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Integrare Kyiv in Ue è improbabile (per ora). E Meloni si sleghi da Orban. Parla Fabbrini

Il processo di integrazione europea di Ucraina e Moldavia è ancora tutto da costruire e, probabilmente, in questa fase non sarebbe neanche conveniente perché andrebbe a snaturare l’Ue. L’Italia deve scegliere da che parte stare – in vista anche delle elezioni della primavera prossima – e accompagnarsi all’Ungheria rischia di condannarci all’irrilevanza. Conversazione con Sergio Fabbrini, politologo, direttore del dipartimento di Scienze Politiche della Luiss

La Commissione ha dato il via libera per l’adesione all’Ue di Ucraina e Moldavia. La portata del passaggio, scandito dalla presidente dell’esecutivo europeo Ursula von der Leyen, può sembrare epocale. In realtà il reale processo di integrazione dei due Paesi, in particolare, è molto lontano. E, tra l’altro, comprendere nell’Unione anche gli altri “richiedenti” dei Balcani occidentali “potrebbe portare a indebolire l’Unione stessa, cambiandone pesantemente la natura e riducendola a una qualsiasi organizzazione internazionale”. A dirlo a Formiche.net è Sergio Fabbrini, politologo, direttore del dipartimento di Scienze Politiche della Luiss e tra i massimi esperti di dinamiche europee.

Professor Fabbrini, quali sono le sue perplessità?

Partiamo dal rapporto della Commissione Europea. I contenuti sono ambigui in particolare perché nessuno dei Paesi per i quali l’organismo europeo avrebbe dato il via libera a iniziare l’iter soddisfano i requisiti per l’integrazione europea. Per arrivare a un vero processo in questo senso, vanno messi i Paesi nelle condizioni di poter aderire sulla scorta di ciò che prevedono i trattati.

E sull’Ucraina lei che idea si è fatto?

L’Ucraina è il caso più eclatante di questa ambiguità. Addirittura ha una parte del territorio che è occupata militarmente dagli eserciti di un altro Paese per cui il processo di integrazione sarebbe materialmente impossibile. A meno che questa mossa della Commissione non sia un tentativo di spingere il presidente Zelensky alla via negoziale. Anche se, rileggendo le dichiarazioni di von der Leyen nel corso della sua visita in Ucraina, sembrerebbe improbabile.

Quali sono i rischi dell’allargamento a – complessivamente – 35 stati membri?

Innanzitutto questa operazione richiederebbe una profondissima e sostanziale revisione dei trattati europei. Operazione, di per se, non semplice. In più, il rischio più insidioso che si profila all’orizzonte è l’incapacità – considerando le profonde differenze di sensibilità tra i Paesi – di arrivare a un punto di sintesi e a una linea comune sulle questioni strategiche. Ci sarebbe troppa disomogeneità. Già è faticoso adesso. E l’esempio lampante è rappresentato dalle diverse posizioni assunte dai vertici europei – ognuno sulla base della sua sensibilità – in ordine al conflitto in Israele.

Quindi che valore ha l’uscita della Commissione in sostanza?

Se si considera che il processo di integrazione, tra le altre cose, deve passare al vaglio dei singoli Paesi mi pare che sia del tutto ambigua questa uscita. E, soprattutto, il processo per i Paesi indicati molto lontano dall’essere praticabile realmente. A me pare che la Commissione abbia fatto un atto più che altro pubblicitario. Sarebbe invece auspicabile che tornasse a fare vera politica europea.

Quale sarebbe, dunque, la soluzione ideale?

Personalmente sarei favorevole a trasformare l’Unione Europea, suddividendola su tre livelli. Il primo livello sarebbe costituito da una confederazione di tutti i Paesi, anche al di là di quelli che attualmente fanno parte dell’Unione (comprendendo, ad esempio, anche il Regno Unito). Un secondo livello con i Paesi che stanno dentro al perimetro del mercato unico. E, da ultimo, un terzo livello più ristretto composto dai Paesi fondatori.

In questa matassa già piuttosto aggrovigliata, si aggiunge un’ulteriore “complicazione”: il presidente ungherese Viktor Orban avrebbe fatto sapere di non essere d’accordo sull’integrazione di Moldavia e Ucraina in Europa. Questo, anche per il governo italiano, potrebbe essere un problema?

Questo è un grosso problema prima di tutto per l’Europa. Nel secondo semestre del 2024 (a elezioni già avvenute, ndr), la presidenza del consiglio dei ministri europei andrà infatti all’Ungheria, le cui posizioni anti-europee sono ben note. Questo è, evidentemente, un paradosso molto rischioso. Tenendo anche presente che l’Ungheria beneficia di molte risorse europee (Next generation Eu escluso). Scegliere di stare con Orban, per l’Italia, significherebbe condannarci all’irrilevanza.

È un consiglio al premier Meloni?

Fossi in lei avvierei seriamente questa riflessione. Decidere di accompagnarci a Ungheria e Slovacchia potrebbe rivelarsi molto rischioso. A maggior ragione a fronte dell’opportunità di poter indicare il prossimo presidente della Commissione. Un ruolo per il quale la “carta” Mario Draghi sarebbe ideale.

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