Nel report pubblicato dal Centro Economia Digitale emerge come le politiche di Bruxelles e Washington vanno nella direzione giusta nei confronti di Pechino, ma a una velocità totalmente inadeguata. La Cina corre più veloce ed è più preparata nella transizione verde. Per cambiare approccio, si deve partire dal settore dei pannelli solari, quello in cui il dominio cinese, per alcuni componenti, arriva al 94%
Guardare alla Cina per capire le decisioni dell’Occidente. Se il tema è la trasformazione green, le politiche adottate all’interno dell’Unione europea e degli Stati Uniti sono una contro risposta, o un riadattamento, alle mosse di Pechino. Prendiamo il settore fotovoltaico, un settore indispensabile se si vogliono davvero centrare gli obiettivi climatici. Il motivo è semplice nella teoria, magari più difficile nella pratica: i pannelli solari possono essere riciclati (è proprio il caso di dirlo visto il tema) su più fronti, sia civili che industriali. E il fine ultimo fissato da Bruxelles per migliorare la loro potenza sembra parlare chiaro: entro il 2025 la Strategia per il Solare ha un obiettivo di 400 GW, per poi salire a 750 GW entro la fine del decennio. Il che vuol dire raddoppiare i livelli attuali. Ma questa corsa è dovuta a un’esigenza esterna, che vale tanto per gli europei quanto per gli americani: l’ascesa del Dragone.
Due anni fa il suo peso nella produzione di moduli ammontava al 75%, in quella di polisilicio al 79%, nelle celle solari contava per l’81% e, infine, nei wafer per il 97%. Percentuali che spiegano bene il dominio della Cina in un settore chiave per l’attuazione delle politiche industriali che Stati Uniti e Unione Europea si sono prefissate. Uno scenario inaccettabile. Il paper redatto dal Centro Economia Digitale, intitolato Tecnhological Sovereignty and Strategic Dependencies the Case of the Photovoltaic Supply Chain, è stato pensato proprio per tracciare una linea temporale lungo cui inserire le strategie commerciali e tecnologiche del settore fotovoltaico, concentrandosi su aree tematiche critiche.
Naturalmente, in questo discorso devono essere inserite la già citata Strategia Solare partorita dall’Ue, così come l’Inflation Reduction Act, o IRA, pensata dall’amministrazione democratica di Joe Biden – e che tanto ha fatto arrabbiare gli Stati europei. Tutte e due servono per migliorare la produzione interna e per diventare indipendenti dalla Cina, entrambe fortemente volute dopo la lezione imparata con l’energia russa. A dire il vero, in base a quanto emerge dal report, Bruxelles non l’ha proprio fatta sua, visto che le importazioni europee dalla Cina non si arrestano. Contrariamente a quanto sta accadendo negli Usa, dove il concetto di “derisking” sembra essersi imposto. I numeri d’altronde parlano molto chiaramente. Dal 2011 al 2021, la quota dell’import cinese ha registrato un drastico -27% “nel segmento intermedio” e del 25% “in quello a valle, che è ancora quello più esposto per gli Stati Uniti”, si legge nel documento. L’Ue, invece, fa riscontrare un +60% nelle importazioni per quanto riguarda il segmento intermedio.
Per quanto riguarda la specializzazione tecnologica, anche qui Pechino sembrerebbe recuperare parecchio terreno. Parte indietro, però a differenza degli altri due competitor corre molto più veloce, consolidando la sua posizione. Questi perché ha focalizzato la sua esperienza in settori strategici, cosa che ad esempio l’Ue non ha fatto entrando in una situazione critica per quel che riguarda le celle, i moduli, il vetro e gli inverter. Non che per Washington vada bene, ma almeno può sorridere per quel che riguarda i wafer e i macchinari che servono per la loro realizzazione. La prossima sfida riguarda i generatori e i macchinari, su cui l’Ue vanta qualche passo in più rispetto agli Usa, sebbene il tempo stia finendo visto che la Cina sta recuperando.
Dall’analisi dettagliata del paper emerge dunque una certa urgenza. Un discorso valido per l’Unione europea, quanto per gli Stati Uniti. Una è più avanti in certe aree e gli altri in campi diversi, ma entrambi sembrano essere più lenti rispetto alla Cina. Eppure, vincere questa corsa appare sempre più urgente. Trasformare in legge le politiche industriali e di sviluppo deve diventare una priorità delle agende occidentali per raggiungere gli obiettivi climatici e attuare una piena decarbonizzazione. Ma serve prima agguantare l’autonomia produttiva, sfruttando le proprie risorse, per evitare di essere subordinati alle volontà di terzi. Il fotovoltaico può rappresentare il primo passo in questa direzione.