Non è certo la prima volta che Janet Yellen, segretario al Tesoro americano, prova a costruire ponti con la Cina. C’è stato un tempo in cui il Dragone era convinto di potercela fare senza gli Stati Uniti, di poter camminare sulle proprie gambe, senza il bisogno di stampelle. Non è andata così. Prima l’implosione del mercato immobiliare, con la conseguente catena di insolvenze, seguita dalla crisi del debito, esplosa alla periferia della Repubblica popolare. Infine, la depressione dei consumi, il crollo della domanda alimentare e dei prezzi, la sfiducia dei mercati, la fuga degli investitori. E l’arrivo della deflazione.
Tutto questo ha messo la Cina nelle condizioni di dover ristabilire un canale di dialogo con la prima economia mondiale, la stessa le cui sanzioni, figlie anche dell’alleanza del Dragone con la Russia, stanno creando non pochi grattacapi a Pechino. Tanto vale provare a guardarsi negli occhi o almeno provarci, allora. Anche perché Yellen sa che può avere l’attenzione cinese sui temi economici, viste le difficoltà e le leve a proprio favore.
E il punto di partenza è San Francisco, dove l’ex governatrice della Fed ha incontrato il vice primo ministro cinese He Lifeng, in vista in occasione del vertice della Cooperazione economica per l’Asia-Pacifico (Apec), in programma proprio nella metropoli californiana. Prove generali di dialogo, nell’attesa di poter alzare il tiro, magari con il vertice tra Joe Biden e Xi Jinping, il prossimo 15 novembre, organizzato dopo mesi di preparativi e trattative a latere del medesimo forum.
Ma intanto Yellen ha sminato il terreno, dichiarando al termine del bilaterale con He, che gli Stati Uniti non hanno alcun desiderio di interrompere i legami economici con la Cina. “Cerchiamo una relazione economica sana con la Cina che benefici entrambi i Paesi nel tempo. Quando abbiamo preoccupazioni su pratiche economiche specifiche, come quelle che impediscono alle aziende e ai lavoratori americani di competere su un terreno di gioco equo, le comunicheremo direttamente”.
Tramite i colloqui che proseguiranno anche oggi, i funzionari mirano a fare progressi su una serie di questioni economiche in un momento in cui la competizione tra le due maggiori potenze mondiali si è notevolmente intensificata. Secondo fonti diplomatiche citate dalla stampa Usa, la Casa Bianca non si aspetta tuttavia che l’incontro tra Biden e Xi porti a cambiamenti significativi nella relazione tra i due Paesi. Ma per Yellen non è certo il momento di gettare la spugna.
Perché Stati Uniti e Cina “hanno l’obbligo di stabilire linee di comunicazione aperte e sicure e d’impedire che i disaccordi degenerino in conflitto, ma sanno anche che la nostra relazione non può essere limitata alla gestione delle crisi, ha scritto Yellen in un articolo pubblicato nei giorni scorsi dalla Washington Post. In quella occasione aveva invitato il governo cinese a cooperare sulla lotta ai cambiamenti climatici e su altre questioni di comune interesse, e a non lasciare che i disaccordi sul commercio facessero deragliare i rapporti bilaterali.
E anche la grande finanza aveva fatto la sua parte. Lo scorso 5 giugno, Jane Fraser, ceo di Citigroup, principale gruppo assicurativo e bancario americano, ha incontrato per esempio il capo della vigilanza finanziaria cinese, Li Yunze, al quale ha espresso l’intenzione di ampliare le operazioni di Citi nel Paese data la “piena fiducia nel suo sviluppo economico e finanziario”. Il giorno successivo, è stata invece la volta di un colloquio con Lin Songtian, presidente dell’Associazione popolare cinese per l’amicizia con i Paesi stranieri, con cui Fraser avrebbe discusso un rafforzamento del dialogo tra Cina e Stati Uniti nelle aree di interesse comune, stando ad una nota dell’organizzazione dedicata alla gestione degli affari esteri.
Prima di Fraser, anche Jamie Dimon di Jp Morgan aveva incontrato i funzionari del governo cinese e le autorità di regolamentazione locali. A marzo, invece, David Solomon di Goldman Sachs, Noel Quinn di Hsbc e Bill Winters di Standard Chartered avevano fatto lo stesso. Incontri, spiegava allora Reuters, dettati da un minimo comun denominatore: la volontà di espandersi e istituire nuove joint venture nella seconda economia mondiale. Tutto questo mentre la rivale newyorkese di Jp Morgan, Morgan Stanley, teneva un proprio evento incentrato sulla Cina a Hong Kong, con la partecipazione di circa 500 dirigenti di 260 aziende cinesi e più di 1.500 investitori globali.