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L’Europa ora ha il fiato corto. Alla Bce basterà?

La Commissione europea, come ampiamente previsto, ha tagliato le stime di crescita per quasi tutto il continente. La Germania è al palo e ormai è un caso, ma anche l’Italia deve tirare il freno a mano. Ora Francoforte deve capire se fermarsi o tagliare ancora i tassi. Mentre la Fed potrebbe smarcarsi

Forse adesso che ci sono i numeri, quelli reali, la Banca centrale europea ha un motivo in più per tirare il freno a mano sui tassi. Sempre che Christine Lagarde sia dello stesso parere. Ma è un fatto che l’economia europea sia in rallentamento e non solo per colpa della Germania che si è impantanata (qui l’intervista all’economista e direttore della Fondazione Edison, Marco Fortis). La Commissione europea, nell’aggiornare le sue previsioni di crescita in vista dell’autunno, ha infatti deciso di ridurre le stime del Pil nel 2023.

C’è poco da girarci intorno, gli ultimi dati sono poco incoraggianti e rispetto alle previsioni di primavera ecco servita una revisione al ribasso marcata e generalizzata. Nell’Eurozona la crescita si fermerà allo 0,8% (dall’1,1% delle previsioni di primavera) e all’1,3% nel 2024 (da +1,6%). In Italia il Pil del 2023 salirà di uno 0,9% (da +1,2%) e di un altro 0,8% nel 2024 (da +1,1%). L’esecutivo comunitario parla di “slancio ridotto” della crescita nella prima metà dell’anno, cercando di allontanare il più possibile lo spettro di una recessione.

Attenzione però, perché uno dei dati peggiori riguarda la Germania con il Pil in calo dello 0,4% quest’anno e in aumento dell’1,1% l’anno prossimo, mentre nelle previsioni di primavera si ipotizzava una crescita dello 0,2% nel 2023 e dell’1,4% nel 2024. Di rovescio, la crescita più consistente è quella della Spagna con un 2,2% (+1,9% nel 2024), e della Francia con l’1% (+1,2% nel 2024). Una prima conclusione è d’obbligo.

“La debolezza della domanda interna, in particolare dei consumi, mostra che i prezzi al consumo, elevati e ancora in aumento per la maggior parte dei beni e dei servizi, stanno pesando più di quanto previsto nelle previsioni di primavera” afferma la Commissione nel rivedere al ribasso le attese. “Nel complesso, si prevede che lo slancio di crescita più debole nell’Ue si estenderà fino al 2024, e l’impatto della politica monetaria restrittiva è destinato a continuare a frenare l’attività economica”. Giovedì la Bce dovrà decidere se aumentare di nuovi tassi o prendersi una nuova pausa anche alla luce dei dati deludenti sulla crescita.

Non è tutto. L’altro capitolo è quello dell’inflazione, forse più delicato del Pil stesso, visto che la questione fa il paio con i tassi. Il punto di partenza sono sempre i numeri di Bruxelles. Per la quale l’inflazione è attesa nel 2023 al 5,6% nell’Eurozona (da 5,8%) e al 2,9% nel 2024 (da 2,8%). In Italia al 5,9% e al 2,9% quest’anno e il prossimo. Insomma, il costo della vita è in frenata. A questo punto la domanda è, che cosa farà la Bce nel board di giovedì? Il mercato, inutile negarlo, scommette ancora su un rialzo dei tassi di 25 punti base, proprio nelle ore in cui Bankitalia ha ammesso un primo stop al costo dei mutui. Ed è probabile che le cose vadano così, che per Francoforte il ripiegamento della crescita certificato dall’Ue non sia sufficiente a giustificare una pausa.

Discorso diverso per la Federal Reserve, la cui strada ormai sembra essere diversa da quella della Bce. Se non ci saranno ripensamenti, Jerome Powell terrà fermi i tassi al 5,25-5,5%. Forse per non sprecare un capitale che l’Europa oggi non ha: l’economia americana nel primo trimestre è cresciuta del 2%, oltre le attese degli analisti e sopra la prima e la seconda stima sul Pil che indicavano rispettivamente una crescita dell’1,1% e dell’1,3%.


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