New Delhi e Pechino hanno in mente piani per il contenimento reciproco. L’India percepisce la necessità di rafforzare la flotta per difendere l’oceano da cui è accerchiata; la Cina spinge una narrazione per togliere attenzione dal Subcontinente
L’India sta pianificando una massiccia espansione navale con l’obiettivo di raggiungere 175 navi da guerra entro il 2035 per fronteggiare la crescente presenza cinese nell’Oceano Indiano. L’Asia Times dedica un ampio approfondimento al piano di New Delhi, che include anche la cooperazione con alcuni Paesi europei (anche se la Francia sembra in vantaggio, c’è pure l’Italia tra i potenziali fornitori indiani, soprattutto per quanto riguarda il dominio “underwater”, come evidenziava su queste colonne il sottosegretario alla Difesa Matteo Perego di Cremnago al ritorno da un viaggio in India).
L’India ha consapevolezza che per essere una potenza, vista la connotazione geomorfologica (e dunque geostrategica) deve dominare il teatro marittimo, da cui è circondata su tre lati, affacciati nell’Indo Pacifico – il grande quadrante geopolitico in cui si snoda la competizione tra potenze e dove la Cina intende far valere il proprio peso perché lo considera un ambiente domestico.
New Delhi ha anche consapevolezza che deve cercare di mantenere il passo con la rapida espansione navale cinese. Sotto quest’ottica, inserirsi nelle attività di cooperazione con gli Stati Uniti – come il Quad – potrebbe non essere sufficiente. Anche perché l’obiettivo indiano non è di essere un alleato allineato e subordinato alla difesa americana, ma di diventare un player globale, autonomo e per quanto possibile indipendente; terzo polo di un sistema multipolare delle dinamiche internazionali.
Nell’ambito di questi rafforzamenti ci rientra anche l’annunciata scelta di dotare i droni Sea Guardian MQ-9B (fabbricati negli Stati Uniti) di boe sonore, per dare la caccia ai sottomarini cinesi, la cui attività nell’Oceano Indiano è sempre più intensa. L’India ha firmato a giugno un accordo con il governo governo americano per l’acquisto di questi mezzi, e ora sta già pensando a un’implementazione.
La Cina ha aumentato l’attenzione al quadrante indiano. L’Euroasian Times ha raccontato come le navi oceanografiche cinesi stanno conducendo missioni di rilevamento nella regione dell’Oceano Indiano sotto la copertura di test scientifici. Questi dati sono preziosi per i sottomarini cinesi che navigano nelle acque basse del chokepoint globale di Malacca e nell’Oceano Indiano Orientale. Una di queste navi, la Shi Yan 6, ha effettuato una missione di tre mesi: basata al porto di Hambantota in Sri Lanka (ristrutturato da aziende cinesi e diventato tra i paradigmi del concetto di “trappola del debito” di Pechino), si è mossa in varie aree dell’Indiano.
Si tratta di attività che suscitano preoccupazioni in India, che vede la crescente presenza cinese nell’Oceano Indiano come una minaccia. Si crea un problema di sicurezza per il Subcontinente, che potrebbe essere accerchiato dalle attività cinesi, con la presenza marittima che si abbina alle tensioni lungo il confine settentrionale, dove la diatriba himalayana è tutt’altro che risolta (e anzi hotspot di tensioni).
Questo comportamento espansionistico aggressivo della Cina è emerso come tema centrale anche durante la conferenza dei comandanti militari delle nazioni affacciate sull’Indo Pacifico, che a fine settembre è stata ospitata nella capitale indiana. Mentre non sono state fatte menzioni dirette, era evidente che le preoccupazioni di cui si discuteva riguardassero le azioni della Cina nella regione, dalla creazione di isole artificiali nel Mar Cinese Meridionale fino alle dispute territoriali con i vicini.
Gli ufficiali militari hanno sottolineato la necessità di collaborazione per mantenere la regione libera, aperta e sicura, rispettando l’integrità territoriale di tutte le nazioni coinvolte. Una fonte informata sulle discussioni spiega che la riunione mirava a migliorare “la cooperazione tra i leader militari, promuovere la condivisione delle migliori pratiche e pianificare la gestione delle emergenze umanitarie”.
Ma si tratta di una semantica rituale: di fondo, l’India sta cercando di muoversi per avvicinare sul proprio fronte attori regionali nell’ottica di contenere la Cina. Allo stesso modo, la Repubblica popolare porta avanti le sue attività di contenimento dell’India, che quest’anno – complice anche il ruolo centrale avuto con il G2o e con il vertice della Sco – ha incrementato il proprio standing internazionale.
È quasi automatico che tra Pechino e New Delhi la dialettica geopolitica salga di tono, e lo dimostrano questioni apparentemente laterali come l’allunaggio indiano. Dopo l’atterraggio indiano del rover Chandrayaan-3 sulla luna il mese scorso, lo scienziato a capo del programma lunare cinese ha detto che le affermazioni sul risultato sono sopravvalutate. La competizione spaziale è parte delle questioni in corso: con Chandrayaan-3, l’India è diventato infatti il primo paese a mettere un veicolo spaziale vicino al polo sud lunare, rompendo il record della Cina per l’atterraggio lunare più meridionale e offuscando i preparativi per la prossima missione.