La notifica per tutelare i civili nella Striscia di Gaza lascia intendere che Israele potrebbe essere pronto per iniziare l’invasione. L’operazione terrestre preoccupa l’Onu e gli attori regionali, ma “Israele ha bisogno di ristabilire il senso di sicurezza” per i propri cittadini, spiega Micky Aharoson, senior fellow del Jerusalem Institute for Strategy and Security
Il ministero della Difesa israeliano e le forze armate hanno emesso una notifica alle Nazioni Unite, chiedendo ai palestinesi che vivono a nord di Wadi Gaza di evacuare nella parte meridionale della Striscia di Gaza entro 24 ore.
Questa azione, che coinvolge più di 1 milione di palestinesi, solleva preoccupazioni su una potenziale imminente operazione di terra da parte dell’esercito israeliano. L’Idf — acronimo internazionale delle forze armate israeliane — ha dichiarato che la notifica ha lo scopo di proteggere i civili da danni durante le azioni e le operazioni militari.
Dopo il brutale attacco di Hamas, Israele ha iniziato l’assedio della Striscia — la porzione di territorio palestinese governata dispoticamente dal gruppo terroristico dal 2007 (due anni dopo il “disimpegno israeliano”). Sono stati tagliati tutti i servizi essenziali come forma di pressione per la liberazione degli ostaggi (che si stima attorno ai 150 di varie nazionali), e in sei giorni l’Idf ha sganciato 6000 bombe teoricamente su “obiettivi di Hamas”, come rivendicano le forze israeliane. In realtà ci sono centinaia di civili uccisi.
Charles Lister del Middle East Institute fornisce la dimensione della campagna aerea con cui Israele ha risposto all’efferata violenza con cui i terroristi hanno ucciso almeno 1200 persone, per la maggior parte israeliani. La Striscia di Gaza è 365 kmq, “per fare un confronto, la coalizione internazionale anti-Isis ha sganciato una media di circa 2.500 bombe al mese, su 46.000 kmq controllato dai baghdadsiti tra Siria e Iraq. Il bilancio delle vittime è ora di oltre 1.420, inclusi 447 bambini e 248 donne”.
“Quanto accade è fuori scala”, commenta una fonte militare europea che preferisce restare anonima in attesa di sviluppi. “Israele non aveva subito perdite tali nemmeno nella guerra del 1973 e ora sta reagendo anche in risposta allo shock psico-sociale conseguente ai civili uccisi nelle loro case, ai bambini brutalizzati e alla cattura degli ostaggi spettacolarizzata”.
Il controllo della reazione
Sotto diverse pressioni internazionali, non ultime quelle dell’amministrazione Biden, Israele promette di continuare a operare a Gaza City facendo il possibile per ridurre al minimo i danni ai civili. Con la notifica, i residenti sono avvisati che potranno tornare solo quando un altro annuncio lo consentirà e sono invitati a prendere le distanze da Hamas, accusato di usare i civili come scudi umani. L’Idf avverte inoltre di non avvicinarsi all’area della barriera di sicurezza a causa della presenza di miliziani palestinesi nascosti in tunnel sotto le case e gli edifici.
Le Nazioni Unite hanno espresso profonda preoccupazione per le conseguenze umanitarie di un movimento di civili (e non) su così vasta scala e chiedono con forza che l’ordine venga revocato, al fine di evitare che una situazione tragica si trasformi in una calamità.
Nella notte, appena diffusa la notifica, il segretario generale dell’Onu, António Guterres ha discusso con l’ambasciatore israeliano presso le Nazioni Unite, Gilad Erdan, in merito alla richiesta di Israele. Secondo una fonte di Axios, Guterres ha espresso la necessità di un chiarimento al più alto livello politico. In risposta alla reazione di Guterres al preallarme lanciato da Israele ai residenti di Gaza, Erdan ha criticato la posizione onusiana giudicandola “vergognosa”, e sostenendo che le Nazioni Unite hanno a lungo ignorato il rafforzamento militare di Hamas e il suo utilizzo della popolazione civile e delle infrastrutture di Gaza per nascondere armi e compiere atti di violenza.
Erdan ha sottolineato che Israele ha subito perdite dai terroristi di Hamas e mira a minimizzare i danni alle persone non coinvolte, e dovrebbe essere sostenuto invece di ricevere critiche. Ha aggiunto che le Nazioni Unite dovrebbero dare priorità agli sforzi per assicurare il rilascio degli ostaggi, condannare Hamas e sostenere il diritto di Israele a difendersi.
Il potenziale effetto regionale
”Tutti stanno facendo delle scommesse sugli sviluppi”, commenta Micky Aharonson, senior fellow del Jerusalem Institute for Strategy and Security. L’esperta ragiona con Formiche.net sulle dinamiche regionali che la crisi sta innescando e potrebbe innescare se seguiranno maggiori sviluppi. Negli ultimi giorni, per esempio, il principe ereditario saudita, Mohammed bin Salman, ha parlato per la prima volta con il presidente iraniano, Ebrahim Raisi, mentre il ministro degli Esteri iraniano ha avuto una conversazione con l’omologo emeritino. Stando a voci non confermabili per ragioni di sicurezza, oggi, venerdì 13 ottobre, mentre Hamas minaccia attacchi jihadisti contro gli ebrei nel mondo, alti funzionari della diplomazia iraniana potrebbero essere in Libano e Iraq.
L’obiettivo di questi e molti altri contatti guidati dalle diplomazie regionali sarebbe quello di evitare un’escalation che potrebbe portare al coinvolgimento di attori esterni come Hezbollah o le milizie collegate ai Pasdaran in Iraq e Siria. Non a caso, Israele ha già condotto attacchi preventivi tra Damasco e Aleppo mirati a bloccare le supply chain militari inviate dall’Iran.
Dal 2013, Israele ha avviato le operazioni, prima sotto copertura poi pubblicizzate, in Siria e Iraq, contro le milizie filo-iraniane. Da anni l’intelligence israeliana è infatti convinta che le armi fornite dai Pasdaran ai gruppi collegati prima o poi potrebbero essere usate contro il territorio ebraico. Quel momento potrebbe essere arrivato e l’invasione della Striscia potrebbe essere il detonatore dell’estensione della crisi.
”Ma Israele si trova in un evento senza precedenti. E i mezzi che verranno utilizzati sono conseguenti, perché ormai ritiene di dover trattare Hamas alla stregua dell’Isis”, spiega Aharoson. “Israele ha bisogno di ripristinare innanzitutto il senso di sicurezza per i suoi cittadini, e poi la deterrenza regionale. È stato un brutale campanello d’allarme, ma efficace”.
Per l’esperta israeliana, se gli attori regionali permetteranno l’espansione in una guerra totale, innanzitutto con il coinvolgimento di Hezbollah, Israele subirà un danno significativo, “ma questi attori saranno distrutti”.