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Sinodo, una Chiesa (finalmente) in mare aperto

Citando il cardinale Carlo Maria Martini secondo cui “la Chiesa è sempre in ritardo di due secoli”, oggi, dopo il sinodo non possiamo più dire che seguiti a viaggiare sempre con lo stesso ritardo

Definire l’esito di questo sinodo non è facile. Mi ricordo di un libro e il suo titolo mi aiuta a dire ciò che poteva essere e non è stato: “Una riforma che ponga fine a tutte le riforme”. Ecco, non è andata così. Assumo allora il mio personale punto di vista e dico che se ricordiamo la famosa frase del cardinale Carlo Maria Martini, “la Chiesa è sempre in ritardo di due secoli”, oggi direi che non possiamo più dire che seguiti a viaggiare sempre con lo stesso ritardo.

Tra gli esiti chiaramente approvati dai padri sinodali ce n’è uno che conferma l’affermazione dell’ex arcivescovo di Milano. Il sinodo, infatti, ha annunciato l’opzione preferenziale per i poveri. Finalmente, si potrebbe dire. È quello che andava fatto proprio due secoli fa volendo essere profetici in quel drammatico Ottocento dei David Copperfield. Ma è stato fatto chiaramente ora, perché? Perché se si sceglie, finalmente, la forma sinodale non può che andare così. Sinodo vuol dire “camminare insieme” e allora riflettendo sulla mia esperienza personale oggi scopro che – visto che sto tentando di riprendermi da una complicatissima frattura e comincio a camminare dopo un anno di quasi impossibilità – se i miei amici vogliono camminare con me devono adeguarsi alla mia andatura, altrimenti camminerei da solo, come invero a volte accade.

Se la Chiesa è sinodale e vuole che il popolo di Dio “cammini insieme” non può che scegliere l’andatura di chi non ce la fa a tenere il passo dei “sani”, quindi la sua opzione preferenziale deve essere per l’andatura sociale dei poveri. Se questa scelta è importante e tardiva, non altrettanto però può dirsi della scelta di inserire tra i poveri anche i migranti, con i quali il documento sinodale dice che si deve camminare insieme, quindi considerando il loro passo. Ecco, questa è una scelta coraggiosa, che non poteva essere fatta due secoli fa, forse un secolo fa pensando ai nostri “migranti” in più affluenti società, ma non di più. Oggi però questa scelta sinodale porta la Chiesa globale a sopravanzare il passo di molte Chiese e di tutte le società occidentali, a dare un messaggio vivo e chiaro, direi ancora profetico, a tutte le società odierne. Leggo: i migranti “diventano fonte di rinnovamento e arricchimento per le comunità che li accolgono e un’occasione per stabilire un legame diretto con Chiese geograficamente lontane”. Di fronte ad atteggiamenti sempre più ostili nei loro confronti, il Sinodo invita “a praticare un’accoglienza aperta, ad accompagnarli nella costruzione di un nuovo progetto di vita e a costruire una vera comunione interculturale tra i popoli”. L’interculturalità è la scelta del domani, non dell’oggi!

È in questo contesto che bisogna soffermarsi su un particolare del capitolo sull’ecumenismo. La Chiesa finalmente archivia quell’anticaglia che è il pregiudizio nei confronti dei matrimoni misti e sottolinea l’importanza dei matrimoni misti tra cristiani di diverse appartenenze. La guerra d’Ucraina, i toni di certa ortodossia che si respira ancora da quelle parti, ci dice quanto importante questo sia per poter uscire da quelle secche. Ovviamente io ritengo che nelle nostre società servirebbe anche altro, a cominciare da una giusta considerazione di quanta importanza avrebbero per creare ponti culturali nelle società d’immigrazione i matrimoni misti anche con persone di altre confessioni. Questo nel documento non l’ho trovato e non mi ha sorpreso, perché chiederlo avrebbe significato chiedere non solo di archiviare il ritardo di cui parlò Martini, ma anche la capacità di essere in orario. Perché? Perché il sinodo, come dicevo, non poteva essere “la riforma che pone fine a tutte le riforme”, ovviamente dal punto vista mio e solo mio, ma l’avvio di un percorso che partendo sa di dover proseguire, non può illudersi di essere già nel suo porto naturale. Prendendo a prestito solo un pezzo della celebre frase di Gabriele D’Annunzio, direi il sinodo ci dice “navigare necesse est”. E qui la Chiesa mi sembra che, sinodalmente, abbia preso atto che serve andare in mare aperto, anche se nel momento in cui lo si fa si è per forza ancora vicini al proprio porto.

Più problematiche sono le parti più attese, come sempre, e cioè quelle relative al ruolo delle donne, al celibato obbligatorio, ai divorziati risposati, agli omosessuali e ad altri punti affini. Qui si rimane in ritardo, i riformisti si aspettavano di più. Ma c’è un punto molto importante e poco considerato, visto che non l’ho letto molto. Il documento dice: “Proponiamo di promuovere iniziative che consentano un discernimento condiviso su questioni dottrinali, pastorali ed etiche che sono controverse, alla luce della Parola di Dio, dell’insegnamento della Chiesa, della riflessione teologica e, valorizzando l’esperienza sinodale. Ciò può essere realizzato attraverso approfondimenti tra esperti di diverse competenze e provenienze in un contesto istituzionale che tuteli la riservatezza del dibattito e promuova la schiettezza del confronto, dando spazio, quando appropriato, anche alla voce delle persone direttamente toccate dalle controversie menzionate. Tale percorso dovrà essere avviato in vista della prossima Sessione sinodale”. Il sinodo non è finito, tutto sommato direi che non finisce, se lo sceglie come criterio e non come occasione. E infatti l’assemblea proseguirà l’anno prossimo, come è noto. Dunque, si è in navigazione. La riforma che pone termine a tutte le riforme è un’illusione. Ma la Chiesa, mi sembra, sta dicendo che ha scelto di navigare, o di camminare insieme. Non basterà, ma certo non è poco.



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