbe essere di stimolo per un auspicato cambio di strategia.

[Immagine: Nasa]


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