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Sulle armi gli Usa trattano Taiwan da Stato/nazione

La questione del riconoscimento formale della statualità di Taiwan viola i principi della One China policy con cui Washington ha stabilito relazioni con Pechino. Ci sono spazi di ambiguità, ma il dipartimento di Stato sottolinea che la nuova assistenza militare a Taipei sarà fornita sotto il meccanismo riservato alle nazioni

Mentre il ministero delle Risorse naturali cinesi faceva infuriare Nuova Delhi (e forse anche in parte Mosca) per le nuove “mappe standard” in cui rivendicava la linea nazionalistica su alcune parti dei confini russi e indiani, da Washington il tema “nazione” – con oggetto Taiwan – diventa un nuovo elemento che traccia il perimetro delle relazioni con Taipei, e quello più teso con Pechino.

Gli Stati Uniti per la prima volta hanno approvato il trasferimento di armi a Taiwan nell’ambito di un programma solitamente riservato agli stati sovrani. E il dipartimento di Stato ha dedicato spazio pubblico per informare i media della faccenda, che è tutt’altro che secondaria se si considera che l’inesistenza di Taiwan in quanto Stato/nazione è uno dei punti esistenziali per la Repubblica popolare cinese. All’opposto, come su queste colonne spiegava il ministro degli Esteri taiwanesi, Joseph Wu, a Taiwan servono varie forme di riconoscimento internazionale – a cominciare da quelle dirette all’interno del sistema delle Nazioni Unite, ma anche quelle più sofisticate come questi passaggi amministrativi americani.

I nuovi fondi americani potrebbero essere utilizzati per finanziare l’acquisizione e la ristrutturazione di veicoli blindati e di fanteria, sistemi di artiglieria, droni e attrezzature contro droni, comunicazioni e attrezzature individuali per soldati, nonché l’addestramento necessario, secondo la notifica del Congresso. I legislatori statunitensi l’anno scorso hanno autorizzato l’amministrazione a fornire fino a 2 miliardi di dollari di sostegno militare a Taiwan: fondi che sono separati dall’acquisto di attrezzature da parte del governo taiwanese prodotte dagli appaltatori della difesa statunitensi.

Foggy Bottom ha aggiunto che il trasferimento nell’ambito del meccanismo di finanziamento militare straniero non rifletteva un cambiamento nella politica sullo status dell’isola. Ossia non riguardava modifiche sul riconoscimento della politica “One China”, una politica risalente agli anni ’70 in base alla quale gli Stati Uniti non hanno relazioni ufficiali con Taiwan e riconoscono solo una Cina, quella continentale. Tuttavia è chiaramente significativo e non è la prima volta che gli Stati Uniti dell’amministrazione Biden si trovano in situazioni da dover sottolineare certi elementi, pur dando segnali diversi. È l’ambiguità strategica.

La Cina considera Taiwan una provincia ribelle, ha ambizioni di annetterla (non escludendo l’uso della forza) e ha ripetutamente protestato contro le vendite di armi americane. In passato, gli Stati Uniti hanno utilizzato altre strade per la vendita di armi a Taiwan che non implicano la statualità. Anche se riferito soprattutto alle nazioni, il Foreign Military Financing Mechanism copre anche le organizzazioni internazionali dando appunto spazi per quelle ambiguità.

Il portavoce del ministero della difesa cinese ha detto giovedì che la Cina “si oppone costantemente” alle mosse degli Stati Uniti per vendere armi a Taiwan. “La sicurezza di Taiwan dipende dagli sforzi di entrambe le parti dello Stretto di Taiwan secondo il principio One China”, ha aggiunto durante una delle regolari conferenze stampa con cui Pechino comunica con i giornalisti.

Il portavoce ha aggiunto che le armi americane “danneggeranno solo la sicurezza e il benessere del popolo di Taiwan”, ed è una dichiarazione pensata a fini elettorali secondo una struttura chiara dell’attuale narrazione cinese. Nel 2024 si voteranno le presidenziali a Taipei, e Pechino è impegnata in varie attività di interferenza politica per evitare che i taiwanesi scelgano un candidato che segua la linea autonomista attuale.



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