L’imminente visita del capo della diplomazia cinese a Washington fa pensare che i due presidenti si incontreranno al summit di San Francisco, evento che segnerebbe una certa distensione nel rapporto tra le due superpotenze. Ma le differenze rimangono nette e passano anche dalle mediazioni attorno al conflitto tra Israele e Hamas
Prove di de-escalation tramite contatti diplomatici, e non solo attorno al conflitto tra Israele e Hamas. Questa potrebbe essere la settimana in cui il capo della diplomazia del Partito comunista cinese (nonché ministro degli Esteri) Wang Yi sarà in visita ufficiale a Washington. Tra gli obiettivi spicca l’organizzazione di un incontro tra il presidente statunitense Joe Biden e quello cinese Xi Jinping, che potrebbe avvenire al summit dell’Asia-Pacific Economic Cooperation (Apec) di novembre a San Francisco.
Un bilaterale tra i due leader segnerebbe una svolta per il cauto processo di “normalizzazione” in atto tra Washington e Pechino. Pur rimanendo ingaggiati in una sfida sistemica, entrambe le parti stanno lavorando per stabilizzare una relazione che ha toccato un picco negativo con la vicenda del pallone spia di inizio anno. Quel conflitto, un’occasione per affilare i toni nazionalistici su ambo le sponde del Pacifico, fece deragliare una serie di sforzi diplomatici e incontri bilaterali in programma.
GRADUALE RIAVVICINAMENTO
Oggi le cose sembrano andare in senso opposto: “Pechino e Washington hanno stabilizzato le relazioni”, ha commentato recentemente Wang. Il clima apparentemente più disteso ha consentito a una serie di alti funzionari statunitensi di passare da Pechino. Nel corso dell’estate sono volati in Cina i segretari Antony Blinken (Stato), Janet Yellen (Tesoro) e Gina Raimondo (Commercio) oltre allo zar del clima John Kerry e il consigliere per la sicurezza nazionale della Casa Bianca, Jake Sullivan. Settimana scorsa, una delegazione guidata dal leader del Senato Usa Chuck Schumer ha incontrato Xi in persona, e ci sono stati altri contatti tra funzionari statunitensi e cinesi, anche in vista dell’incontro Biden-Xi.
Prima di imporre nuove restrizioni nel campo dei semiconduttori (in programma per questa settimana) l’amministrazione Biden ha voluto avvertire con largo anticipo i funzionari cinesi: ad agosto le due parti si erano accordate per scambiarsi informazioni sui controlli all’export. E come scrivevamo su queste colonne, si dibatte se l’attuale crisi economica cinese (unita alla fuga degli investitori esteri) possa spingere Pechino a cercare atteggiamenti più amichevoli verso l’Occidente, specie gli Usa.
I CONTATTI IN CORSO…
Tuttavia, è impossibile scindere questi segnali di rapprochement dal contesto attuale – che è dominato dalla crisi in Medio Oriente. Nel fine settimana Blinken e Wang si sono parlati, nell’ottica di scongiurare un allargamento del conflitto. Le triangolazioni sono complesse e toccano l’Arabia Saudita, che ha temporaneamente sospeso il processo di normalizzazione con Israele, e che grazie alla mediazione cinese sta sistemando i rapporti anche con l’Iran (nemico giurato di Israele e Usa).
A ogni modo, dalle conversazioni tra i capi degli esteri sono emersi segnali di apertura da parte di Pechino, che ha approfondito i passaggi riguardanti le relazioni con gli Usa nel comunicato ufficiale (quello statunitense li tocca in una sola riga) spiegando che i vari contatti diplomatici hanno avuto successo e portato a un miglioramento delle relazioni bilaterali. Il ministro degli Esteri cinese avrebbe ribadito all’omologo statunitense la necessità di essere responsabili nell’attuare il consenso raggiunto al G20 di Bali, ultima occasione di incontro tra Biden e Xi.
… E IL PESO DEL MEDIO ORIENTE
Nel mentre Pechino si sta impegnando sul fronte mediorientale – “stuzzicata” da Washington, che ne vuole il coinvolgimento per chiamarla alla responsabilità sul piano internazionale. La Cina ha comunicato di essere ingaggiata in una “intensa comunicazione con tutte le parti per spingere verso un cessate il fuoco e la fine dei combattimenti” con particolare attenzione alla crisi umanitaria a Gaza. Venerdì Zhai Jun, inviato speciale della Cina in Medio Oriente, ha incontrato i rappresentanti dei 22 membri della Lega Araba cercando di mediare un accordo di pace tra Israele e i palestinesi insieme all’Egitto, e sabato Wang ha parlato con il collega saudita Faisal bin Farhan Al Saud.
Proprio sul fronte mediorientale possono emergere differenze inconciliabili tra Washington e Pechino. Wang sostiene che le azioni di Israele siano andate oltre l’autodifesa e che il nocciolo della questione sia il fatto “che non è stata fatta giustizia al popolo palestinese”. Assieme alla riluttanza a condannare Hamas, queste dichiarazioni sembrano indicare che la Cina voglia ritirarsi sul fronte anti-occidentale – essendosi convinta che Israele sia troppo allineata agli Usa – e fare sponda alle nazioni arabe per aumentare la propria influenza sulla regione e in generale sul Global South.
Il successo di Pechino nel bilanciare questa tendenza con la necessità di porsi come mediatore sarà un indicatore della sua maturità sulla scena internazionale. E lo stesso vale per l’incontro di San Francisco: se i due leader si vedranno, andranno a consolidare il livello minimo oltre il quale nessuna delle due superpotenze vuole far deteriorare le relazioni. Ma tra quelle relazioni ci sono geometrie complesse e variabili, e non è escluso che Xi sia tentato di ritirarsi verso l’interno. Palla al Dragone: le sue mosse si ripercuoteranno sugli equilibri globali.