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Chip, gli Stati Uniti varano nuove restrizioni contro la Cina

Il Dipartimento del Commercio americano pubblicherà, entro la settimana, nuove restrizioni all’export di tecnologia americana nel campo dei semiconduttori. Dal design ai macchinari avanzati, si tratta di un aggiornamento dei controlli varati lo scorso anno per limitare che Pechino possa aggirarli

Nell’infuocato contesto internazionale, gli Stati Uniti decidono di premere sull’acceleratore per quanto riguarda la strategia di contenimento tecnologico della Repubblica Popolare Cinese. Come era già nell’aria da qualche settimana, secondo fonti riportate da Reuters il Dipartimento del Commercio statunitense annuncerà un nuovo round di restrizioni volte a colpire il settore cinese dei semiconduttori possibilmente entro la settimana.

Seppur non ancora di dominio pubblico, il nuovo set di restrizioni avrà l’obiettivo di restringere ancora di più la maglia sul controllo della tecnologia americana che può, o riesce ancora, a fluire in Cina. In particolare, quella essenziale per disegnare e fabbricare chip per applicazioni legate all’intelligenza artificiale (IA).

Le nuove regole, con tutta probabilità, andranno a bloccare l’export di chip al di sotto degli attuali parametri fissati dalle agenzie federali americane – secondo quando previsto dal Bureau of Industry and Security (Bis), i controlli di ottobre 2022 andrebbero a targhetizzare i chip per il supercalcolo e l’IA, tra cui i chip H100 di Nvidia e MI250 di Amd. Fino ad ora, gli Usa hanno stabilito una “soglia” per l’applicazione delle restrizioni, pari a 4800 TOPs*bits (ovvero tera operations per secondo) – richiedendo alle aziende di riportare le spedizioni di altri chip che potrebbero sfuggire alle restrizioni. Gli Usa, infatti, potrebbero aggiungere ulteriori controlli sulle aziende cinesi che tenterebbero di aggirarle attraverso il ricorso ad altri paesi coinvolti nell’industria e su quelle coinvolte nel design di chip, tra cui Empyrean Technology.

La ratio che avrebbe portato il governo americano ad optare per un ulteriore escalation della “guerra” sui chip è una serie di imprevisti che avrebbero, secondo alcuni osservatori, dimostrato il possibile aggiramento da parte dei chipmakers cinesi delle restrizioni in vigore. Da questo punto di vista, il nuovo microprocessore del Mate 50 Pro lanciato da Huawei, fabbricato probabilmente dalla cinese Smic con tecnologia litografica a immersione (DUV), ha scioccato e colto di sorpresa l’establishment americano sulla capacità della Cina. Vi è poi la possibilità che le aziende cinesi possano attuare un vero e proprio leapfrog dell’architettura dominante utilizzata per il design dei chip, di matrice americana (ARM e x86), con il ricorso all’open-source RISC-V come denunciato da alcuni legislatori statunitensi la settimana scorsa.

Sin dalle prime restrizioni imposta al gigante high-tech Huawei dall’amministrazione Trump, passando per l’entity list che incluse ZTE e Smic negli anni successivi, per arrivare al penultimo round di restrizioni sui chip avanzati e i macchinari per la fabbricazione di chip sotto i 14 nanometri concordati con Olanda e Giappone (i due paesi leader, insieme agli Usa, nella fabbricazione di macchinari e materiali per le fonderie) l’idea era che, sfruttando e strozzando questi colli di bottiglia, si sarebbero rallentate le ambizioni tecnologiche di Pechino nel campo dei semiconduttori per IA e altre tecnologie dual-use (5G, quantum computing) impiegabili nel campo militare.

La base teorica di questa strategia, come più tardi riconosciuto dagli stessi autori, i politologi Henry Farrell e Abraham Newman, è stata sostanzialmente ricavata dall’influente articolo Weaponized Intedependence uscito sul numero estivo della prestigiosa rivista accademica “International Security” nel 2019. Sostanzialmente, sfruttando la partecipazione massiccia delle imprese americane nella catena globale del valore dei semiconduttori, il governo Usa avrebbe utilizzato la proprietà intellettuale americana presente direttamente e indirettamente nella tecnologia dei chip (dal design ai macchinari EUV) per negare l’accesso di Huawei, e in questi ultimi anni all’ecosistema dei semiconduttori cinese, a componenti e know-how essenziali. Sostanzialmente, gli Stati Uniti stavano dichiarando la propria ‘giurisdizione’ su prodotti che utilizzassero la tecnologia americana o che fossero stati concepiti con processi che ne implicavano l’accesso, attraverso la cosiddetta regola “Foreign Produced Direct Product” (FPDP), secondo criteri di sicurezza nazionale.

Questo denso reticolo di restrizioni e regole hanno, con il passare dei mesi, coinvolto sempre più aziende e chipmakers americani che operano o vendono in Cina, Paese che per molti rappresenta un importantissimo mercato. A partire dal design di chip per l’IA.

In una lettera al Segretario al Commercio Gina Raimondo, i rappresentanti della Camera Mike Gallagher (R-WI) e Raja Krishnamoorthi (D-IL), che fanno entrambi parte di un comitato ristretto sul Partito Comunista Cinese, avevano sostenuto a luglio che le restrizioni commerciali esistenti non fossero sufficienti a impedire una “ingegnerizzazione intelligente” per aggirare i regolamenti da parte dei chipmakers americani. Secondo la fonte riportata da Reuters, il governo americano potrebbe dunque decidere di rimuovere uno dei parametri utilizzati per le soglie di applicazione delle restrizioni: il cosidetto “parametro bandwidth”.

Le regole di ottobre 2022 impedivano infatti ai fornitori di vendere alla Cina processori in grado di garantire una larghezza di banda IO superiore a 600 GB/sec. Per distribuire carichi di processazione non banali, come l’addestramento e l’esecuzione di modelli linguistici di grandi dimensioni, su più GPU o acceleratori, i chip devono dialogare tra loro su interconnessioni ad alta velocità. La riduzione della velocità di queste interconnessioni ha un impatto diretto sulle prestazioni complessive ed è per questo che la Cina vuole questi processori ad alta larghezza di banda. Queste restrizioni hanno impedito a chipmakers come Intel, Nvidia e AMD di vendere questi prodotti a potenziali clienti in Cina.

Nello specifico, le restrizioni hanno vietato a Nvidia, principale azienda di design di chip per l’IA e prima nel segmento dei semiconduttori per capitalizzazione borsistica, di spedire i suoi prodotti ai clienti cinesi. Ma proprio per non perdere quote di mercato ai danni dei rivali, l’azienda di Jen-Hsun Huang ha iniziato a sviluppare varianti per il mercato cinese meno performanti, o quanto meno al di sotto delle soglie stabilite dalle agenzie federali. Parliamo, per esempio, del microprocessore H800 che avrebbe la stessa capacità computazionale dell’H100 ma con alcuni limiti tecnici.

Proprio per ovviare a questi scenari, gli Stati Uniti intendono introdurre un parametro di “densità di prestazioni”. Le regole aggiornate saranno così destinate a coprire anche i chip di intelligenza artificiale, man mano che la tecnologia si evolve. Gli Stati Uniti richiederanno alle aziende di notificare al governo i semiconduttori le cui prestazioni sono appena al di sotto delle linee guida prima che vengano spediti in Cina. Il governo deciderà caso per caso se i semiconduttori rappresentino un rischio per la sicurezza nazionale. Le nuove regole andranno quasi sicuramente a bloccare l’export di chip avanzati per i datacentrer, mentre altri per prodotti di più largo consumo come PC e tablet non verrebbero inclusi, soprattutto per il fatto che su questi molte aziende – come le coreane Samsung e SK Hynix, che hanno già avuto dal governo americano via libera per i propri impianti di produzione in Cina – contano per mantenere i bilanci in attivo.

Vi sono poi i dubbi sull’efficacia delle restrizioni sul contenimento delle capacità manifatturiera cinesi, soprattutto sui nodi più avanzati (sotto i 10 nanometri). Dopo aver aperto un’investigazione ufficiale sulla genesi del microprocessore di Huawei e Smic, è plausibile ritenere che su questo dossier specifico verranno applicate restrizioni dedicate e separate dal nuovo round complessivo. “Mentre lo smartphone di Huawei non è di per sè una minaccia alla sicurezza nazionale per gli Stati Uniti” ha commentato Gregory Allen, direttore del centro per l’IA e le tecnologie avanzate del Csis, raggiunto da Bloomberg, “quello che all’interno del chip e che segnala dello stato di avanzamento dell’industria dei semiconduttori cinese lo è”. Allen ha di recente firmato un report che, infatti, non esclude che la tecnologia del Mate di Huawei possa essere già nelle mani dell’Esercito Popolare di Liberazione.

Come per le restrizioni dell’anno scorso, rimarrà cruciale il coordinamento multilaterale con gli alleati. In Europa la questione è praticamente rilevante solo per l’Olanda, dal momento che Asml è l’unica azienda globale coinvolta direttamente, mentre il continente rimane focalizzato su chip più maturi per l’industria automotive. Quello che si osserva, comunque, è una generale virata su misure e politiche protezionistiche nel settore: anche Taiwan ha annunciato un presidio più cauto e approfondito sulle sue aziende di chip per evitare che tecnologia sensibile possa fluire in Cina senza i dovuti controlli sulle applicazioni end-use.

Questa tipologia di restrizioni, che sono destinate ad evolvere e ad inseguire l’innovazione per governare il mercato dei chip in un’ottica di sicurezza, dopo decenni di forte integrazione commerciale nonché tecnologica hanno sancito un cambio paradigmatico nella politica estera degli Stati Uniti nei confronti della Cina.

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