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La crescita cinese potrebbe ingolfarsi (di nuovo). La profezia di Goldman Sachs

Nelle ore in cui il Dragone festeggia i dieci anni della Belt&Road, la banca d’affari americana taglia il Pil nazionale con la possibilità che l’economia possa arenarsi ancora una volta, già sul finire dell’anno. Le Borse non la prendono bene, mentre Pechino disinveste dal debito americano e il caso Country Garden si tinge di giallo

Nemmeno il tempo di spegnere le dieci candeline per la Via della seta (qui l’intervista all’economista Alberto Forchielli), che sulla Cina si addensano nuove nubi. Stavolta è il turno di una grande istituzione internazionale, chiamata a dire la sua sullo stato di salute delle economie avanzate del globo. Goldman Sachs ha infatti tagliato le stime di crescita relative al 2023, portandole dal 5,4 al 5,3%. Ora, i valori poc’anzi citati, superano ancora il target del 5% fissato dal governo a inizio anno, quindi messa in questi termini potrebbe sembrare una buona notizia. Anche perché, proprio ieri, l’Ufficio di statistica cinese ha fatto sapere che nel terzo trimestre la crescita cinese si è portata al 4,9%, contro una previsione degli analisti del 4,4%.

NUBI SU PECHINO

Ma è nel commento che ha accompagnato la stima che si cela l’oscura previsione. E cioè, il Dragone va incontro a una decelerazione irregolare della crescita, già a partire dal 2023. Tradotto, il motore cinese potrebbe ingolfarsi ancora una volta, senza nemmeno il tempo di metabolizzare l’accelerazione nel terzo trimestre. E per questo, ha fatto notare la banca d’affari americana, serviranno nuovi stimoli da parte del governo.

Magari, tenere ancora i tassi nel congelatore, così da tentare di rianimare quel settore immobiliare demolito dai fallimenti dei suoi colossi, cominciando da Evergrande per arrivare fino a Country Garden. Non alzare il costo del denaro vorrebbe dire tuttavia impedire alle banche cinesi di non ottenere quei margini di cui hanno un disperato bisogno, il che sarebbe un problema nel problema. E poi, mai dimenticare che l’obiettivo del 5% fissato dal partito, deve confrontarsi con il 2022, quando la Cina era ancora tutta, o quasi, imprigionata dai lockdown. Nei fatti, quindi, si tratta di una crescita più di rimbalzo che strutturale.

E che le valutazioni di Goldman Sachs non siano passate inosservate agli occhi dei mercati, provato anche dalla pessima sessione delle principali Borse asiatiche, proprio a valle delle stime diffuse dalla banca statunitense. All’alba italiana, quando i listini d’Oriente si avviavano alla chiusura, il Nikkei perdeva l’1,7%, Hong Kong il 2%, Shanghai l’1,2%. Sullo sfondo, un ulteriore rialzo dei rendimenti dei titoli del Tesoro Usa e le crescenti tensioni in Medio Oriente con Israele che si prepara a per un’invasione di terra su Gaza. Ma anche, come detto, l’alert di Goldman Sachs.

FUGA DAL DEBITO (AMERICANO)

Andando oltre il Pil, sul fronte finanziario si registra un sostanzioso disimpegno del Dragone dal debito americano. La Cina, unitamente al Giappone, è uno dei principali compratori di titoli e bond statunitensi. Eppure, nel mese di agosto Pechino ha venduto bond Usa in grosse quantità, portando il debito americano nelle sue mani al livello minimo in 14 anni. Più nel dettaglio, i bond a stelle e strisce in mano al Dragone, sono calati di 16,4 miliardi di dollari, scendendo a 805,4 miliardi di dollari, il livello più basso dal 2009.

Non è chiaro cosa ci sia a monte di tale dismissione, se le tensioni geopolitiche o, molto più semplicemente, l’andamento degli stessi titoli americani i cui rendimenti, in queste settimane, hanno raggiunto nuovi massimi degli ultimi 16-17 anni: quello a dieci anni ha superato il 4,9% per la prima volta dal 2007 e quello a due anni ha raggiunto il 5,235%.

IL CASO COUNTRY GARDEN

Sullo sfondo, rimane il caso, ormai diventato di dominio planetario, di Country Garden. Il primo gruppo immobiliare privato cinese, come raccontato in più occasioni da questa testata, è ormai tecnicamente insolvente e si appresta a seguire il destino della sua sorella maggiore, Evergrande. Ma ora la vicenda si è arricchita di nuovi particolari, decisamente rocamboleschi.

L’ormai ex colosso del mattone ha diffuso una dichiarazione nella quale smentisce le voci, fatte circolare da diverse piattaforme social, secondo le quali il suo fondatore e la presidente sarebbero fuggiti dalla Cina, dopo che la compagnia ha mancato il pagamento di interessi per 15 milioni di dollari su debito offshore alla scadenza del periodo di grazia di un mese. La società ha dovuto precisare che il suo fondatore, Yeung Kwok-keung, e sua figlia Yang Huiyan, che è presidente della società, stanno ancora lavorando normalmente in Cina. Ma la verità, quale è?

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